In pazienti con sindrome di Takotsubo mortalità per cause cardiovascolari più alta


Secondo uno studio i pazienti con sindrome di Takotsubo hanno maggiori probabilità di morire per cause cardiovascolari a lungo termine

Secondo uno studio i pazienti con sindrome di Takotsubo hanno maggiori probabilità di morire per cause cardiovascolari a lungo termine

Secondo i risultati di un registro nazionale scozzese, pubblicati online su “JACC: Advances”, i pazienti con sindrome di Takotsubo hanno maggiori probabilità di morire per cause cardiovascolari a lungo termine, con un rischio di mortalità complessivo che si avvicina a quello dei pazienti che hanno avuto un infarto miocardico acuto.

In modo preoccupante, i farmaci per la prevenzione cardiovascolare che hanno dimostrato di avere benefici nel contesto del post-infarto miocardico non sono sembrati ridurre la mortalità nei pazienti che avevano sperimentato la sindrome di Takotsubo.

«Pertanto, probabilmente abbiamo bisogno di guardare in futuro a qualcosa che sia molto più personalizzato per questa particolare condizione, mirato alla fisiopatologia del Takotsubo stesso piuttosto che estrapolato da un’altra condizione» affermano i ricercatori, coordinati da Dana Dawson, dell’Università di Aberdeen e del NHS Grampian (Scozia), e guidati dalla prima autrice Amelia Rudd, degli stessi istituti. «Dobbiamo lavorare di più. Dobbiamo scoprire cosa aiuta davvero questi pazienti a lungo termine».

Dati provenienti dal Registro Scozzese 
Non esistono trattamenti consolidati e basati sull’evidenza per la sindrome di Takotsubo, nota anche come sindrome del ‘cuore spezzato’ o “cardiomiopatia da stress”. Takotsubo si presenta in modo simile all’infarto miocardico acuto e, fino a poco tempo fa, era stato percepito come tipicamente autolimitante e relativamente benigno. A causa della mancanza di prove che guidino i medici, la gestione di questi pazienti varia ampiamente nella pratica.

Per esplorare gli esiti a lungo termine, le cause di morte e l’uso di farmaci in questa popolazione, i ricercatori si sono rivolti al Registro scozzese del Takotsubo, la prima coorte nazionale con dati identificati nella popolazione, secondo Dawson, che ha affermato che tali dati sono quindi più robusti di quelli di studi precedenti che utilizzano popolazioni più selezionate.

Il collegamento alle cartelle cliniche elettroniche di Public Health Scotland ha anche permesso ai ricercatori di tenere traccia delle prescrizioni durante tutto il periodo di follow-up. L’analisi attuale ha incluso 620 pazienti con sindrome di Takotsubo registrati tra il 2010 e il 2017. Questi pazienti sono stati abbinati 1:4 per età, sesso e geografia a 2.480 individui della popolazione generale della Scozia e 1:1 per età e sesso a 620 pazienti con infarto miocardico acuto dal database dello studio High-STEACS. Complessivamente, l’età media dei pazienti era di 66 anni e il 91% erano donne.

Durante un follow-up mediano di 5,5 anni, il 25% dei pazienti con sindrome di Takotsubo è morto, un tasso superiore a quello osservato nella popolazione generale (15%) ma simile a quello osservato nei pazienti che avevano avuto un infarto miocardico acuto (31%).

Dopo l’aggiustamento per fattori confondenti, i pazienti con Takotsubo avevano maggiori rischi di mortalità cardiovascolare (HR 2,47; IC 95% 1,81-3,39) e morte non cardiovascolare (HR 1,48; IC 95% 1,16-1,87) rispetto alla popolazione generale. Rispetto ai pazienti che avevano avuto un infarto miocardico acuto, avevano un rischio inferiore di morte cardiovascolare (HR 0,61; IC 95% 0,44-0,84) ma un rischio simile di mortalità non cardiovascolare (HR 0,92; IC 95% 0,69-1,23).

Prevale l’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione conservata
«La mortalità cardiovascolare nei pazienti con sindrome di Takotsubo era principalmente dovuta a cause di insufficienza cardiaca» scrivono gli autori. «In effetti, abbiamo precedentemente dimostrato che dopo il ‘recupero’ dall’episodio acuto, una percentuale di pazienti evolve verso un’insufficienza cardiaca con fenotipo della frazione di eiezione conservata a lungo termine».

I ricercatori hanno anche valutato l’uso e l’impatto di vari farmaci, compresi quelli usati per trattare le malattie cardiovascolari, come gli ACE-inibitori/ARB, i beta-bloccanti, gli antiaggreganti piastrinici, le statine e i diuretici, e altri, come steroidi, farmaci antinfiammatori non steroidei, farmaci psicotropi, terapia ormonale sostitutiva e terapia con tiroxina.

L’uso di farmaci cardiovascolari era simile nei pazienti con sindrome di Takotsubo e in quelli che avevano avuto un infarto miocardico acuto. «Siamo rimasti piuttosto sorpresi» da questa scoperta, affermano Dawson e colleghi, citando la mancanza di studi clinici che valutano questi farmaci nei pazienti con Takotsubo.

Sebbene i farmaci CV fossero associati a minori rischi di mortalità nei pazienti che avevano avuto un infarto miocardico acuto, come previsto, nessuno era associato a un beneficio nel contesto della sindrome di Takotsubo in un’analisi limitata alle prescrizioni che coprivano la maggior parte del periodo di follow-up. I diuretici, insieme ai farmaci antinfiammatori e psicotropi, infatti, sono stati associati a esiti peggiori, sia nei pazienti con sindrome di Takotsubo che in quelli che avevano avuto un infarto miocardico.

«Pertanto, gli effetti delle moderne terapie cardiovascolari sulla sopravvivenza nei pazienti con sindrome di Takotsubo non sono chiari e richiedono una valutazione prospettica in studi randomizzati controllati» scrivono i ricercatori. «Nel complesso, sembra che la ricerca di farmaci salvavita appropriati dopo la sindrome di Takotsubo sia solo all’inizio e debba ancora essere realizzata».

Dawson e colleghi sottolineano la necessità di ricerche future per identificare terapie su misura per la fisiopatologia unica della sindrome del Takotsubo per migliorare i risultati in questi pazienti, che per ora devono fare affidamento su trattamenti estrapolati da altre condizioni cardiache. Anche se in questo studio c’era un accenno al fatto che gli ACE-inibitori/ARB possono essere utili, «a meno che non si faccia uno studio randomizzato controllato per dimostrare se questo è vero o falso, non si sarà in grado di consigliare i nostri pazienti in modo appropriato».

Il parere di Rodolfo Citro del Ruggi di Salerno, tra i massimi esperti mondiali
Le informazioni più degne di nota provenienti dallo studio riguardano le cause di morte, che in precedenza non erano state ben descritte, osserva Rodolfo Citro, dell’Ospedale Universitario San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, di Salerno, autore principale di un editoriale di accompagnamento.

I risultati confermano che i pazienti con sindrome di Takotsubo hanno un rischio maggiore di morire rispetto alla popolazione generale e solo un rischio leggermente inferiore rispetto ai pazienti che hanno avuto un infarto miocardico.

Quando si tratta di determinare l’impatto di vari farmaci nel contesto della sindrome di Takotsubo, lo studio ha alcune limitazioni, osserva Citro, indicando i rischi di errata classificazione dell’esposizione e bias di selezione che possono influenzare i confronti tra i gruppi. Pertanto, i risultati non possono essere considerati conclusivi, «e probabilmente la terapia dovrebbe essere adattata in base alle comorbilità coesistenti e al carico di comorbilità di ciascun paziente» aggiunge.

Inoltre, lo studio indica che i pazienti richiedono un monitoraggio continuo dopo aver presentato la sindrome di Takotsubo, rileva Citro. «Ciò suggerisce la necessità di un follow-up specifico per questi pazienti eseguito da cardiologi con esperienza nella gestione dei pazienti con Takotsubo».

Sottolineando l’importanza del follow-up, Citro afferma che «nonostante l’apparente completo recupero della funzione sistolica ventricolare, questi pazienti rimangono più inclini a sviluppare eventi avversi cardiovascolari rispetto alla popolazione generale. Secondo studi sperimentali e clinici, probabilmente c’è un danno miocardico residuo dopo la fase acuta e l’entità di questo danno dovrebbe essere meglio indagata, probabilmente implementando l’uso di biomarcatori specifici e un approccio di imaging multimodale nella pratica clinica per seguire meglio questi pazienti».

Fonti:
Rudd, A, Horgan, G, Khan, H. et al. Cardiovascular and Non-cardiovascular Prescribing and Mortality After Takotsubo – Comparison With Myocardial Infarction and General Population. JACC Adv. 2024. doi: 10.1016/j.jacadv.2023.100797. Epub ahead of print. leggi

Citro, R, Bellino, M, Silverio, A. Cardiovascular Mortality in Takotsubo Syndrome: A Mystery Awaiting Solving. JACC Adv. 2024. doi:10.1016/j.jacadv.2023.100798. Epub ahead of print. leggi