Gli uomini con spondiloartrite assiale rispondono meglio ai farmaci anti-TNF


Gli uomini affetti da spondiloartrite assiale (axSpA) sembrano rispondere meglio ai farmaci anti-TNF rispetto alle pazienti

I pazienti affetti da spondiloartrite assiale non radiografica sembrano connotarsi per una stile dietetico sbilanciato, che non privilegia nutrienti anti-infiammatori

Gli uomini affetti da spondiloartrite assiale (axSpA) sembrano rispondere meglio ai farmaci anti-TNF rispetto alle pazienti dell’altro sesso. Questo il messaggio proveniente da uno studio internazionale multicentrico che ha coinvolto anche il nostro Paese, recentemente pubblicato su RMD Open.

Tali risultati suffragano osservazioni precedenti relative all’esistenza di una disparità di genere nella risposta al trattamento con questa classe di farmaci biologici, basate su piccoli campioni di pazienti, che escludevano spesso quelli senza segni radiografici di malattia infiammatoria.

Razionale e obiettivi dello studio
Numerosi studi hanno documentato l’esistenza di significative differenze di genere nella manifestazione e nel decorso dell’axSpA. Le donne affette da axSpA tendono a presentare più disturbi periferici, una maggiore prevalenza di dolore toracico e dolore diffuso, e sperimentano limitazioni funzionali e qualità di vita peggiori rispetto agli uomini.

Al contrario, gli uomini affetti da axSpA tendono più spesso a presentare segni oggettivi di infiammazione, tra cui livelli più elevati di proteina C-reattiva (CRP), e danni radiografici più frequenti, sia alla presentazione che in termini di sviluppo nel tempo.

Oltre a queste differenze cliniche, sono state osservate differenze di genere anche relativamente ad altri fattori quali l’espressione genica, i fattori immunologici, la composizione corporea e la farmacocinetica, che possono influire sull’efficacia del trattamento.

Ciò sottolinea la necessità di considerare il genere quando si valuta la risposta al trattamento negli studi sull’axSpA, in modo da garantire che i risultati di tali studi riflettano accuratamente quanto sperimentato nei pazienti di entrambi i sessi.

Alcuni studi osservazionali avevano già dimostrato che le donne con axSpA possono sperimentare un’efficacia terapeutica ridotta dei farmaci anti-TNF rispetto ai pazienti dell’altro sesso.  Tuttavia, questi studi presentavano dei limiti, come la mancanza di pazienti con nr-axSpA e le dimensioni del campione relativamente piccole. Inoltre, gli effetti del trattamento non erano stati stratificati in base al genere.

Disegno dello studio
Per prima cosa, sono stati messi in pool i dati dei pazienti con axSpA che avevano iniziato un TNFi in uno dei 15 registri della collaborazione EuroSpA – per l’Italia sono stati recuperati quelli del gruppo GISEA, ha ricordato Iannone. E’ stata studiata, quindi, l’associazione del genere con la risposta al trattamento mediante regressione logistica.

L’outcome primario dello studio era rappresentato dal miglioramento clinicamente importante (CII) a 6 mesi del punteggio ASDAS-CRP (riduzione ≥1,1).

Si è quindi provveduto all’aggiustamento dei dati per età, paese e anno di inizio del trattamento con anti-TNF. Un outcome secondario valutato è stato quello della persistenza in terapia a 24 mesi di follow-up.

Nell’analisi della persistenza in terapia sono stati inclusi i dati di un totale di quasi 28.000 pazienti. L’analisi della risposta al trattamento invece, ha riguardato circa 6.500 pazienti per i quali sono stati ottenuti i valori ASDAS sia al basale che dopo 6 mesi di trattamento con anti-TNF. In questa parte dello studio, circa il 40% dei pazienti erano donne; il 31% delle donne e il 19% degli uomini erano affetti da malattia non radiografica.

Nessun singolo farmaco inibitore del TNF ha dominato nel database: infliximab, etanercept e adalimumab sono stati iniziati in una proporzione di pazienti compresa tra il 20% e il 30% dei pazienti; sono stati utilizzati anche golimumab (17%) e certolizumab pegol (8%).

Risultati principali
Dopo 6 mesi di trattamento con questi farmaci, il 66% dei pazienti di sesso maschile, rispetto al 53% delle pazienti di sesso femminile, ha sperimentato un “miglioramento clinicamente importante”, definito come una diminuzione di almeno 1,1 del punteggio di attività della malattia della spondiloartrite assiale (ASDAS).

Nelle pazienti di sesso femminile, inoltre, le probabilità di persistenza in terapia sono risultate minori: 24 mesi dopo l’assunzione di un anti-TNF, il 37% di queste era ancora in trattamento con questi farmaci, a fronte di un 50% di pazienti di sesso maschile (P<0,001).

Per quanto la risposta al trattamento a 6 mesi rappresentasse l’outcome primario di efficacia dello studio, i ricercatori hanno esaminato anche le risposte al 24° mese.

La differenza di risposta al trattamento in base al genere osservata a 6 mesi si è mantenuta nel tempo, con poche variazioni, per tutto il periodo dello studio, ed è stata rilevata sia per la malattia radiografica che per quella non radiografica.

Il commento allo studio
Trattandosi di uno studio osservazionale retrospettivo, non è ancora possibile trarre conclusioni definitive sulle ragioni della disparità di genere documentate nell’analisi dei dati. Spiega Iannone: “Lo studio ha valutato semplicemente l’associazione tra il sesso biologico di appartenenza e la risposta al trattamento con anti-TNF. Nella valutazione delle differenze di genere, invece, gli indicatori sono molteplici. Esiste tutta una serie di altri fattori per valutare le differenze di genere che non è facile valutare retrospettivamente”.

Tra gli indicatori di genere “biologici”, per esempio abbiamo “…l’età, l’assetto ormonale, le differenze nella composizione corporea, i meccanismi molecolari e cellulari della malattia (come suggerito dalle variazioni nei profili di espressione genica) e le differenze nella manifestazione e nel decorso della malattia – scrivono gli autori dello studio -. Per esempio, le donne si connotano, in genere, per la maggior presenza di grasso corporeo; è stato suggerito che questo può portare ad un maggiore rilascio di citochine che, notoriamente, riduce l’efficacia degli inibitori del TNF”.

“Oltre a questi indicatori “biologici” di genere – spiega Iannone – esistono altri indicatori quali la capacità di aderire alla terapia prescritta, la residenza in area rurale anziché urbana, la distanza dal centro reumatologico di riferimento, il livello di istruzione, il reddito pro capite, la numerosità della famiglia. Tutti questi fattori, in eguale misura, possono influire sull’aderenza alla terapia e, quindi, anche, sull’efficacia del trattamento nella real life (effectiveness). L’obiettivo futuro della medicina di genere – aggiunge – consiste nel considerare ab initio tutti questi indicatori, per poter migliorare la risposta alla terapia”.

Ad ulteriore supporto dell’importanza dell’utilizzo degli indicatori di genere nei percorsi terapeutici – spiega Iannone – è venuto in soccorso il Ministero della Salute, che già da diversi anni ha indicato che nei PDTA (percorsi diagnostici-terapeutici) devono essere considerati gli indicatori di genere per valutare la risposta alla terapia ed identificare soprattutto i predittori di risposta alla terapia.

Per quanto i risultati suggeriscano che le donne affette da axSpA potrebbero ottenere risultati migliori con altre classi di farmaci “a target”, i ricercatori non si sono sbilanciati a questo riguardo, propendendo per un approccio conservativo: “Ad oggi – sottolinea Iannone – non esistono studi cha abbiano valutato le potenziali differenze di genere derivanti dall’impiego dei Jak inibitori o di altre alternative terapeutiche ai farmaci anti-TNF nell’axSpA, mentre studi condotti in altre patologie reumatologiche hanno dato risultati simili”.

“Quello che oggi possiamo dire è che il sesso femminile rappresenta un fattore di aggregazione di altri fattori, da studiare e identificare, che contribuiscono alla minore aderenza e persistenza in terapia – aggiunge”.
“Pertanto – conclude Iannone – alla luce delle conoscenze attuali, gli anti-TNF vanno ancora utilizzati nelle pazienti di sesso femminile con ax-SpA, con l’auspicio di non dover più aspettare, nel prossimo futuro, 24 mesi per poter valutare la risposta alla terapia ed essere più rapidi nell’identificare altri percorsi terapeutici”.

Bibliografia
Hellamand P, et al “Sex differences in the effectiveness of first-line tumour necrosis factor inhibitors in axial spondyloarthritis: results from the EuroSpA Research Collaboration Network” RMD Open 2023; DOI: 10.1136/rmdopen-2023-003325.
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