Screening per l’epatite C e l’epatite Delta: in Italia fatti passi avanti


L’Italia ha implementato programmi di screening per l’epatite C e per l’epatite Delta come parte delle strategie di sanità pubblica per individuare precocemente le infezioni

Epatite C: tra i pazienti trattati con sofosbuvir e velpatasvir l'approccio di monitoraggio minimo ha ottenuto una risposta simile al monitoraggio standard

L’Italia ha implementato programmi di screening per l’epatite C (HCV) come parte delle strategie di sanità pubblica per individuare precocemente le infezioni e fornire trattamenti tempestivi. Dal 2015 sono stati avviati quasi 260 mila trattamenti al fine di raggiungere l’obiettivo fissato dall’OMS di eliminazione di questa infezione virale. Anche per l’epatite delta (HDV) è stato avviato lo screening di popolazione per identificare i pazienti e collegarli velocemente al trattamento che finalmente oggi è specifico ed efficace. Questi temi sono stati approfonditi anche durante la XXII edizione del congresso nazionale della SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) lo scorso dicembre.

In Italia dal 2014 la Piattaforma Italiana per lo studio della Terapia delle Epatiti viRali (PITER) ,coordinata dall’Istituto superiore di sanità (ISS), in collaborazione con l’Associazione italiana per lo studio del fegato (Aisf) e la Società italiana delle malattie infettive e tropicali (Simit) ha promosso “PITER-HCV”, uno studio osservazionale multicentrico dove convergono i dati dei pazienti in cura presso centri epatologici, di malattie infettive e di medicina interna di tutt’Italia.

Considerando il notevole e continuo contributo nella piattaforma della rete dei centri clinici, a ottobre 2019 è stata avviata la coorte “PITER-HBV/HDV”, al fine di ottenere sia dati epidemiologici e della storia naturale dell’infezione cronica da HBV e HDV in Italia che dati relativi all’utilizzo dei vari farmaci anti-HBV/anti-HDV nella pratica clinica. Nel lungo termine questo studio potrà contribuire all’ottimizzazione dei protocolli terapeutici e fornire informazioni sull’appropriatezza delle cure per l’epatite B e Delta in tutto il territorio nazionale e sull’impatto dei nuovi trattamenti su morbilità e mortalità.

Screening e collegamento alle cure per l’epatite C
Dal registro di monitoraggio sugli antivirali ad azione diretta per l’HCV si evince una lieve decrescita negli anni riguardo ai trattamenti, passando dai 15400 del 2020, ai 10.000 del 2023 (dato raccolto ad ottobre 2023).
Purtroppo, lo screening in Italia non raggiunge ancora tutte le popolazioni chiave; questo è uno dei motivi per cui la strada verso l’eliminazione è ancora lunga. I test di screening e le terapie vanno portate più vicino ai pazienti e allo stesso tempo la prevenzione va migliorata anche attraverso l’informazione (1). Nel caso dei migranti verso cui regna molto stigma va rafforzato lo screening integrato per tubercolosi, HCV, HIV, HBV mentre per chi risiede negli istituti penitenziari va eseguito uno screening programmato in entrata e va sviluppato un programma di transizione per il collegamento alle cure dopo lo sconto di pena.

Vanno inoltre implementati programmi per promuovere la riduzione del rischio tra gli omosessuali, anche in questo caso va migliorata la conoscenza e lo screening.
Ci sono poi categorie che non sono in contatto con alcun modello di cura come i sex workers e i senza tetto e in questi casi va sviluppato un approccio basato sul rischio per uno screening accessibile.

Screening e medicina generale
Uno studio retrospettivo di coorte su 44 medici di medicina generale che gestivano 63.955 abitanti in Campania (2), ha evidenziato che complessivamente sono stati identificati 698 pazienti affetti da HCV, 596 con diagnosi di HCV già nota e 102 identificati testando il gruppo ad alto rischio (2.614 soggetti). Il 38,8% era già in cura con antivirali ad azione diretta, il 18,9% è stato indirizzato al centro specialistico e il 42,3% non è stato inviato alle cure specialistiche per il trattamento. È un dato significativo perché sta a significare che oltre lo screening va aumentato il linkage to care e va fatto opera di informazione e sensibilizzazione anche presso la medicina generale.

Altri dati importanti sono quelli regionali raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità aggiornati a giugno 2023 che riportano la rendicontazione di 10 regioni (anche la regione Toscana e l’Umbria hanno attivato lo screening ma non hanno riportato i primi risultati).
I dati riguardano la popolazione generale: il totale dei soggetti sottoposti a screening è di 860.470. L’estensione dello screening è stata solo del 13%, percentuale ben lontana dal 70%, limite indicato dal Ministero quando è stato approvato il fondo specifico.

Altri dati evidenziano una prevalenza dello 0,7% sul totale, con un 25% di conferma di positività. “Se consideriamo una popolazione che non sa di avere l’infezione, la percentuale attesa di positività nello screening in genere è oltre il 60%. I dati oggi, non solo italiani ma generalizzati a tutto il mondo, riportano una percentuale del 25%; questo valore così basso può essere frutto di due motivi: 1) sono state sottoposte a screening persone che sapevano di avere l’infezione e magari erano anche state già sottoposte al trattamento e hanno voluto fare un test gratis aggiuntivo (purtroppo ciò indica anche uno scarso lavoro di sensibilizzazione, di comunicazione nello spiegare il problema); 2) l’infezione è cambiata e oggi siamo di fronte a un’infezione leggermente diversa da quella che noi abbiamo conosciuto nei primi anni del boom dell’ epatite C quando il virus probabilmente circolava maggiormente; di conseguenza è cambiato anche il tasso di cronicizzazione” ha evidenziato la dott.ssa Loreta Kondili del Centro Nazionale per la Salute Globale, Istituto Superiore di Sanita, Roma.

I dati italiani recenti evidenziano anche un totale di 1305 persone identificate con infezione attiva dalla popolazione generale.
Per quanto riguarda le popolazioni chiave, nei SERD sono state sottoposte a screening 71.800 persone con un test di positività al 23% e un test di conferma al 43% e numero totale di persone intorno alle 7000. Anche in questo caso i dati sono più bassi rispetto all’atteso. Infatti, la copertura dello screening è stata del 30% e la positività per le infezioni attive del 45%.

“Questo è un dato sicuramente strano per la popolazione che fa uso di sostanze però potrebbe anche essere giustificato dall’importante ruolo del trattamento negli anni precedenti.” Il linkage to care è pari al 55%, anche se questo dato potrebbe essere falsato e nella realtà essere più alto, e deriva da quanto le regioni riescono a captare come collegamento al trattamento.

Nelle carceri la situazione è esattamente come descritta in letteratura: la prevalenza si attesta al 9.5%; si evince una riduzione dell’infezione come riportata da vari lavori anche nazionali. Il linkage to care è del 57% ed anche questa percentuale dovrebbe essere leggermente più elevata.
“Su circa 1 milione di pazienti valutati risultano 10.000 individui con infezione attiva da HCV. Questo vuol dire che c’è ancora tanto lavoro da fare sull’epatite in Italia. Esistono delle criticità: per quanto riguarda la scadenza del fondo, dicembre 2023, probabilmente verrà esteso e si auspica che venga aperto a tutta la popolazione, cosa che doveva avvenire già nel 2023.

In questo contesto il ruolo dei medici di medicina generale è fondamentale perché possono essere loro stessi promotori avendo rapporti diretti soprattutto con i pazienti più anziani” ha aggiunto la dott.ssa Kondili.
Per estendere lo screening e per farlo anche rapidamente, l’ISS ha svolto uno studio da cui emerge che, se si ritarda lo screening in Italia, diversamente da altri paesi che hanno lo screening solo su popolazioni chiave quali i giovani, la malattia e il danno epatico avanzano fino ad avere una proiezione di quasi 12.000 morti HCV correlati nel 2030 e circa 5.000 eventi di scompenso ed epatocarcinoma (3).

Un altro lavoro (4) da poco pubblicato riporta l’andamento dell’HCV in Italia negli ultimi 10 anni evidenziando come l’epatite C può essere collegata ad alcune procedure e circolare negli ospedali. Tra le procedure troviamo soprattutto quelle in area neurochirugica, chirurgia otorinolaringologica, vascolare, oftalmologica, biopsia ed endoscopia.
Questo dato enfatizza il ruolo dello screening ospedaliero opportunistico che, ad esempio, è stato eseguito in regione Lombardia; il setting ospedaliero può essere decisamente importante per promuovere lo screening di popolazione.

Epatite delta, situazione italiana
Tanti esperti italiani hanno dato un grande contributo nel promuovere la coorte PITER sull’epatite delta, prima che arrivassero i farmaci specifici per essere pronti con un quadro epidemiologico.
Ad oggi hanno aderito alla coorte oltre 60 centri, quasi 5500 pazienti arruolati (giugno 2023), di cui il 75% valutato per l’epatite delta. Resta da valutare il 25% della popolazione HBsAg positiva. La prevalenza ad oggi è risultata del 10%. Non esiste ad oggi un test standardizzato per l’epatite delta e la maggior parte delle persone sono state valutate attraverso il test dell’HDV Rna (62%) e di questi il 63% è risultato positivo.

Nel confronto tra la coorte MASTER (2012-2015) e la corte PITER (2019-2021) emerge che c’è stato un aumento dei test nella seconda coorte e che in generale l’Italia si posiziona meglio rispetto agli altri partner europei come Grecia, Spagna e anche rispetto agli Stati Uniti. Probabilmente i clinici italiani hanno una maggiore inclinazione verso questo virus che è stato scoperto proprio in Italia.
Per quanto riguarda le caratteristiche dei pazienti valutati e non; gli stranieri in Italia vengono valutati di più rispetto ai nativi. Nei pazienti con epatite delta è stato evidenziato un aumento di transaminasi, cirrosi ed epatocarcinoma.

Spesso la diagnosi di epatite delta non arriva o arriva in ritardo a causa delle coinfezioni perché l’ipertransaminasemia o un danno del fegato in un paziente B positivo viene associato ad altre coinfezioni (HCV, HIV) piuttosto che alla presenza dell’epatite delta.

In conclusione, lo screening per l’epatite C è molto importante, va promosso con le campagne di sensibilizzazione oltre ad estenderlo e a trovare dei setting specifici.
È importantissimo adottare un modello con un approccio integrato che vede varie figure coinvolte, non solo gli specialisti ma anche la medicina generale e la famiglia anche per scoprire un’infezione del tutto asintomatica.

L’epatite delta invece andrebbe valutata su tutti gli individui HbsAg positivi. Auspichiamo che la percentuale dei pazienti sottoposti a screening quest’anno aumenti fortemente per passare dal 75% al 100%.

Kondili L. Screening HDV e HCV: a punto siamo. XXII congresso nazionale SIMIT 3-6 dicembre Pisa-Firenze.
1. BCG 2020 Wining the race to eliminate hepatitis C. https://web-assets.bcg.com/93/66/18060f3d45de834d7c62a8121454/winning-the-race-to-eliminate-hepatitis-c.pdf
2. Citarella A. et al., Screening, Linkage to Care and Treatment of Hepatitis C Infection in Primary Care Setting in the South of Italy Life (Basel). 2020 Dec 18;10(12):359. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33352991/
3. Marcellusi A. et al 3. www.progettopiter.it
4. Caminada S. et al., Risk of parenterally trasmitted hepatitis following exposure to invasive procedures in Italy: SEIEVA surveillance 2000-2021. J Hepatol. 2023 Jul;79(1):61-68. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/36935022/