Tumori gastrici: bocciato uso perioperatorio dell’immunoterapia


Carcinoma gastrico e della giunzione gastro-esofagea: dati ancora insufficienti per raccomandare l’impiego perioperatorio dell’immunoterapia

tumore gastrico

Al congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), tenutosi di recente a Madrid, sono state presentate le analisi ad interim di due studi di fase 3 in cui si è valutata l’aggiunta dell’immunoterapia alla chemioterapia in ambito perioperatorio in pazienti con tumori gastrici o della giunzione gastro-esofagea resecabili, non trattati in precedenza, e non selezionati in base ai biomarcatori. I due trial, KEYNOTE-585 e MATTERHORN, hanno mostrato risultati positivi per quanto riguarda i tassi di risposta patologica completa (pCR), ma l’impatto sulla sopravvivenza dei trattamenti valutati è ancora incerto.

Lo studio KEYNOTE-585
Per quanto riguarda lo studio randomizzato KEYNOTE-585, i dati della terza analisi ad interim hanno evidenziato un miglioramento del tasso di pCR (che era uno degli endpoint primari del trial) nei primi 987 pazienti assegnati all’inibitore di PD-1 pembrolizumab rispetto al placebo in aggiunta al trattamento neoadiuvante e adiuvante con la chemioterapia (fluorouracile più cisplatino [FP] o fluorouracile, leucovorina, oxaliplatino più docetaxel [FLOT]): 13% contro 2,4%, con una differenza del 10,6% fra i due trattamenti (IC al 95% 7,4-14,0; P < 0,0001).

La maggior parte dei pazienti nella coorte principale (804 pazienti) non è stata trattata con il regime FLOT e in questa coorte i tassi di pCR sono risultati del 12,9% con pembrolizumab più la chemioterapia contro 2,0% con il placebo più la chemioterapia, con una differenza del 10,9% fra i due trattamenti (IC al 95% 7,5-14,8; P < 0,00001).

Tuttavia, la combinazione immunoterapia più chemioterapia non ha migliorato in modo statisticamente significativo il secondo endpoint primario, cioè la sopravvivenza libera da eventi (EFS), né nella coorte principale, con una mediana rispettivamente di 44,4 mesi contro 25,3 mesi (HR 0,81; IC al 95% 0,67-0,99; P = 0,0198), né nella coorte principale più la coorte di pazienti trattati con il regime FLOT, con una mediana rispettivamente di 45,8 mesi contro 25,7 mesi (HR 0,81; IC al 95% 0,68-0,97).
Nella coorte principale la mediana di sopravvivenza globale (OS) (un altro endpoint primario) è risultata di 60,7 mesi nel braccio trattato con pembrolizumab contro 58 mesi nel braccio di controllo (HR 0,9; IC al 95% 0,73-1,12) e gli autori stanno continuando a raccogliere i dati per l’analisi finale.

Quanto ai tassi di eventi avversi di grado ≥3 correlati al farmaco, nella coorte principale sono risultati simili nei due bracci: 65% contro 63%, rispettivamente.

Pazienti non selezionati in base all’espressione di PD-L1
«Da un lato è forse sorprendente che il miglioramento della pCR osservato nello studio KEYNOTE-585 non si sia tradotto in un prolungamento della sopravvivenza, perché sappiamo che negli studi di chemioterapia i regimi associati a tassi di pCR più elevati tendono a migliorare la sopravvivenza», ha commentato Elizabeth Smyth, dell’Oxford University Hospitals NHS Foundation Trust, non coinvolta nello studio. «Tuttavia, dall’altro lato sappiamo che l’immunoterapia nel carcinoma gastrico dà i risultati migliori nei pazienti con malattia PD-L1-positiva e che i pazienti in questo studio non sono stati selezionati in base all’espressione di questo biomarcatore. Per i pazienti con tumori con un’espressione elevata di PD-L1 (CPS ≥10), la differenza di EFS fra quelli trattati con pembrolizumab era significativa (HR 0,70)».

«Un altro fattore da considerare è che la maggior parte dei pazienti ha effettuato una chemioterapia a base di cisplatino anziché lo standard di cura, cioè il FLOT, nel quale è contenuto l’oxaliplatino, ritenuto più attivo in combinazione con gli inibitori dei checkpoint immunitari rispetto al cisplatino».

Lo studio MATTERHORN
Nello studio randomizzato MATTERHORN è stato riportato un aumento significativo del tasso di pCR tra i pazienti assegnati al trattamento con durvalumab più il regime FLOT (474) rispetto ai pazienti trattati con un placebo più il regime FLOT (474): 19% contro 7%, rispettivamente, con una differenza fra i due trattamenti del 12% (OR 3,08, IC al 95% 2,03-4,67; P < 0,00001).

Il tasso combinato di pCR/risposta patologica quasi completa è risultato del 27% nel braccio trattato con la combinazione di immunoterapia e chemioterapia contro 14% nel braccio di controllo. Tuttavia, non si è riscontrata alcuna differenza nella percentuale di pazienti che hanno completato l’intervento chirurgico (87% contro 84%) o nella percentuale di interventi con una resezione ottimale (con margini negativi, R0) (86% in ciascun braccio).

Tra i pazienti che hanno effettato l’intervento, la percentuale di pazienti in cui si è ottenuto un downstaging è risultata superiore nel braccio trattato con durvalumab (pT0, 23% contro 11%; pN0, 52% contro 36%).

Quanto alla sicurezza, i tassi di eventi avversi stati risultati simili nei due bracci di trattamento, sia quelli di grado 3/4 (69% nel braccio durvalumab contro 68% nel braccio di controllo), sia quelli correlati al trattamento di qualsiasi grado (95% contro 94%) sia quelli correlati al trattamento di grado 3/4 (58% contro 56%).

Attesa per i dati di EFS
Lo studio è tuttora in corso e il follow-up prosegue per la valutazione dell’endpoint primario, rappresentato dall’EFS.
«Lo studio MATTERHORN presentava sostanzialmente lo stesso disegno dello studio KEYNOTE-585, ma l’uso di FLOT – che è lo standard di cura raccomandato dalle linee guida ESMO –  come unico regime chemioterapico si riflette nei tassi di pCR più alti raggiunti, anche nel braccio di controllo, rispetto allo studio KEYNOTE-585», ha commentato la Smyth. «È particolarmente incoraggiante osservare la sicurezza della combinazione di durvalumab più FLOT e che non ha compromesso la possibilità per i pazienti di sottoporsi alla chirurgia. Tuttavia sebbene i risultati siano promettenti, è necessario disporre dei dati sull’EFS prima di poter ipotizzare un qualsiasi impatto sulla pratica clinica», ha aggiunto l’esperta.

In conclusione
I risultati di questi studi erano molto attesi dagli oncologi, dal momento che nei pazienti con tumori gastrici o della giunzione gastro-esofagea sottoposti a resezione chirurgica dopo il trattamento adiuvante con il regimeFLOT attualmente il tasso di recidiva è ancora del 50%.

Tuttavia, ha concluso la Smyth, «…questi risultati sono ancora insufficienti per raccomandare l’aggiunta degli inibitori dei checkpoint immunitari nella terapia perioperatoria. Se i risultati di EFS dello studio MATTERHORN non saranno positivi, dovremo procedere a eseguire studi nei quali i pazienti siano selezionati sulla base dei biomarcatori. Oltre ai tumori PD-L1 positivi, anche quelli che presentano un’alta instabilità dei microsatelliti (MSI-H), che costituiscono l’8-10% degli adenocarcinomi gastroesofagei operabili, mostrano un’eccellente sensibilità all’immunoterapia e sono in corso studi nei quali si stanno esaminando combinazioni di inibitori dei checkpoint immunitari in sottogruppi di pazienti con MSI-H».

Bibliografia
K. Shitara, et al. Pembrolizumab plus chemotherapy vs chemotherapy as neoadjuvant and adjuvant therapy in locally-advanced gastric and gastroesophageal junction cancer: the phase 3 KEYNOTE-585 study. Ann Oncol. (2023) 34 (suppl_2):LBA74.
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Y.Y. Janjigian, et al. Pathological complete response (pCR) to durvalumab plus 5-fluorouracil, leucovorin, oxaliplatin and docetaxel (FLOT) in resectable gastric and gastroesophageal junction cancer (GC/GEJC): interim results of the global, phase 3 MATTERHORN study. Ann Oncol. (2023) 34 (suppl_2):LBA73.
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