Tumore del colon-retto: conferme per analisi del DNA tumorale circolante


Tumore del colon-retto: si consolida sempre di più il ruolo della biopsia liquida, e in particolare dell’analisi del DNA tumorale circolante (ctDNA)

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Si consolida sempre di più il ruolo della biopsia liquida, e in particolare dell’analisi del DNA tumorale circolante (ctDNA), come strumento per la diagnosi dei tumori solidi e di monitoraggio della risposta. Nuove evidenze a supporto di questa tecnica di indagine nel tumore del colon-retto, arrivano infatti da vari studi presentati di recente a Madrid, in occasione del congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO). Restano, tuttavia, alcuni limiti.

Vantaggi e limiti
La biopsia liquida è uno strumento sempre più importante nella sfida contro il cancro e presenta indubbi vantaggi rispetto all’approccio tradizionale, costituito dall’analisi del tessuto tumorale. Tra i pregi della biopsia liquida vi sono l’invasività minima, i tempi di refertazione molto rapidi e l’assenza di complicanze, dato che può essere effettuata con un semplice prelievo di sangue (o altri fluidi biologici). Inoltre, oggi, la biopsia liquida tende ad essere sempre più precisa, grazie alla possibilità di analizzare frammenti di ctDNA differenti per ogni neoplasia.
D’altro canto, il gran numero di saggi disponibili e utilizzati nella ricerca clinica per l’analisi del ctDNA rappresenta ancora un fattore limitante per la validazione degli approcci migliori e il raggiungimento di prove più solide in questo campo.

Lo studio PEGASUS
Uno degli studi presentati a Madrid su questo tema è PEGASUS, un trial prospettico multicentrico nel quale si è analizzato il ctDNA con un saggio disponibile in commercio (Guardant Reveal) per esaminare la malattia minima residua (MRD) dopo l’intervento chirurgico e dopo il trattamento adiuvante in pazienti con tumore del colon in stadio II ad alto rischio III o in stadio III.

Lo studio ha dimostrato che la biopsia liquida può aiutare a orientare la gestione post-chirurgica di questi pazienti, riducendo la tossicità non necessaria e migliorando la risposta alla chemioterapia.

Nello specifico, il trattamento post-chirurgico si basava sull’impiego per 3 mesi di capecitabina-oxaliplatino in presenza di ctDNA (ctDNA+) o per 6 mesi di capecitabina in assenza di ctDNA (ctDNA-); nel setting post-adiuvante, invece, i pazienti passavano al trattamento con acido folinico-fluorouracile-irinotecan (FOLFIRI) se risultavano ctDNA+ alla biopsia liquida, a una deintensificazione del trattamento con capecitabina se risultavano ctDNA- dopo il trattamento con capecitabina o all’intensificazione del trattamento con capecitabina-oxaliplatino se ctDNA+.

Su un totale di 135 pazienti inclusi nella popolazione per-protocollo, 35 (il 26%) erano ctDNA+ dopo l’intervento.

Dopo i 3 mesi di trattamento con capecitabina-oxaliplatino, 11 pazienti su 35 (il 31%) sono diventati ctDNA-, ma, di questi, 8 (il 73%) hanno poi avuto una recidiva o sono tornati a essere ctDNA+.
Dei 24 pazienti trattati con FOLFIRI dopo capecitabina-oxaliplatino, 13 (il 54%) sono rimasti ctDNA+ (e sei di essi sono andati incontro a una recidiva di malattia), mentre i restanti 11 (il 46%) sono diventati ctDNA- e non avevano sviluppato nessuna recidiva al momento dell’analisi (follow-up mediano di 21,2 mesi).

Possibile una de-intensificazione del trattamento nei pazienti ctDNA- a basso rischio
«La clearance del ctDNA misurata con il test Guardant Reveal dopo la terapia standard di 3 mesi con capecitabina-oxaliplatino non sembra essere indicativa dell’efficacia del trattamento nell’eradicazione della MRD, dato il tasso elevato (73%) di successive recidive», ha commentato Jeanne Tie, del Peter MacCallum Cancer Centre di Melbourne e del Walter and Eliza Hall Institute of Medical Research di Parkville, in Australia. «Quasi la metà (11 su 24) dei pazienti rimasti ctDNA+ dopo la terapia standard di 3 mesi con capecitabina-oxaliplatino è riuscita a ottenere una clearance del ctDNA utilizzando poi FOLFIRI come ‘seconda linea’ adiuvante e non aveva sviluppato recidive all’ultimo follow-up. Questa è la prima evidenza riportata che un’opzione terapeutica ulteriore – in questo caso FOLFIRI – può essere in grado di eliminare l’MRD resistente al trattamento adiuvante a base di oxaliplatino».

L’esperta ha aggiunto che un altro dato interessante emerso da PEGASUS è il basso tasso di recidiva (7%) nei pazienti con tumore del colon in stadio III e II ad alto rischio, nonostante abbiano ricevuto solo capecitabina in dose singola, a sostegno del ricorso ad una strategia di de-intensificazione del trattamento nei pazienti ctDNA- a basso rischio.

Nel commentare la metodologia impiegata nel trial, Umberto Malapelle, Professore associato di Anatomia patologica dell’Università ‘Federico II’ di Napoli, ha affermato che studi come PEGASUS sono molto utili non solo per definire la validità analitica di questo approccio, ma anche per confermarne la validazione clinica.

«Tuttavia», ha sottolineato Malapelle, «occorre tenere presente che è molto difficile definire un gold standard in questo contesto. In assenza di campioni tissutali di confronto da analizzare, la presenza di uno stato di metilazione positivo nel sangue potrebbe dare un falso positivo, per cui l’unica opzione – l’attuale gold standard – resta il follow-up clinico».

Altre evidenze dagli studi PRECISION, GALAXY e ASCOLT
Altri studi presentati al congresso evidenziano il valore dell’analisi del ctDNA nell’ambito dei tumori solidi.
Per esempio, nei pazienti con carcinoma del colon-retto, i dati dello studio PRECISION hanno dimostrato che le alterazioni genomiche presenti prima del trattamento (rilevate con il test Guardant360) e l’analisi della MRD a 4 settimane dall’intervento (valutata con il test Guardant Reveal) sono state in grado di stratificare accuratamente i pazienti in categorie prognostiche e potrebbero essere utili per orientare il clinico nella scelta di una chemioterapia adiuvante personalizzata per i pazienti con malattia metastatica resecabile.
Un aggiornamento dello studio GALAXY, condotto su 2176 pazienti con carcinoma del colon-retto resecato, ha mostrato che lo stato del ctDNA, analizzato ripetutamente con un saggio commerciale tumor-informed (Signatera), rappresenta il fattore prognostico più significativo, si è dimostrato predittivo degli outcome dei pazienti e potrebbe essere utilizzato per scegliere la chemioterapia adiuvante.

Da ultimo, i dati di un’analisi dello studio di fase 3 ASCOLT hanno dimostrato che in pazienti con carcinoma del colon-retto resecato, la rilevazione seriale del ctDNA mediante un test commerciale (SafeSEQ) entro un anno dalla chemioterapia adiuvante è risultata associata allo sviluppo di recidiva.

Limite nell’interpretazione dei risultati dovuto a sensibilità e specificità diverse 
«Questi risultati», ha detto la Tie, «confermano che la rilevazione del ctDNA dopo la chirurgia e nei momenti chiave post-trattamento è un fattore prognostico indipendente per il carcinoma del colon-retto resecato con intento curativo, utilizzando sia saggi specifici per il tumore (studio GALAXY) sia saggi ‘agnostici’, non specifici (studi PEGASUS, PRECISION e ASCOLT), nonostante il trattamento con capecitabina-oxaliplatino adiuvante, come nello studio PEGASUS».
Malapelle ha tenuto a sottolineare che, sebbene l’analisi del ctDNA mediante saggi di laboratorio commerciali e interni offra l’opportunità di esaminare contemporaneamente la presenza di diverse mutazioni associate alla malattia, un aspetto fondamentale da considerare è la gestione del campione di biopsia liquida. «Dobbiamo considerare l’emivita limitata del ctDNA – in molti casi solo 50 minuti o meno – che influisce sul momento ottimale della raccolta del campione. Inoltre, i diversi test hanno sensibilità e specificità diverse, che influiscono sull’interpretazione dei risultati. Per esempio, il test MRD a 14 geni per il carcinoma del colon-retto utilizzato nello studio ASCOLT aveva una sensibilità del 54% e una specificità dell’86%, che sono considerate relativamente basse, ma riflettono la realtà nel contesto del carcinoma del colon-retto resecato e non metastatico. Idealmente, i test dovrebbero raggiungere sensibilità e specificità almeno del 90%, ma per il carcinoma del colon-retto in stadio I-III questo risultato è difficile da raggiungere con i test attuali, a causa della bassa quantità di ctDNA presente nella biopsia liquida. Tuttavia, un miglioramento del limite di rilevazione potrebbe aumentare il rischio di risultati falsi positivi, per i quali abbiamo bisogno di adeguati controlli biologici».

In conclusione
Nonostante gli innegabili progressi nel campo, ci sono ancora fide da superare prima di arrivare a un’inclusione imminente della biopsia liquida nella gestione dei tumori solidi nella pratica clinica.
«Sono necessarie evidenze di qualità elevata, preferibilmente provenienti da studi clinici randomizzati, che esplorino diversi scenari di gestione basati sui risultati del ctDNA per ogni stadio della malattia in diversi tipi di tumore, nonché una maggiore comprensione delle basi biologiche dei risultati falsi negativi», ha sottolineato la Tie
Anche le analisi di costo-efficacia rappresentano un requisito per garantire il rimborso di un test nei sistemi sanitari di molti Paesi. Inoltre, potrebbero esserci limitazioni tecniche che impediscono l’uso di questa tecnologia nella pratica clinica. «La tecnologia di alto livello necessaria per eseguire i test non è uniformemente disponibile in tutto il mondo e dobbiamo renderne democratico l’accesso, in modo che tutti i pazienti ne possano beneficiare», ha concluso Malapelle.

Bibliografia
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