Carcinoma ovarico pretrattato: ubamatamab più cemiplimab efficaci


Carcinoma ovarico fortemente pretrattato: arrivano risultati promettenti con la combinazione del bispecifico ubamatamab più cemiplimab

Alleanza contro il Tumore Ovarico

La combinazione di due farmaci immunoterapici, l’inibitore di PD-1 cemiplimab e l’anticorpo bispecifico sperimentale ubamatamab, ha dato risultati molto promettenti, sia sul piano della sicurezza sia su quello dell’efficacia, come trattamento per pazienti con carcinoma ovarico avanzato, fortemente pretrattate, in uno studio di fase 1/2 tuttora in corso, di cui sono stati presentati nuovi risultati a Madrid in occasione del congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO).

Il razionale dello studio
Sviluppato da Regeneron, ubamatamab (REGN4018) è un anticorpo bispecifico interamente umano in grado di legarsi da un lato alla mucina 16 (MUC16, nota anche come CA125), una glicoproteina di superficie sovraespressa nel tumore ovarico, e dall’altro al recettore CD3 presente sulle cellule T.

In studi preclinici ubamatamab ha dimostrato di esercitare un’attività antitumorale dose-dipendente contro le cellule di carcinoma ovarico che esprimono MUC16 e in questi studi cemiplimab ha dimostrato di potenziare l’attività del bispecifico. «C’era, dunque, un forte razionale per aggiungere il blocco di un checkpoint immunitario, al fine di rendere il bispecifico ancora più efficace», ha sottolineato l’oncologa.

Nella parte di dose-escalation dello studio, il primo sull’uomo, ubamatamab in monoterapia ha dimostrato di avere un profilo di sicurezza accettabile e di produrre risposte durature. Al congresso europeo di quest’anno la O’Cearbhaill e gli altri autori hanno presentato dati di sicurezza ed efficacia del trattamento con ubamatamab combinato con cemiplimab a dosi crescenti.

Lo studio
Lo studio (NCT03564340) ha convolto pazienti di almeno 18 anni con una diagnosi di carcinoma ovarico, delle tube di Falloppio o peritoneale primitivo recidivante, con livelli di CA-125 due volte sopra il limite superiore di normalità, e precedentemente trattato con almeno un ciclo di terapia a base di platino.

Le partecipanti sono state trattate con ubamatamab per via endovenosa una volta alla settimana a un dosaggio compreso tra 1 e 450 mg, dopo un incremento graduale della dose (step-up), strategia utilizzata per mitigare il rischio di sindrome da rilascio di citochine (CRS).

A partire dal giorno 29 e fino al giorno 36 è stato aggiunto cemiplimab 350 mg ev ogni 3 settimane.

Gli endpoint primari dello studio erano la sicurezza e la farmacocinetica, mentre gli endpoint secondari includevano il tasso di risposta obiettiva (ORR) confermato, la durata della risposta (DoR), la sopravvivenza libera da progressione (PFS, valutata secondo i criteri RECIST 1.1) e la risposta del CA125 (valutata secondi i criteri del GCIG).

Pazienti fortemente pretrattate e ad alto rischio
Fra il 7 gennaio 2020 e il 27 dicembre 2022 la O’Cearbhaill e i colleghi hanno arruolato 35 pazienti, di cui 29 (l’82,9%) sono state trattate con ubamatamab e almeno una dose di cemiplimab.

L’età mediana delle pazienti era di 63 anni e l’89% di esse aveva un tumore con istologia sierosa di alto grado. Inoltre, le partecipanti erano fortemente pretrattate e presentavano caratteristiche di alto rischio.

Infatti, il numero mediano di terapie effettuate in precedenza dalle pazienti era pari a cinque (range: 1-10), circa il 43% di esse aveva metastasi viscerali circa una su quattro presentava mutazioni deleterie dei geni BRCA1 e BRCA2.

La durata mediana dell’esposizione a ubamatamab e a cemiplimab è stata rispettivamente di 11 (range: 2-75) e 12 (range: 3-69) settimane.

Risultati preliminari di efficacia molto promettenti
«I risultati di efficacia sono davvero entusiasmanti», ha detto la O’Cearbhaill.

Sono state osservate risposte obiettive con dosi di ubamatamab comprese tra 10 e 250 mg. Nelle 22 pazienti in cui si è valutata l’efficacia e che sono state trattate con almeno una dose di cemiplimab, l’ORR è risultato del 18,2% (IC al 95% 5,2-40,3), mentre la stima della mediana della DoR è risultata di 8,3 mesi (IC al 95% 4,2-non stimabile) e una paziente ha mostrato una DoR di 16,6 mesi nel momento in cui ha interrotto la terapia per trattare un secondo tumore.

Il tasso di risposta del CA-125 è risultato del 22,7% (IC al 95% 7,8-45,4), mentre il tasso di PFS a 6 mesi è risultato del 47,6% (IC al 95% 25,7-66,7) e il il tasso di PFS a 12 mesi del 23,8% (IC al 95% 9-43%).

Inoltre, due pazienti che avevano mostrato una crescita della lesione target (+17%, +31%) e un aumento di oltre il 50% del CA-125 sierico durante le prime 4-5 settimane di trattamento, prima di aggiungere cemiplimab a ubamatamab, hanno mostrato successivamente risposte parziali e del CA-125. Si sono osservate risposte parziali anche in due pazienti che avevano metastasi epatiche intraparenchimali.

Le analisi hanno anche mostrato che la farmacocinetica di ubamatamab non è stata influenzata da cemiplimab.

Trattamento tollerabile
Il trattamento con ubamatamab a dosi comprese fra 1 e 250 mg si è dimostrato tollerabile e l’aggiunta di cemiplimab dopo 4-5 settimane di assunzione del bispecifico è stata generalmente ben tollerata, hanno riferito gli autori.

Tutte le pazienti hanno manifestato almeno un evento avverso emergente dal trattamento. I più comuni sono stati dolore (82,9%, di cui il 20% di grado 3) e CRS (68,6%, tutti eventi di grado 1/2), che si sono manifestati prevalentemente nelle prime 4 settimane di trattamento, durante lo step-up di ubamatamab.

In tre pazienti si sono registrate reazioni avverse immuno-mediate dopo l’aggiunta di cemiplimab: un’artrite di grado 2, una neuropatia periferica di grado 2 e una linfoistiocitosi emofagocitica primaria/sindrome da attivazione macrofagica (HLH/MAS) di grado 4, tutte attribuite al trattamento con l’anti-PD-1.

Gli eventi avversi emergenti dal trattamento di grado ≥3 più comuni sono stati anemia (25,7%), dolore (20,0%) e neutropenia (11,4%).

«Le uniche tossicità dose-limitante che abbiamo osservato sono state una neutropenia di grado 4 durata 7 giorni in un paziente trattato con 60 mg di ubamatamab, e una HLH/MAS di grado 4 nella coorte trattata con 450 mg», ha spiegato la O’Cearbhaill.

Inoltre, non si è raggiunta una dose massima tollerata; pertanto, sulla base di tutti questi dati, per la fase 2 di dose-expansion attualmente in corso gli autori hanno scelto di utilizzare la dose di ubamatamab pari a 250 mg.

Bibliografia
R. O’Cearbhaill. Ubamatamab (MUC16xCD3 bispecific antibody) with cemiplimab (anti-PD-1 antibody) in recurrent ovarian cancer: Phase I dose-escalation study. Ann Oncol. (2023) 34 (suppl_2): S507-S542. 10.1016/annonc/annonc1325. Link.