Mesotelioma: 1 paziente su 4 vivo a 3 anni con l’immunoterapia


Mesotelioma: per il 25% dei pazienti, pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia riduce del 21% il rischio di morte

Mesotelioma pleurico maligno: l'associazione di nivolumab più ipilimumab ha determinato un significativo miglioramento della sopravvivenza globale nei pazienti

L’Italia apre una nuova via della ricerca contro il mesotelioma pleurico, un tumore toracico particolarmente aggressivo. Uno studio clinico indipendente, IND.227, condotto da tre gruppi cooperativi e coordinato dall’Istituto Nazionale Tumori di Napoli IRCCS Fondazione Pascale, dal Canadian Cancer Trials Group (CCTG) e dall’Intergruppo cooperativo toracico francese (IFCT), ha definito una nuova opzione terapeutica nel mesotelioma pleurico non operabile o metastatico, una neoplasia molto difficile da trattare. Nel lavoro, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “The Lancet”, l’immunoterapia con pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia con platino e pemetrexed, in prima linea, ha migliorato significativamente la sopravvivenza globale, riducendo il rischio di morte del 21%. A 3 anni il 25% dei pazienti trattati con la combinazione era vivo rispetto al 17% con la sola chemioterapia. Anche la sopravvivenza libera da progressione è risultata significativamente migliore.

“Lo standard di cura del mesotelioma pleurico per 20 anni è stato rappresentato dalla chemioterapia, con risultati insoddisfacenti – spiega Francesco Perrone, Presidente AIOM -. Questo studio di fase 3 ha coinvolto 440 pazienti di 51 centri in Italia, Canada e Francia e dimostra l’alto valore della ricerca indipendente. Va inoltre evidenziato che quasi la metà dei pazienti, 212, erano italiani, a dimostrazione del ruolo centrale svolto dal nostro Paese. Il disegno dello studio è frutto del lavoro di ricercatori italiani e canadesi. Collaborazioni accademiche internazionali come questa rappresentano uno strumento importante per esplorare nuove strategie contro il cancro e per definire nuove cure in grado di migliorare la prognosi dei pazienti, soprattutto nel caso di malattie poco frequenti come il mesotelioma pleurico. I risultati di questa ricerca, infatti, sono destinati ad avere un impatto tangibile e significativo sulla vita dei pazienti”.

“Diciassette centri italiani hanno partecipato allo studio IND.227 – afferma Marilina Piccirillo, Dirigente Medico della Struttura Complessa Sperimentazioni Cliniche del ‘Pascale’ di Napoli e coordinatore scientifico dello studio IND.227 in Italia –. Il miglioramento della sopravvivenza a 3 anni dell’8% è un risultato significativo in una patologia come il mesotelioma, che ha una prognosi ancora infausta. Lo stesso vale per la sopravvivenza libera da progressione e per la risposta. Quest’ultima, che equivale alla riduzione delle dimensioni del tumore, si è ottenuta nel 62% nei pazienti trattati con pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia rispetto al 38% di quelli trattati con la sola chemioterapia, quindi quasi un raddoppio del tasso di risposta. Questo aspetto è importante, perché i pazienti con il mesotelioma spesso sono molto sintomatici e la riduzione delle dimensioni del tumore in genere corrisponde a un miglior controllo dei sintomi respiratori e del dolore. Ci auguriamo che questa nuova opzione terapeutica sia resa disponibile in pratica clinica quanto prima”.

Ogni anno, in Italia, sono stimati circa 2000 nuovi casi di mesotelioma. Il principale fattore di rischio è costituito dall’esposizione all’amianto, riconosciuta nel 90% delle diagnosi. Per la sua natura di malattia professionale, è attivo un sistema nazionale di sorveglianza con segnalazione obbligatoria. Questi dati confluiscono nel Registro Nazionale Mesoteliomi (ReNaM). L’impiego del minerale nel nostro Paese è terminato nel 1992, con la legge che ne ha decretato un generale divieto di estrazione, importazione, esportazione, commercializzazione e produzione, ma restano importanti le quantità di amianto presenti ancora nei territori, soprattutto in diverse tipologie di strutture. “Il mesotelioma può insorgere a distanza di decenni dopo l’esposizione all’amianto. Pertanto, oggi, continua ad essere diagnosticato, proprio per l’uso intenso del minerale dal secondo dopoguerra fino all’inizio degli anni Novanta – sottolinea Federica Grosso, Responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale Mesotelioma e Tumori Rari dell’Azienda Ospedaliera Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria -. I settori più coinvolti sono l’edilizia e l’industria pesante, dai quali deriva il 60% dei casi registrati negli archivi del Registro Nazionale. In alcune zone del nostro Paese, come Casale Monferrato, Mestre, Savona e Ancona, il mesotelioma è un tumore frequente, ma nella maggior parte del territorio è raro. I primi sintomi, di solito presenti da alcuni mesi dal momento della diagnosi, sono dolore toracico, difficoltà respiratoria e tosse. Il segno più frequente è la formazione di liquido pleurico nelle localizzazioni toraciche. Studi recenti hanno evidenziato il ruolo dell’immunoterapia in questa neoplasia e IND.227 segna un ulteriore importante progresso della ricerca”.

“La tragica vicenda dell’esposizione professionale ed ambientale ad amianto in Italia, con la lunga scia di morti per tumore, ci ha permesso di sviluppare più esperienza e sensibilità su questo tema rispetto ad altri Paesi – conclude Saverio Cinieri, Presidente Fondazione AIOM -. I tempi di latenza della malattia sono molto lunghi. Possono andare da 20 a oltre 40 anni dall’inizio dell’esposizione. L’età media alla diagnosi infatti è di circa 70 anni e le ricadute sociali e giudiziarie non possono essere trascurate. L’amianto, purtroppo, è ancora presente nel nostro territorio. È un agente cancerogeno certo, oltre che per il mesotelioma pleurico, anche per polmoni, laringe, ovaio, peritoneo, pericardio, tunica vaginale del testicolo, colon-retto, esofago, stomaco e faringe”.