Colangite biliare primitiva: buoni risultati con Seladelpar


Colangite biliare primitiva: Seladelpar ha ridotto la fosfatasi alcalina sierica e la bilirubina in 12 mesi in oltre il 60% dei pazienti

La Colangite Biliare Primitiva colpisce oggi, in Italia, oltre 18.000 persone. Dietro questo dato si nascondono però molti casi sommersi

Seladelpar, un agonista selettivo del recettore PPAR (peroxisome proliferator-activated receptor) delta, ha ridotto la fosfatasi alcalina sierica e la bilirubina in 12 mesi in oltre il 60% dei pazienti con colangite biliare primitiva rispetto al 20% dei pazienti trattati con placebo. Sono questi i risultati preliminari di uno studio di fase 3 che supportano la richiesta di approvazione normativa da parte della FDA per seladelpar.

La PBC colpisce principalmente le donne; 1 donna su 1.000 di età superiore ai 40 anni convive con la PBC. È una malattia autoimmune rara, cronica e progressiva del fegato, caratterizzata da un flusso biliare compromesso e da un accumulo di acidi biliari tossici. L’infiammazione e la distruzione dei dotti biliari intraepatici che si accompagnano possono causare la progressione verso fibrosi, cirrosi e insufficienza epatica. Altri sintomi clinici della PBC comprendono affaticamento e prurito, che possono essere piuttosto invalidanti in alcuni pazienti.

Seladelpar è un agonista potente, selettivo, attivo per via orale del recettore PPARδ in sviluppo per il trattamento di pazienti affetti da una malattia epatica autoimmune, la colangite biliare primitiva (PBC).
Ha ricevuto la designazione di terapia rivoluzionaria (FDA) e lo status PRIME (EMEA) oltre alla designazione di farmaco orfano negli Stati Uniti e in Europa. Supportata da un ampio corpo di prove cliniche e dall’esperienza globale dei pazienti attraverso i suoi studi di Fase 2 e Fase 3 (ENHANCE) su seladelpar nella colangite biliare primitiva (PBC), l’azienda che ne sta seguendo lo sviluppo clinico, la CymaBay, ha avviato lo studio cardine internazionale di Fase 3 (RESPONSE) all’inizio del 2021.

Seladelpar è particolarmente adatto come potenziale trattamento per le malattie infiammatorie del fegato. Nel fegato, PPARδ è espresso in più tipi cellulari tra cui: epatociti, colangiociti, cellule di Kupffer e cellule stellate.
Dati preclinici e clinici supportano il suo effetto sulla regolazione dei geni coinvolti nella sintesi degli acidi biliari, nell’infiammazione, nella fibrosi e nel metabolismo, nello stoccaggio e nel trasporto dei lipidi.

“I risultati principali osservati nello studio RESPONSE sono entusiasmanti poiché evidenziano il potenziale di una nuova terapia efficace e sicura che non solo ottiene miglioramenti compositi nei test epatici, ma per una percentuale significativa di pazienti, normalizza queste misure”, Gideon Hirschfield che si occupa di ricerca sulle malattie autoimmuni del fegato presso il Toronto Centre for Liver Disease.
Nello studio in doppio cieco, controllato con placebo, 193 pazienti con colangite biliare primitiva (PBC) hanno ricevuto seladelpar 10 mg (n=128) o placebo (n=65) una volta al giorno per 12 mesi.

Dopo 52 settimane, il 61,7% dei pazienti nel gruppo di trattamento rispetto al 20% dei pazienti nel gruppo placebo ha raggiunto l’endpoint composito primario di riduzione della fosfatasi alcalina (ALP) (< 1,67 x il limite superiore della norma con una diminuzione del 15% dell’ALP) e bilirubina totale (< 1 limite superiore della norma).
Inoltre, il 25% dei pazienti trattati con seladelpar ha raggiunto la normalizzazione dell’ALP a 12 mesi rispetto allo 0% del gruppo placebo, con una riduzione percentuale media dei minimi quadrati dell’ALP del 42,4% contro il 4,3%, rispettivamente.

Anche i pazienti che presentavano prurito da moderato a grave al basale hanno riportato una riduzione significativa dopo 6 mesi di trattamento con seladelpar.
“Sebbene le terapie esistenti di prima e di seconda linea abbiano aiutato i pazienti che convivono con la PBC, questa è la prima potenziale terapia a rivelarsi promettente sia nel miglioramento significativo dei marcatori associati al rischio di progressione della malattia, sia nella riduzione significativa del prurito”, ha affermato Hirschfield.

Secondo il comunicato emesso dall’azienda che sta sviluppando il farmaco, la sicurezza era paragonabile tra i gruppi e coerente con i risultati precedenti. Non si sono verificati eventi avversi gravi correlati al trattamento.

L’azienda farmaceutica ha anche annunciato che sono in corso ulteriori analisi dei dati dello studio RESPONSE.