Oncologia: da Aifa 9 nuove indicazioni per pembrolizumab


L’Agenzia italiana del farmaco autorizza la rimborsabilità da parte del Sistema sanitario nazionale di 9 nuove indicazioni di pembrolizumab in monoterapia o in combinazione

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Aumentano ancora, e parecchio, le possibilità di utilizzo dell’inibitore dei checkpoint immunitari pembrolizumab nel nostro Paese, nella pratica clinica.

L’Agenzia italiana del farmaco, infatti, ha da poco autorizzato con la Determina n. 476/2023, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.166 del 18 luglio scorso, la rimborsabilità da parte del Sistema sanitario nazionale di ben 9 nuove indicazioni del farmaco, in monoterapia o in combinazione, che riguardano il tumore della mammella triplo negativo, il melanoma, il tumore del rene, i tumori ginecologici, dell’esofago e alcuni tumori con MSI-H o dMMR. Questi ultimi sono legati a specifiche alterazioni genetiche: un’elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H) o un deficit del meccanismo di riparazione dei mismatch del DNA (dMMR).

Grazie a queste recenti approvazioni si amplia, per molti pazienti, la possibilità di accedere a un trattamento immunoterapico che potrà cambiare le loro aspettative di vita.

Dalla malattia metastatica a quella iniziale

Pembrolizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che blocca il checkpoint immunitario PD1/PD-L1, di fatto ‘togliendo il freno’ al sistema immunitario e riattivando le capacità naturali di difesa dell’organismo contro il tumore. In particolare, agisce legandosi al recettore PD-1 (programmed cell death-1, un regolatore negativo dell’attività delle cellule T coinvolto nel controllo delle risposte immunitarie di queste cellule) e impedendo la sua interazione con i ligandi PD-L1 e PD-L2 che possono essere espressi dalle cellule cancerose o del microambiente tumorale. Il blocco di questo legame determina un potenziamento delle risposte delle cellule T, comprese quelle antitumorali.
Il farmaco è stato approvato per la prima volta nel 2014 dalla Food and Drug Administration per il trattamento del melanoma metastatico. Successivamente è stato autorizzato anche per il trattamento del carcinoma del polmone non a piccole cellule metastatico, trasformando una malattia a rapida evoluzione, in una in cui i pazienti possono beneficiare del trattamento anche per lunghi periodi.
Introdotto inizialmente come trattamento per la malattia avanzata e già trattata, grazie ai risultati positivi di molteplici studi del programma KEYNOTE il suo utilizzo nel tempo si è molto ampliato e per svariati tumori si è spostato anche verso il trattamento di stadi più precoci della malattia, addirittura nel setting neoadiuvante.
Delle nuove indicazioni di pembrolizumab autorizzate dall’Aifa, alcune riguardano ancora il setting della malattia avanzata, altre quello della malattia in stadi precoci. Queste nuove indicazioni vanno ad aggiungersi alle 12 che erano già approvate per i pazienti italiani affetti da svariati tipi di tumori.

Nove nuove indicazioni

Vediamo, dunque, in dettaglio quali sono le nuove indicazioni per cui ora pembrolizumab è rimborsato, che possono essere suddivise in sei gruppi:

1) tumore della mammella triplo negativo

2) melanoma

3) tumore del rene

4) tumori ginecologici

5) carcinoma dell’esofago

6) alcuni tumori con MSI-H o dMMR


Tumore della mammella triplo negativo

Due sono le indicazioni per quali pembrolizumab potrà ora essere utilizzato in Italia nel trattamento del tumore della mammella ed entrambe riguardano il tipo triplo negativo, il più aggressivo e difficile da trattare, e quello con la peggiore prognosi. La prima indicazione è relativa alla malattia avanzata, la seconda a un setting molto più precoce dell’iter terapeutico, quello perioperatorio.
Nel primo caso, pembrolizumab è indicato in associazione a chemioterapia nel trattamento del carcinoma mammario triplo negativo localmente ricorrente non resecabile o metastatico negli adulti il cui tumore esprime PD-L1 con un Combined Positive Score (CPS) ≥ 10 e che non hanno ricevuto una precedente chemioterapia per malattia metastatica.
Il via libera delle agenzie regolatorie a questa indicazione è il frutto dei risultati positivi dello studio di fase 3 KEYNOTE-355, nel quale pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia (nabpaclitaxel, paclitaxel o gemcitabina/carboplatino) ha dimostrato di migliorare in modo significativo sia la sopravvivenza libera da progressione (PFS) sia la sopravvivenza globale (OS) rispetto alla sola chemio in questa popolazione di pazienti.
In particolare, nei pazienti con un CPS ≥ 10 la combinazione con pembrolizumab ha mostrato di ridurre del 35% il rischio di progressione della malattia o decesso rispetto alla sola chemio, con una mediana di PFS che è risultata rispettivamente di 9,7 mesi contro 5,6 mesi (HR 0,65; IC al 95% 0,49-0,86; one-sided P = 0,0012) e ridurre del 27% il rischio di decesso, con una mediana di OS rispettivamente di 23 mesi contro 16,1 mesi (HR 0,73; IC al 95% 0,55-0,95; two-sided P = 0,0185).
In base alla seconda indicazione ora autorizzata dall’Aifa, pembrolizumab potrà essere utilizzato anche in pazienti con carcinoma mammario triplo negativo in stadio precoce, prima e dopo l’intervento chirurgico. Nello specifico, il farmaco potrà essere impiegato in associazione con la chemioterapia come trattamento neoadiuvante e poi continuato in monoterapia come trattamento adiuvante dopo intervento chirurgico in pazienti adulti con carcinoma mammario triplo negativo localmente avanzato o in fase iniziale, ad alto rischio di recidiva.
L’approvazione di questa indicazione si deve ai risultati dello studio KEYNOTE-522, che è stato il primo trial di fase 3 su un farmaco immunoterapico a mostrare un beneficio di sopravvivenza libera da eventi (EFS) nel tumore della mammella triplo negativo iniziale ad alto rischio, su un campione di oltre 1000 pazienti. Dopo un follow-up mediano di 39 mesi, il trattamento perioperatorio con pembrolizumab ha dimostrato di ridurre il rischio di eventi o di decesso del 37% (HR 0,63; IC al 95% 0,48-0,82; P < 0,001) rispetto al regime perioperatorio costituito dalla chemioterapia neoadiuvante seguita da un placebo adiuvante.

Melanoma

Nel melanoma, la nuova indicazione permetterà di ampliare l’utilizzo del farmaco nel setting adiuvante. L’anti-PD-1, infatti, era già autorizzato in monoterapia per il trattamento post-chirurgico di pazienti adulti e adolescenti di almeno 12 anni con melanoma in stadio III, ma ora lo si potrà utilizzare anche per quelli in stadio IIB e IIC dopo la resezione completa del tumore. Pembrolizumab è stato il primo farmaco immunoterapico anti-PD-1 a ottenere questa indicazione.
Il trial che ne ha permesso l’approvazione è il KEYNOTE-716, uno studio di fase 3 nel quale pembrolizumab adiuvante ha dimostrato di migliorare in modo significativo rispetto a un placebo sia la sopravvivenza libera da recidiva (RFS), che era l’endpoint primario, sia la sopravvivenza libera da metastasi a distanza (DMFS), uno dei due endpoint secondari chiave, in quasi 870 pazienti con melanoma in stadio IIB o IIC resecato.
Nell’analisi finale pre-specificata della RFS, effettuata con un follow-up mediano di 20,5 mesi, si è evidenziata una riduzione del 39% del rischio di recidiva o decesso nel braccio trattato con pembrolizumab rispetto al braccio di controllo (HR 0,61; IC al 95% 0,45-0,82; P = 0,00046); inoltre, un’analisi ad interim della DMFS, con un follow-up mediano di 26,9 mesi, ha mostrato una riduzione del 36% del rischio di metastasi a distanza o decesso nei pazienti trattati con l’anti-PD-1 rispetto ai controlli (HR 0,64; IC al 95% 0,47-0,88; P = 0,00292).

Tumore del rene

Nel carcinoma a cellule renali, due nuove indicazioni vanno ad aggiungersi a quella già esistente in combinazione con un inibitore tirosin chinasico (TKI) per la malattia avanzata : un’ulteriore opzione in associazione con il TKI lenvatinib, sempre per la malattia avanzata, e l’altra per la malattia in fase precoce dopo la chirurgia in pazienti con metastasi resecate (M1NED). Questa seconda indicazione è di particolare importanza, poiché, dopo anni di attesa e molteplici studi non positivi, si ha ora la possibilità di avere un trattamento nel setting potenzialmente curativo.
Per quanto riguarda il setting metastatico, la nuova indicazione si è ottenuta grazie ai risultati dello studio di fase 3 CLEAR (Studio 307)/KEYNOTE-581, un trial condotto su quasi 1070 pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato nel quale il trattamento di prima linea con pembrolizumab in combinazione con lenvatinib ha dimostrato di migliorare in modo significativo la PFS rispetto al TKI sunitinib, con valori di mediana rispettivamente di quasi 2 anni (23,9 mesi) contro 9,2 mesi, e di ridurre significativamente, del 61%, il rischio di progressione o morte (HR 0,39; IC al 95% 0,32-0,49; P < 0,0001). Inoltre, la combinazione con pembrolizumab ha mostrato anche un miglioramento dell’OS, riducendo del 34% il rischio di decesso (HR 0,66; IC al 95% 0,49-0,88; P = 0,0049), e del tasso di risposta obiettiva (ORR) rispetto al TKI di confronto (71% contro 36%; P < 0,0001).
L’indicazione nel setting adiuvante, invece, si basa sui dati dello studio di fase 3 KEYNOTE-564, un trial che ha coinvolto 994 pazienti con carcinoma a cellule renali con maggior rischio di recidiva, definito come rischio intermedio-alto o alto o M1 con nessuna evidenza di malattia (no evidence of disease, NED). In questa popolazione, con un follow-up mediano di 29,7 mesi, il trattamento con pembrolizumab ha prodotto un miglioramento significativo della sopravvivenza libera da malattia (DFS), riducendo il rischio di recidiva o decesso del 37% (HR 0,63; IC al 95% 0,50-0,80; P < 0,0001) rispetto al placebo.


Tumori ginecologici

Due nuove indicazioni per pembrolizumab anche nell’ambito dei tumori ginecologici, in entrambi i casi in combinazione e in un setting di malattia avanzata: una per il tumore dell’endometrio e l’altra per il tumore della cervice uterina.
Nella prima indicazione pembrolizumab è registrato in associazione con lenvatinib per il trattamento del carcinoma dell’endometrio avanzato o ricorrente in pazienti adulte andate incontro a una progressione della malattia durante o dopo una precedente terapia contenente platino in qualsiasi setting, compresi quello neoadiuvante e adiuvante, e non candidabili a una chirurgia curativa o alla radioterapia.
Questa autorizzazione è il risultato dell’esito positivo dello studio di fase 3 KEYNOTE-775/Study 309, nel quale la combinazione di pembrolizumab e lenvatinib ha dimostrato di migliorare in modo significativo sia l’OS sia la PFS, che erano i due endpoint primari del trial, rispetto alla chemioterapia (doxorubicina o paclitaxel, a scelta dello sperimentatore) in una popolazione di 827 pazienti. In particolare, nell’analisi finale dell’OS, la mediana è risultata di 18,7 mesi con la combinazione di immunoterapia e TKI, a fronte di 11,9 mesi con la chemioterapia, con una riduzione del rischio di decesso del 35% per il braccio sperimentale (HR 0,65; IC al 95% 0,55-0,77; P < 0,0001), mentre l’analisi ad interim della PFS ha evidenziato una mediana rispettivamente di 7,2 mesi contro 3,8 mesi (HR 0,56; IC al 95% 0,47-0,66; P < 0,0001) e una riduzione del rischio di progressione o decesso del 44% per le pazienti trattate con pembrolizumab e lenvatinib.
Un altro tumore ginecologico per il quale pembrolizumab ha ricevuto il semaforo verde dell’Aifa alla rimborsabilità è il tumore della cervice uterina. In particolare, l’anti-PD-1 potrà essere utilizzato, in combinazione con la chemioterapia, con o senza bevacizumab, nel trattamento di pazienti adulte affette da carcinoma della cervice persistente, ricorrente o metastatico con un’espressione di PD-L1 con un CPS ≥ 1.
L’autorizzazione di questa indicazione, con riconoscimento dell’innovatività piena, si deve ai risultati dello studio di fase 3 KEYNOTE-826, uno studio che ha arruolato oltre 600 pazienti, e nel quale il regime con pembrolizumab ha migliorato in modo significativo sia l’OS, riducendo del 36% il rischio di morte (HR 0,64; IC al 95% 0,50-0,81; P = 0,0001), sia la PFS, con una riduzione del 38% del rischio di progressione o morte (HR 0,62; IC al 95% 0,50-0,77; P < 0,0001) rispetto alla chemioterapia, con o senza bevacizumab. Inoltre, nel braccio trattato con pembrolizumab più pazienti hanno risposto al trattamento rispetto al braccio di confronto: l’ORR è risultato, infatti, rispettivamente del 68% contro 50%.

Carcinoma dell’esofago

L’Aifa ha detto sì anche alla rimborsabilità di pembrolizumab, combinato con la chemioterapia, come trattamento per il tumore dell’esofago avanzato. In particolare, il farmaco è ora autorizzato, in associazione con la chemioterapia contenente platino e una fluoropirimidina, come trattamento di prima linea di pazienti adulti con carcinoma dell’esofago localmente avanzato non resecabile o metastatico o adenocarcinoma della giunzione gastroesofagea HER-2-negativo e con CPS ≥ 10.
Lo studio registrativo che ha permesso l’ottenimento di questa indicazione è il KEYNOTE-590, un trial di fase 3 che ha arruolato 749 pazienti con carcinoma dell’esofago localmente avanzato non resecabile o metastatico o carcinoma della giunzione gastroesofagea, di cui oltre la metà con un CPS ≥ 10. Lo studio ha evidenziato un miglioramento statisticamente significativo dell’OS e della PFS, che erano i due endpoint primari, nel braccio trattato con pembrolizumab più la chemioterapia con 5-fuorouracile (5-FU) e cisplatino, rispetto al braccio trattato con la sola chemioterapia, indipendentemente dall’istologia e dal grado di espressione di PD-L1. In particolare, nel sottogruppo di pazienti con CPS ≥ 10, a cui si riferisce l’indicazione, l’OS mediana è risultata di 13,5 mesi con pembrolizumab più la chemio contro 9,4 mesi con la sola chemio, con una riduzione del rischio di decesso del 38% per il braccio sperimentale (HR 0,62; IC al 95% 0,49-0,78; P < 0,0001), mentre la PFS mediana è risultata rispettivamente di 7,5 mesi contro 5,5 mesi, con un rischio di progressione o decesso quasi dimezzato (-51%) per i pazienti trattati con pembrolizumab in combinazione (HR 0,51; IC al 95% 0,491-0,65; P < 0,0001).


Tumori con MSI-H o dMMR

Da ultimo, pembrolizumab è stato reso disponibile anche per ulteriori quattro indicazioni che si aggiungono a quelle già esistenti nei pazienti con tumori che presentino MSI-H o dMMR, in particolare per:

  • Il carcinoma del colon-retto non resecabile o metastatico dopo una precedente terapia di associazione a base di una fluoropirimidina;
  • Il carcinoma dell’endometrio avanzato o ricorrente, con progressione della malattia durante o dopo un precedente trattamento con una terapia contenente platino in qualsiasi setting e non candidabili alla chirurgia curativa o alla radioterapia;
  • Il carcinoma gastrico, dell’intestino tenue o delle vie biliari, non resecabile o metastatico, con progressione della malattia durante o dopo almeno una precedente terapia.

L’instabilità dei microsatelliti (MSI) o deficit del mismatch repair (dMMR) è una condizione in cui vi è un alterato numero di ripetizioni di brevi sequenze di DNA tra il tessuto tumorale e quello normale che si instaura in cellule che presentano mutazioni in alcuni geni coinvolti nella riparazione degli errori che possono verificarsi quando il DNA viene copiato nelle cellule durante l’attività di divisione. Un’alta instabilità dei microsatelliti (MSI-H) o un dMRR possono essere presenti quando una cellula non è in grado di riparare gli errori che si verificano durante questo processo di divisione.
Le agenzie regolatorie avevano già dato il loro ok a un’altra indicazione di pembrolizumab per il trattamento di prima linea di pazienti con carcinoma del colon-retto metastatico con MSI-H o dMMR. Le nuove indicazioni, che vanno ad aggiungersi a quella già esistente, arrivano grazie ai risultati di due studi: il KEYNOTE-164 e il basket trial KEYNOTE-158.
Si tratta di due studi di fase 2 multicentrici, non randomizzati, in aperto, in cui si è valutato pembrolizumab in pazienti con tumori solidi con MSI-H o dMMR avanzati. Lo studio KEYNOTE-164 ha arruolato 124 pazienti con cancro del colon-retto con MSI-H o dMMR non resecabile o metastatico progredito dopo una precedente terapia a base di fluoropirimidine in combinazione con irinotecan e/o oxaliplatino. Lo studio KEYNOTE-158, invece,  ha arruolato 355 pazienti con tumori solidi con MSI-H o dMMR non resecabili o metastatici, compreso il cancro dell’endometrio, dello stomaco, dell’intestino tenue o delle vie biliari.