Terapie HIV: tre importanti parametri dei trattamenti da considerare


Nel decidere la terapia per una persona che vive con l’HIV, il medico dovrebbe considerare anche 3 importanti parametri dei trattamenti: potenza, barriera genetica e forgiveness

HIV: secondo i risultati di uno studio di fase III, con lenacapavir riduzione della carica virale in pazienti multiresistenti

Nel decidere la terapia per una persona che vive con l’HIV, il medico, oltre a tenere conto delle caratteristiche individuali del paziente, dovrebbe considerare anche tre importanti parametri dei trattamenti: potenza, barriera genetica e forgiveness. Se ne è parlato durante la 15esima edizione del congresso nazionale ICAR in una relazione del prof. Stefano Bonora che ha evidenziato come la triplice terapia a base di bictegravir/emtricitabina/TAF (B/F/TAF) possieda queste caratteristiche che la rendono un’ottima opzione terapeutica anche negli switch.

Le persone con HIV in terapia oggi sono tendenzialmente stabili e semplici da gestire o apparentemente semplici.
Stabilità significa, essenzialmente, permanente soppressione della carica virale ed è la prima cosa che gli infettivologi cercano di offrire alle persone con HIV. La situazione negli ambulatori da questo punto di vista è ormai da anni assolutamente positiva; la percentuale di pazienti soppressi all’interno della coorte ICONA, che corrisponde a quello che accade negli ambulatori, è da alcuni anni intorno al 90%.

L’atteggiamento terapeutico, e cioè l’atteggiamento dello specialista nei confronti della terapia, si è reso abbastanza omogeneo in questi ultimi tempi; nella coorte ICONA per la prima volta si è verificata una sostanziale sovrapposizione tra l’atteggiamento terapeutico usato nel paziente late presenter, sotto i 350 cmm di conta dei CD4, e quello nel paziente con una situazione “semplice” quindi oltre i 500 cmm di CD4.

Il regime più utilizzato negli ultimi anni nei pazienti in follow up in ICONA, dal 2020 al 2022 è stato in assoluto bictegravir/emtricitabina e TAF, seguito da DTG/3TC (dolutegravir/lamivudina).

Ci sono dei punti di riferimento dal lato farmacologico e virologico per capire la situazione attuale e riflettere sulla gestione dei pazienti.

Potenza
Il primo punto importante è la Potenza, cioè, avere farmaci in grado di mantenere quella che è un’attività antivirale adeguata; la Barriera genetica è il secondo punto fondamentale, quindi la quantità e la qualità delle mutazioni necessarie per dare resistenza ai farmaci che assume il paziente; e poi un concetto che è emerso negli ultimi anni e cioè la Forgiveness e quindi la capacità che ha il regime in sé di perdonare ritardi oppure omissioni di dose. Quest’ultimo concetto è collegato molto alla persistenza e all’emivita dei farmaci che fanno parte del regime considerato.

Questi tre fattori possono avere un peso un po’ diverso rispetto allo stadio del paziente; in un naive tutti contano molto ma sicuramente la potenza è molto importante così come la barriera genetica. In un paziente che ha una soppressione da molti anni invece, la forgiveness assieme alla barriera genetica assumono un’importanza superiore alla potenza stessa.

Però in ogni caso si ragiona su questi tre fattori.
“Essere stabili non vuol dire necessariamente essere casi di semplice gestione, non complicati. Per esempio, per quanto riguarda il discorso della potenza noi vediamo nei nostri ambulatori, rispetto agli studi clinici di switch, pazienti che hanno delle mutazioni selezionate dalla loro storia precedente; molto spesso, infatti, vengono da periodi di aderenza subottimale con fallimento, oppure da altri centri per cui non abbiamo su di loro tutti i risultati dei test di resistenza; questi in genere sono pazienti che non sono inclusi negli studi di switch in cui si evita appunto di inserire pazienti con mutazioni” evidenzia il prof. Stefano Bonora, professore associato di Malattie Infettive presso l’Università di Torino-Responsabile dell’Ambulatorio HIV dell’Ospedale Amedeo di Savoia di Torino.

Barriera genetica
Ci sono pochissimi studi di switch, come il BRAVE 2020, in cui è stata ammessa la presenza di mutazioni per quanto riguarda gli inibitori nucleotidici della trascrittasi inversa. Nel BRAVE 2020, studio randomizzato, multicentrico, open label, l’obiettivo era di valutare l’efficacia dello switch da qualunque tipo di regime a tre farmaci a B/F/TAF in pazienti afroamericani.

I risultati hanno mostrato che l’efficacia massimale si è mantenuta anche nei pazienti con mutazioni, in particolare la M184V/I.
Questo studio ha arruolato partecipanti che provenivano da un’ampia varietà di trattamenti, inclusi quelli con una storia di fallimento di trattamento o con documentata resistenza agli NRTI: entrambi questi gruppi di pazienti sono comunemente osservati nella pratica clinica, ma spesso esclusi dagli studi clinici. La preesistente resistenza all’NRTI, inclusa la mutazione M184V/I, non ha influito sull’efficacia.

Sappiamo che TAF ha un vantaggio farmacologico importante rispetto al TDF, che consiste nel suo accumulo in alcuni tipi di cellule. Questo accumulo sembra consentire un’efficacia maggiore anche nei confronti di una parte di virus, di ceppi virali, che risulterebbero invece resistenti al TDF perché albergano una o più mutazioni sulla trascrittasi. Tale efficacia arriva ad essere quattro volte superiore con TAF rispetto al TDF.
Per tale motivo, la terapia nei pazienti con mutazioni va pensata e gestita con attenzione.

“Passando al secondo punto, la barriera genetica rappresenta un po’ le conseguenze che possono insorgere nel nostro paziente nel momento in cui fallisce; sappiamo bene che la barriera genetica è normalmente molto elevata per quanto riguarda diversi approcci moderni. Dati importanti derivano dalla pratica clinica, dallo studio Resistance-Virostar condotto in Francia in cui sono stati considerati pazienti che erano andati incontro a fallimento con vari regimi terapeutici ed è stata verificata la comparsa delle mutazioni. Anche per B/F/TAF c’è un 5% di fallimento, ma questo raggiunge l’8% con DTG/ABC/3TC (dolutegravir/abacavir/lamivudina) e soprattutto questa percentuale aumenta con le dual therapy. Questi dati derivano da situazioni di vita reale quindi ci mostrano meglio la quotidianità dei pazienti” aggiunge Bonora.

Tutti questi dati concludono che nel modificare una terapia e nel gestirla sulla base delle caratteristiche del paziente bisogna tenere conto anche del rischio di resistenze associato ai farmaci. Bisogna tenere in considerazione la barriera genetica dei long acting che non è eccezionale e ciò è dimostrato dalla selezione di mutazioni al fallimento.

Forgiveness
Per quanto riguarda la forgiveness, i dati del prof. Franco Maggiolo di Bergamo ci dicono che nella pratica clinica, per mantenere la soppressione col regime B/F/TAF, basta un’aderenza minima del 70%, mentre con le terapie a due farmaci serve almeno un’aderenza del 90% per un successo a lungo termine.
Quindi oggi, rispetto a 20 anni fa in cui era assodato che fosse necessario un 95% di aderenza per non andare incontro al fallimento, la forgiveness è un concetto complementare all’aderenza minima richiesta al paziente, quindi, più è elevata la forgiveness del regime, minore è l’aderenza minima richiesta. Questo vuol dire che cambiando strategia terapeutica bisogna tenere conto della forgiveness.

In conclusione, il mantenimento della soppressione a lungo termine non è affatto scontato e semplice e richiede regimi che si adattino alle diverse situazioni dei pazienti; inoltre, l’apparente semplicità raggiunta con un approccio terapeutico non sempre si mantiene con approcci alternativi. Quindi, i tre pilastri da considerare ogni qualvolta si pensi di modificare una strategia terapeutica sono: potenza, barriera genetica e forgiveness.

Bonora S. Maximal and durable viral suppression in apparently un-complicated HIV patients: the role of B/F/TAF. ICAR 2023 Bari 14-16 giugno.

Debbie Hagins et al., Switching to Bictegravir/Emtricitabine/Tenofovir Alafenamide in Black Americans With HIV-1: A Randomized Phase 3b, Multicenter, Open-Label Study Acquir Immune Defic Syndr2021 Sep 1;88(1):86-95. doi: 10.1097/QAI.0000000000002731
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34397746/