Psoriasi a placche: nuovo studio spiega quando è efficace risankizumab


Psoriasi a placche: nei pazienti con risposta subottimale alla terapia con secukinumab o ixekizumab, risankizumab ha portato a una miglioramento di segni e sintomi di malattia

Psoriasi a placche e artrite psoriasica: gli inibitori dell'interleuchina-17 sono generalmente più persistenti degli inibitori del fattore di necrosi tumorale

Nei pazienti con psoriasi a placche da moderata a grave difficili da trattare, che avevano precedentemente avuto una risposta subottimale alla terapia con secukinumab o ixekizumab, risankizumab ha portato a una miglioramento dei segni e dei sintomi della malattia, secondo i risultati di uno studio di 52 settimane presentati al congresso 2023 dell’American Academy of Dermatology (AAD).

La psoriasi è una condizione infiammatoria cronica, immuno-mediata della pelle che produce una pelle ispessita e squamosa a causa della rapida crescita delle cellule cutanee. Colpisce circa 7,5 milioni di persone negli Stati Uniti, l’80-90% delle quali è affetta da psoriasi a placche. I pazienti sopportano anche un significativo carico emotivo, psicologico e sociale che può avere un impatto negativo sulla qualità di vita.

Risankizumab è un inibitore dell’interleuchina-23 (IL-23) che blocca selettivamente la citochina legandosi alla sua subunità p19. Si ritiene che la IL-23 sia coinvolta nei processi infiammatori e sia collegata a una serie di malattie croniche immuno-mediate tra cui la psoriasi, la malattia di Crohn, la colite ulcerosa e l’artrite psoriasica, patologie interessate dai trial di fase III in corso con risankizumab.

Studio su pazienti con risposta non ottimale alla terapia sistemica
Lo studio di fase IIIb, multicentrico, interventistico, in aperto, a braccio singolo, è stato condotto su adulti di almeno 18 anni di età con psoriasi a placche da moderata a grave. Ha incluso 252 partecipanti precedentemente trattati con secukinumab o ixekizumab (due inibitori della IL-17) per almeno sei mesi e che hanno ottenuto una risposta subottimale, definita da un punteggio sPGA (static Physician’s Global Assessment) di 2 o 3 e superficie corporea (BSA) interessata dalla malattia compresa tra il 3% e il 10%.

I partecipanti hanno ricevuto risankizumab alla dose di 150 mg alle settimane 0, 4 e poi una volta ogni 12 settimane, per un totale di 52 settimane, senza un periodo di washout. L’endpoint primario era la percentuale di partecipanti che raggiungevano un punteggio sPGA di 0/1 (pelle libera o quasi libera da lesioni) alla settimana 16. Gli endpoint secondari erano un punteggio di 0/1 nella sPGA alla settimana 52, oltre a un punteggio sPGA di 0, un punteggio DLQI di 0/1 e un punteggio di 0 nella Psoriasis Symptom Scale (PSS) alle settimane 16 e 52.

La durata media del trattamento è stata di 2,6 anni per i pazienti trattati con secukinumab e di 2,1 anni per quelli trattati con ixekizumab. I risultati di efficacia sono stati valutati in base all’attribuzione di non-responder. I limiti dell’analisi riferiti dai ricercatori includono la mancanza di un controllo con placebo o di un comparatore attivo.

Miglioramento della malattia dopo scarsa risposta all’inibizione della IL-17
Oltre la metà dei pazienti (56,3%) che hanno ricevuto risankizumab ha raggiunto l’endpoint primario di riduzione dei segni e dei sintomi della psoriasi (sPGA 0/1) dopo 16 settimane.

I dati salienti punti salienti di questa nuova analisi a 52 settimane includono:

  • La maggior parte dei pazienti (63,0%) ha raggiunto una risposta sPGA di 0/1) alla settimana 52 (endpoint primario)
  • I pazienti con punteggio pari a 0 nell’sPGA (pelle completamente senza lesioni) sono stati il 19,8% alla settimana 16 e il 26,2% e alla settimana 52 (un endpoint secondario)
  • I pazienti non hanno riportato sintomi come dolore, prurito, arrossamento e bruciore, come mostrato da un punteggio nella scala PSS pari a 0 alla settimana 16 (20,2%) e alla settimana 52 (27,4%) (un endpoint secondario)

In questa analisi non sono stati osservati nuovi segnali di sicurezza.

«Le terapie avanzate rappresentano un’opzione importante nel trattamento della psoriasi a placche, ma come medico è di fondamentale importanza valutare continuamente se i pazienti stanno avendo una risposta ottimale al trattamento, dato che la malattia residua può ancora avere un impatto significativo sulla vita di una persona» ha affermato il professor Richard Warren dell’Università di Manchester e della Norten Care Alliance, Regno Unito. «Questo studio ha dimostrato che risankizumab è stato in grado di migliorare i segni e i sintomi clinici dei pazienti con risposta subottimale con le terapie anti-IL-17 secukinumab e ixekizumab, contribuendo ad aggiungere evidenze a sostegno dell’uso di risankizumab nella psoriasi a placche da moderata a grave».