Radioterapia e rischio ipotiroidismo: parla l’esperta


L’esperta parla di un argomento complesso e importante: la radioterapia come fattore di rischio di problemi alla tiroide e in particolare di ipotiroidismo

Tumore della tiroide refrattario al radioiodio: cabozantinib dimostra un beneficio significativo in sopravvivenza libera da progressione rispetto al placebo

Una recente metanalisi dal titolo Breast cancer, breast cancer-directed radiation therapy and risk of hypothyroidism: A systematic review and meta-analysis , affronta un argomento complesso e importante, cioè quello relativo alla radioterapia come fattore di rischio di problemi alla tiroide e in particolare di ipotiroidismo.

Il commento di Alessandra Huscher, Specialista in Radioterapia Oncologica Unità Operativa di Radioterapia Oncologica e Responsabile Breast Unit, Fondazione Poliambulanza – Brescia

Come segnalato dagli stessi autori sono molti i fattori implicati nella riduzione della funzionalità tiroidea nelle pazienti trattata per neoplasie mammarie. Da casistiche derivanti da altre patologie e da precedenti studi, emerge il potenziale ruolo della radioterapia nell’induzione dell’ipotiroidismo, ma dai dati disponibili, in questo gruppo di pazienti non può essere definito con certezza il peso specifico del trattamento, in rapporto ad altri fattori.

Come specificato nei documenti tecnici nazionali ed internazionali (AIRO Best Practice 2022, ESTRO ) il rischio di ipotiroidismo è in relazione al volume ghiandolare esposto a dosi superiori a 30 Gy, ma altri cofattori possono biologicamente modificare questa soglia. Gli stessi documenti, nell’intento di contenere al massimo gli effetti collaterali dei trattamenti, includono la tiroide tra gli organi a rischio al fine di stimarne e minimizzarne l’irradiazione. Le tecniche di irradiazione più recenti presentano selettività e distribuzioni di dose diverse rispetto a quanto effettuato in molti studi inclusi nella metanalisi, pertanto il confronto con i dati pubblicati appare difficile.

Il valore del lavoro però, al di là dei dichiarati limiti metodologici, è di focalizzare l’attenzione dei clinici su una problematica nota, ma non del tutto esplorata, al fine di minimizzare i rischi di effetti collaterali anche tardivi del trattamento, ma soprattutto il monitoraggio biochimico per una precoce identificazione dell’eventuale deficit funzionale.