Tromboembolismo venoso: quando è possibile sospendere la terapia


L’incidenza delle recidive tromboemboliche nei pazienti che hanno sospeso la terapia anticoagulante dopo un primo episodio di tromboembolismo venoso è stata molto bassa

Gli inibitori di TNF-alfa riducono il rischio di tromboembolismo venoso nei pazienti affetti da artrite reumatoide secondo una nuova ricerca

Lo studio prospettico osservazionale, promosso da Fondazione Arianna Anticoagulazione, ha coinvolto 720 pazienti con un primo episodio di tromboembolismo venoso (trombosi venosa profonda eo embolia polmonare) afferenti a 20 centri ospedalieri italiani, valutati, dopo un ciclo primario di trattamento anticoagulante di almeno 3/6 mesi, per l’eventuale sospensione della terapia. Il 60% dei pazienti è andato incontro ad interruzione del trattamento mentre il 40% lo ha continuato, principalmente con anticoagulante orale diretto (DOAC), assunto a dosaggio ridotto in circa la metà dei casi.

Nonostante alcune linee guida internazionali suggeriscano di proseguire la terapia nei pazienti con un evento non-provocato, più del 50% dei pazienti che ha sospeso il trattamento aveva un evento indice di questo tipo.

Poche le recidive di TEV nel gruppo che ha sospeso l’anticoagulante (3% anni/paziente), così come nel gruppo che lo ha continuato (2.2% anni/paziente), con una differenza non significativa tra i due gruppi (p=0.402). Va notato che il 25% dei pazienti che ha interrotto la terapia ha iniziato cicli di sulodexide o acido acetilsalicilico. Come atteso, un numero significativamente più elevato di emorragie (sia maggiori che clinicamente rilevanti) si è verificato nei pazienti che hanno proseguito il trattamento anticoagulante (1.6%), rispetto a chi l’ha sospeso (0,1%), ma non in quelli che hanno proseguito con un basso dosaggio di DOAC (che nell’88% dei casi era apixaban 2,5 mg 2 volte al giorno e nel 12% rivaroxaban 10 mg).

“Questi dati confermano l’efficacia e la sicurezza dei DOAC a basso dosaggio nella trattamento esteso del TEV” – ha commentato la Dott.ssa Emilia Antonucci, coautrice dello studio- “Il risultato sorprendente è stata la bassissima incidenza di recidive anche in chi ha sospeso la terapia”- ha continuato Antonucci.- I clinici, agendo in modo che si è rivelato corretto, hanno basato la scelta di proseguire o meno il trattamento anticoagulante oltre che sulla natura dell’evento trombotico (provocato o non) anche sulla sede della trombosi, sulla presenza di alterazioni trombofiliche, nonché su ulteriori elementi (come il residuo trombotico o i valori del D-dimero) che hanno contribuito alla valutazione complessiva del rischio di recidiva.
Una gestione clinica ottimale quindi quella dei medici italiani che, mettendo al primo posto la valutazione individuale del paziente nella sua complessità è riuscita ad ottenere risultati migliori rispetto ai dati della letteratura internazionale, che segnalano un 10% di recidive trombotiche ad un anno dalla sospensione della terapia.

“I risultati del nostro studio sembrano mettere in dubbio l’opportunità di prolungare l’anticoagulazione in tutti i pazienti con eventi indice non provocati, come raccomandato da alcune linee guida internazionali ” -ha spiegato il Professor Gualtiero Palareti, Presidente di Fondazione Arianna Anticoagulazione e primo autore della ricerca-“ Nel presente studio, i clinici non hanno deciso la durata del trattamento anticoagulante principalmente sulla natura dell’evento indice, non provocato o provocato, ma piuttosto su una valutazione approfondita e completa delle caratteristiche del paziente.” Pertanto “è necessaria una più complessa stratificazione del rischio e sono necessari studi randomizzati che confrontino diverse procedure per decidere chi deve continuare la terapia anticoagulante dopo un primo episodio di TEV” – ha concluso Palareti.

I risultati della ricerca, presentati duranti il convegno, sono attualmente in fase di “peer-review” e vanno considerati preliminari fino alla loro pubblicazione su rivista scientifica internazionale.