Statine: infiammazione più predittiva di eventi cardiaci avversi


Terapia con statine: livelli di proteina C reattiva più predittivi di eventi cardiaci avversi rispetto alla colesterolemia LDL

L'uso di statine tra i pazienti con insufficienza cardiaca è associato a un rischio inferiore del 16% di sviluppare il cancro rispetto ai non utilizzatori

Per i pazienti che sono già in terapia con statine, a essere più strettamente legata a futuri eventi avversi è l’infiammazione più che la colesterolemia LDL. È quanto dimostra una nuova meta-analisi presentata a New Orleans, durante la riunione dell’American College of Cardiology/World Congress of Cardiology (ACC/WCC) 2023 e pubblicata in contemporanea online su “The Lancet”. L’associazione tra la proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hsCRP) e gli eventi è così forte, infatti, che i ricercatori ritengono indichi un percorso alternativo per affrontare il rischio residuo.

La meta-analisi è il frutto del lavoro condiviso dei ricercatori di tre studi: PROMINENT, REDUCE-IT e STRENGTH. «A tutti è noto che, in uomini e donne naïve al trattamento, l’infiammazione e l’iperlipidemia contribuiscono con entità molto simile ai rischi di futuri eventi aterotrombotici e che questi due processi interagiscono tra loro per produrre aterosclerosi» ha detto Paul M. Ridker, del Brigham and Women’s Hospital di Boston, MA) durante la presentazione all’ACC/WCC 2023.

Numerosi studi randomizzati controllati hanno dimostrato che, in aggiunta alla terapia con statine,  l’abbassamento aggiuntivo delle LDL, per esempio con ezetimibe o inibitori di PCSK9 e, più recentemente, l’acido bempedoico, può ridurre ulteriormente il rischio.

Allo stesso modo, ha continuato Ridker, gli studi hanno dimostrato un ulteriore beneficio oltre le statine quando si effettua una terapia mirata alla via infiammatoria con agenti come colchicina o canakinumab. Ciò suggerisce «che lower is better’ per entrambi i processi biologici» ha osservato.

Peraltro, come esattamente i medici debbano applicare questa conoscenza, specialmente quando non ci sono farmaci anti-infiammatori con indicazioni cardiovascolari (CV) approvati dagli enti regolatori del farmaco, non è ancora chiaro. «Questo problema, tuttavia, ha implicazioni molto ampie per la cura del paziente, per le linee guida cliniche, per l’efficacia dei costi e per lo sviluppo di farmaci» ha affermato Ridker.

Su questa base, gli autori della meta-analisi hanno deciso di esaminare l’importanza relativa della riduzione dell’abbassamento dei lipidi rispetto all’infiammazione, in particolare nei pazienti trattati con statine. «Quando abbiamo iniziato questo progetto, avevamo ipotizzato che sia le LDL che il CRP avrebbero contribuito in modo abbastanza uguale al rischio vascolare futuro. Questo non è ciò che abbiamo trovato, tuttavia, il che ha sorpreso tutti i principali ricercatori in questo studio» ha sottolineato Ridker.

Tre studi clinici randomizzati, una meta-analisi, un messaggio-chiave
Per questa meta-analisi, i ricercatori hanno analizzato – come accennato – i dati di PROMINENT, REDUCE-IT e STRENGTH, tutti originariamente progettati per testare l’abbassamento dei trigliceridi, per un totale combinato di 31.245 pazienti ad alto rischio di malattia aterosclerotica che stavano già ricevendo statine. La maggior parte dei pazienti era in terapia con statine ad alta intensità e due terzi erano in trattamento per la prevenzione secondaria.

Nei tre studi, i valori basali di hsCRP e colesterolo LDL erano «quasi identici», ha detto Ridker. I cut-off del quartile-1 per hsCRP variavano da < 1,1 a < 1,2 mg/L nei tre studi e quelli del quartile-4 da > 4,2 a > 4,8 mg/L. Per le LDL, i cut-off del quartile-1 variavano tra < 56 e < 62 mg/dL a seconda dello studio specifico e i valori del quartile-4 erano compresi tra > 89 e > 102 mg/dL.

Dopo aggiustamento per età, sesso, indice di massa corporea, stato di fumo, livello di pressione arteriosa, storia di malattia cardiovascolare (CVD) e assegnazione di trattamento randomizzato negli studi, i pazienti nel quartile più alto di hsCRP avevano maggiori rischi di sperimentare successivamente eventi avversi maggiori cardiovascolari (MACE), morte CV e morte per tutte le cause rispetto a quelli nel quartile più basso.

Le associazioni osservate per le LDL erano più modeste, con differenze minori tra i quartili più alti e più bassi per CV e morte per tutte le cause; il livello di LDL non ha avuto un impatto significativo sul MACE. In tutti e tre gli studi, e indipendentemente dall’assegnazione del trattamento randomizzato dei pazienti, le relazioni tra questi biomarcatori e gli eventi erano coerenti.

Più della metà dei partecipanti allo studio aveva hsCRP =/> 2 mg/L. Questo criterio da solo li ha messi a maggiore rischio di MACE, morte CV e morte per tutte le cause, indipendentemente dal fatto che avessero una colesterolemia LDL =/> 70 mg/dL.

«Sebbene questi dati non devono essere interpretati per diminuire il ruolo provato e cruciale dell’ipolipemizzante aggiuntivo per i pazienti con ipercolesterolemia persistente o refrattaria, i nostri dati suggeriscono che è improbabile che il targeting delle LDL da solo riduca completamente il rischio aterosclerotico e che le vie infiammatorie devono ancora essere pienamente sfruttate per affrontare davvero questo problema» ha concluso Ridker.

Le ricadute sulla pratica clinica
Ridker ha trascorso gran parte della sua carriera esplorando la cascata infiammatoria nella malattia CV aterosclerotica e testando agenti che potrebbero aiutare a invertire i suoi effetti negativi. I risultati di questo studio, ha detto, dovrebbero ricordare ai medici di tenere a mente l’infiammazione quando affrontano il rischio residuo nei loro pazienti.

«Io e i miei coautori pensiamo che questi risultati abbiano diverse implicazioni per la pratica clinica» ha detto Ridker. Per quanto riguarda la scelta tra un secondo agente ipolipemizzante e un agente antinfiammatorio, ci sono diverse opzioni attualmente disponibili da considerare in quest’ultima categoria: per i pazienti con funzionalità renale normale, ha detto, c’è la colchicina, a lungo usata per trattare la gotta e la pericardite ricorrente; poi l’acido bempedoico, che abbassa sia le LDL che l’hsCRP; così come gli inibitori del cotrasportatore 2 sodio-glucosio (SGLT2) e gli agonisti del recettore del peptide-1 glucagone-simile (GLP1), che hanno effetti antinfiammatori.

La colchicina in particolare, grazie agli studi LoDoCo2 e COLCOT, ha guadagnato attenzione al punto che è approvata dalle linee guida di prevenzione CV sia europee che sudamericane e da Health Canada per la riduzione degli eventi aterotrombotici negli adulti con mattia coronarica (CAD). Canakinumab, nonostante la promessa mostrata nello studio CANTOS, si è bloccato come candidato quando il produttore ha abbandonato l’idea di perseguire l’approvazione della FDA per un’indicazione CV. Inoltre, ci sono una varietà di studi in corso per colchicina e inibitori di IL-1, IL-6 e NLRP3.

Ridker ha detto che lui e i suoi colleghi prevedono che, in futuro, un approccio combinato alla terapia aggressiva che abbassa le LDL e inibisce l’infiammazione sarà la norma. E infine, ha osservato, i loro dati «supportano fortemente» gli sforzi di prevenzione dell’ACC e dell’American Heart Association (AHA) che incoraggiano una dieta sana, la perdita di peso, più esercizio fisico e la cessazione del fumo, «tutti fattori che riducono l’infiammazione vascolare e abbassano il tasso degli eventi cardiovascolari».

Misurazioni dell’hsCRP da effettuare routinariamente
«Questo studio fornisce «informazioni davvero significative sul rischio residuo, che tutti i nostri pazienti hanno quando assumono statine» ha detto Kim Williams dell’Università di Louisville, discutendo la meta-analisi dopo la presentazione di Ridker.

I risultati sollevano la questione del perché i test hsCRP non siano più di routine, ha sottolineato. «Sarebbe molto semplice da effettuare e interpretare». Anche nelle conversazioni su CLEAR Outcomes, un altro studio presentato all’ACC/WCC 2023, è stata prestata meno attenzione alla riduzione del 22,6% dei livelli di CRP a 6 mesi da parte dell’acido bempedoico rispetto alle capacità di abbassamento delle LDL del farmaco, ha detto Williams.

«Direi, come ho fatto per diversi anni, che dovremmo tutti misurare la CRP» ha concordato Ridker. «Misuriamo le LDL e la pressione arteriosa in modo da sapere cosa stiamo facendo. Ma se non si misura la CRP, non si ha idea se il paziente abbia questo problema, e chiaramente in questi 32.000 pazienti ciò era molto importante».

I principali limiti dello studio evidenziati in un editoriale di commento
In un editoriale di accompagnamento, il ricercatore principale dello studio COLCOT, Jean-Claude Tardif, e Michelle Samuel, entrambi del Montreal Heart Institute (Canada), concordano sul fatto che considerare i contributi relativi di infiammazione e iperlipidemia è importante «alla luce degli obiettivi terapeutici sempre più bassi per il colesterolo LDL, del legame tra infiammazione ed eventi clinici correlati alla malattia CV aterosclerotica, e delle terapie disponibili che possono essere aggiunte alle statine per abbassare ulteriormente i lipidi o ridurre l’infiammazione».

Tra i punti di forza del nuovo studio, scrivono, ci sono il suo essere basato su studi rigorosamente condotti e la grande dimensione del campione. Ma se questa meta-analisi è un passo importante verso una migliore comprensione, «si dovrebbe avere cautela» quando si interpretano i risultati, precisano Tardif e Samuel.

«In effetti, gli effetti dei bias confondenti, la potenziale modifica dell’effetto e l’importanza relativa del colesterolo rispetto all’infiammazione come fattori di rischio rappresentano limiti dell’analisi. L’uso di statine ad alta intensità e il diabete sono noti fattori confondenti per le associazioni tra colesterolo, infiammazione ed eventi CV. Tuttavia» sottolineano «i modelli di Cox multivariabili non hanno tenuto conto di questi fattori».

Altri limiti, secondo Tardif e Samuel, sono la mancanza di attenzione alla prevenzione primaria rispetto a quella secondaria e il fatto che sono stati utilizzati diversi modelli per calcolare individualmente i rapporti di rischio per hsCRP e LDL (sebbene gli editorialisti riconoscano che i modelli condivisi a effetti congiunti riportati nell’appendice dello studio combacino con i risultati principali).

Infine Tardif e Samuel concordano, nonostante le loro riserve, sul fatto che dalla meta-analisi emergono lezioni da applicare nella pratica. «I medici non dovrebbero più considerare l’ipolipemizzante intensivo e la riduzione dell’infiammazione come mutualmente esclusive, piuttosto come approcci complementari nei pazienti con malattia CV aterosclerotica che stanno già ricevendo la terapia con statine» dichiarano.

Bibliografia:
Ridker PM, Bhatt DL, Pradhan AD, et al. Inflammation and cholesterol as predictors of cardiovascular events among patients receiving statin therapy: a collaborative analysis of three randomised trials. Lancet, 2023 Mar 3. doi: 10.1016/S0140-6736(23)00215-5. [Epub ahead of print] leggi

Tardif JC, Samuel M. Inflammation contributes to cardiovascular risk in patients receiving statin therapy. Lancet, 2023 Mar 3. doi: 10.1016/S0140-6736(23)00454-3. [Epub ahead of print] leggi