A Vistamare Pescara prosegue la mostra Passeggiate Intergalattiche


Alla Galleria Vistamare di Pescara aperta fino al 15 settembre la mostra Passeggiate Intergalattiche di Anna Franceschini e Nanda Vigo

Passeggiate Intergalattiche

Vistamare presenta fino al 15 settembre 2023 Passeggiate Intergalattiche, una mostra di Anna Franceschini e Nanda Vigo, in collaborazione con l’Archivio  Nanda Vigo.

Da un’idea di Anna Franceschini – che con questo progetto dichiara un’affinità di spirito, di moto interiore e di meccanismo di pensiero con Nanda Vigo – l’esposizione rappresenta un dialogo tra due artiste che hanno dato voce, in momenti e contesti differenti, a una ricerca comune sui temi del movimento e dell’osservazione, del riflesso e della luce, attraverso opere eterogenee nei materiali quanto eclettiche nell’intuizione che le ha generate.

Fin dal titolo, Passeggiate Intergalattiche si propone come un’esplorazione spazio-temporale, un viaggio dimensionale, intimo, spirituale e, insieme, avventurosamente fantascientifico, nel segno della luce. Esplicita, riflessa, oscura, emanata o trattenuta, è una luce che non necessariamente fa vedere ma che, sicuramente, si fa vedere.

Le intuizioni delle due artiste si fondano su una grammatica dalla semplicità disarmante e su concetti radicali.

Per Nanda Vigo (Milano, 1936 – 2020) lo spazio si offre grazie al moltiplicarsi luminoso delle superfici. Per Anna Franceschini (Pavia, 1979) il tempo si manifesta in rotazioni infinite, in eterne oscillazioni. La chiarezza delle intenzioni e la lucentezza del pensiero lasciano spazio al mistero, al plasmarsi di un altrove esoterico dove tutto può accadere, pur entro le universali leggi della fisica.

Se il trigger della produzione artistica di Franceschini è il cinema, Vigo, nondimeno, innesca un brulichio dello spazio, un’interferenza nell’inquadratura architettonica che si traduce in un continuo movimento dell’immagine. Gli specchi, i Cosmos (1981) come gli Andromeda (1974), sono porte verso lo spazio infinito, sfondano l’architettura per penetrare nella materia. Le macchine di Franceschini invitano a varcare la soglia del conosciuto per perdersi in riflessioni infinite e in universi paralleli turgidi di possibilità.

Il percorso espositivo si sviluppa attraverso le sei stanze della galleria, progettate da Anna Franceschini come ambienti abitati: interni che affacciano su altri interni per aggettare sull’infinito. Come nel finale di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, l’universo, attraverso l’intelligenza dell’umanità, si trasforma in luoghi cari alla memoria personale e collettiva.

Nel salone principale, rischiarato dai dischi luminosi che sbocciano dal Light Tree (1983/84) di Nanda Vigo, la maestosa scultura cinetica La meccanica degli elementi (2022) di Anna Franceschini ruota su sé stessa per offrirsi alla vista con tutta l’umiltà e la grazia di una spiegazione semplice. L’opera mostra senza sosta e da ogni angolazione possibile i tre elementi che la compongono, adagiati su una pedana d’acciaio e caratterizzati dai colori del cielo nel momento in cui il sole sta per sorgere o per tramontare. Potrebbero anche cambiare disposizione – per volere dell’artista che non impone un display unico e predeterminato – ma sarebbero comunque adagiati con la grazia che promana dal movimento inteso come tratto fondamentale dell’esistenza.

La rotazione è ripresa nel video Do you know why they respect me? Because they think I’m dead (2019) di Anna Franceschini, nel quale oggetti apparentemente sconosciuti o destituiti dal loro significato corrente vibrano di un magnetismo cosmico, arrangiati in composizioni rituali. Chi entra è invitato a sostare dietro la smerigliatura del vetro di due leggendari Cronotopi di Nanda Vigo e a percepire le immagini in movimento attraverso la distorsione creata dalle sculture-lenti. Il Cronotopo diventa a sua volta un dispositivo cinematografico, un medium non solo metaforico ma fisico, media diaphana attraverso cui si può accedere a un’altra dimensione del vedere.

La calma rotazione universale del salone è il preludio a un raccoglimento ancora più profondo. Una stanza dall’oscurità avvolgente come il velluto rivela luci blu interstellari e gesti femminili dispersi nell’astrazione del cosmo.

Altre sale sono abitate da presenze morbide, soggetti-oggetti di pelliccia e parrucche sintetiche che mettono in discussione le quotidiane gerarchie tra esseri animati e inanimati e prendono un possesso leggero e discreto di ambienti che incarnano la quintessenza di un salotto, di uno studiolo, di una sala da pranzo. Ed ecco che il desco, il pasto come momento conviviale per eccellenza, è anch’esso trasfigurato in un repertorio formale, attraverso un set di stoviglie scultoree Pompei (1992), realizzate da Nanda Vigo insieme all’amico Annibale Oste, la cui estremità è abitata da miniature statuarie che, amanti del gesto di mani affamate, smaniano verso un breve film di Franceschini, dove un micro tedoforo, dettaglio décor di un carillon, si trastulla nel suo divenire immagine raddoppiata e sfocata, ancora una volta, da uno specchio e, ancora una volta, in rotazione.