Ice Memory: missione riuscita all’arcipelago delle Svalbard


oceano artico

Nonostante gli ostacoli rappresentati dall’inattesa presenza di una falda acquifera nel ghiacciaio e da condizioni meteo estreme, un team internazionale di scienziate e scienziati è riuscito ad estrarre tre carote di ghiaccio (cilindri di 10 centimetri di diametro profondi dalla superficie del ghiaccio fino alla roccia) dall’Holtedahlfonna, uno dei più estesi e elevati ghiacciai dell’arcipelago delle Svalbard. Il successo dell’operazione dovrebbe garantire la possibilità di analizzare e conservare un prezioso archivio del clima artico. Oggi sono in corso le operazioni per trasferire in sicurezza persone, campioni e equipaggiamento dal campo remoto, installato a 1,150 metri di quota, fino alla stazione di ricerca di Ny-Ålesund, a 80 chilometri di distanza. Queste operazioni dovrebbero durare un paio di giorni, portando la durata complessiva della missione sul campo a 23 giorni.

Guidata dall’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche, con scienziati dal Centro nazionale per la ricerca scientifica francese (Cnrs), Istituto polare norvegese (Npi), Università Ca’ Foscari Venezia e Università degli Studi di Perugia, la missione si sta dunque concludendo. Le tre carote di ghiaccio estratte rappresentano un importante patrimonio scientifico e culturale nel contesto attuale di sensibile aumento delle temperature nell’Artico.

Due dei campioni saranno cruciali per comprendere meglio gli effetti del cambiamento climatico in una regione in cui gli impatti sono 4 volte più intensi rispetto alla media globale. Inoltre, la Fondazione Ice Memory preserverà una delle carote di ghiaccio per i secoli a venire in un apposito ‘santuario’ di Ice Memory in Antartide. Le future generazioni di scienziati avranno quindi accesso a campioni di elevata qualità per studiare nuovi indicatori legati alle condizioni ambientali del passato del nostro pianeta e per anticipare cambiamenti futuri, molto dopo che i ghiacciai saranno scomparsi a causa del cambiamento climatico.

Il primo tentativo: difficile sfida contro una falda inattesa e meteo estremo

Il 4 aprile il team installa le tende a 1.150 metri di quota in una delle terre artiche più settentrionali (79.15 di latitudine Nord). Per alcuni giorni fronteggia condizioni meteo davvero difficili. Con forti venti e temperature percepite inferiori ai -40°C, sabato 8 aprile è tutto pronto e inizia il carotaggio. Giunta a una profondità di 24,5 metri, la perforazione incontra acqua liquida. “Vedere tutta quell’acqua nel ghiacciaio ci ha dato una chiarissima evidenza degli effetti che il cambiamento climatico sta avendo nell’Artico”, racconta Daniele Zannoni, tecnologo all’Università Ca’ Foscari Venezia, uno dei ‘driller’ impegnati a manovrare il carotiere.

“Dal 2005, tutte le osservazioni radar mostrano la presenza di falde perenni localizzate nella fascia centrale del ghiacciaio. Tuttavia, la precedente perforazione dell’Holtedahlfonna non aveva riscontrato problemi legati all’acqua, e pensavamo sarebbe stato lo stesso adesso – spiega Jean-Charles Gallet, fisico della neve al Npi e coordinatore logistico della spedizione – Lavorando ai margini del ghiacciaio, in pendenza, non ci aspettavamo di incontrare una falda acquifera così estesa, abbondante e satura, alla fine dell’inverno”. La spedizione sta quindi aggiungendo un tassello senza precedenti alla conoscenza delle dinamiche della copertura glaciale delle terre artiche e gli impatti dei cambiamenti climatici. I ghiacciai non stanno solo perdendo massa, ma anche il freddo al loro interno.

“Anche qui, tra i ghiacciai artici delle Svalbard, l’importanza e l’urgenza degli obiettivi delineati dalla Fondazione Ice Memory appaiono drammaticamente evidenti. La falda è particolarmente estesa, tanto da produrre un flusso costante di acqua nel foro di perforazione di circa 2 litri al minuto”, aggiunge Jacopo Gabrieli, Isp-Cnr, vice responsabile della missione.

La svolta: il trasloco sul punto più elevato del ghiacciaio

La pressione esercitata dalla colonna d’acqua che si riversa nel foro di perforazione finisce col danneggiare due motori del carotiere. Il rischio di perdere tutti i motori di riserva è così elevato, che gli scienziati decidono di traslocare la tenda di carotaggio in un nuovo sito sulla sommità del Dovrebreen, uno dei ghiacciai che alimentano l’Holtedalhfonna, a 150 metri dal precedente sito, 13 metri più in quota, sperando di non intercettare la stessa quantità d’acqua. “Nel nuovo sito, secondo le misurazione radar, le stime sulla profondità del ghiaccio erano inferiori rispetto al punto iniziale di perforazione – spiega Andrea Spolaor – Isp-Cnr, leader della spedizione – tuttavia, non ci sono evidenze che provino che in quel ghiacciaio a una profondità minore corrisponda un archivio climatico più breve”.

Trasferire tutta la strumentazione durante l’ennesima tempesta è impegnativo, ma l’impresa riesce e il team riprende il carotaggio il 12 aprile. Senza acqua o altri particolari ostacoli, il team in un paio di giorni raggiunge il fondo del ghiacciaio a una profondità di 73,89 metri. La seconda carota di ghiaccio viene completata domenica 16 aprile e nelle ultime ore è stata prelevata anche una terza carota profonda. “Nonostante tutte le difficoltà siamo riusciti a mantenere il morale alto e focalizzarci sui nostri obiettivi – afferma Catherine Larose, del Cnrs – perché avevamo chiara in mente la fondamentale importanza di questi campioni di ghiaccio per la scienza di oggi e del futuro”.

Dal freddo estremo ai pericoli dovuti al caldo

Durante lo scorso fine settimana, le temperature al campo hanno raggiunto i -3°C. Temperature elevate tanto da portare pioggia battente a Ny-Ålesund, causando la formazione di corsi d’acqua nell’ultimo tratto del tragitto tra il ghiacciaio e il villaggio. “Stavamo trasferendo le carote di ghiaccio trainando il carico con due motoslitte – racconta Fabrizio de Blasi, Isp-Cnr – quando siamo stati bloccati da un corso d’acqua formato da pioggia e neve. Sono state necessarie tre ore di lavoro immersi in mezzo metro d’acqua gelida e il soccorso dei colleghi per portare in salvo il prezioso carico”. Per evitare che il resto del team potesse incorrere nello stesso incidente, la chiusura del campo con il recupero di campioni e attrezzatura è stata rinviata di qualche giorno per permettere alle temperature più rigide di riportare il percorso in uno stato di sicurezza. Durante tutta la spedizione Federico Scoto, ricercatore al Cnr, e David Cappelletti, professore all’Università degli Studi di Perugia, hanno assicurato supporto tecnico e logistico dalla stazione di ricerca “Dirigibile Italia” di Ny-Ålesund, base della missione.

La Fondazione Ice Memory invita al supporto internazionale

La Fondazione Ice Memory, che raccoglie, salva e gestisce carote di ghiaccio provenienti da ghiacciai minacciati per metterli a disposizione delle future generazioni di scienziati per decenni e secoli a venire, chiama all’azione la comunità scientifica. “Vedendo queste situazioni allarmanti in Artico, in Europa e nel resto del pianeta, ora abbiamo bisogno del contributo dei ricercatori per raccogliere rapidamente campioni dai ghiacciai in pericolo o per mettere in salvo in Antartide i campioni già raccolti, per conservare il loro contenuti di dati preziosi nel ‘santuario’ Ice Memory in Antartide”, è l’invito di Carlo Barbante, paleoclimatologo, vide presidente della Fondazione Ice Memory, direttore dell’Istituto di scienze polari del Cnr e professore all’Università Ca’ Foscari Venezia.

Per Anne-Catherine Ohlmann, direttrice della Fondazione Ice Memory “Ice Memory è un’iniziativa inter-generazionale che ci coinvolge tutti: scienziati, filantropi, organizzazioni internazionali… e il cui beneficio andrà ai nostri figli e nipoti. Se perdessimo questi archivi, perderemmo la storia dell’impatto dell’uomo sul clima. Perderemmo anche informazioni cruciali per scienziati e politici del futuro che dovranno prendere decisioni per il benessere della società. Dobbiamo collaborare per salvaguardare questo archivio per le generazioni future. Invitiamo i Paesi a collaborare con i loro scienziati facilitando l’accesso ai loro ghiacciai, di modo che la nostra generazione possa garantire questa preziosa eredità all’umanità di domani”.

 Il ‘santuario’ in Antartide: 300 mq di archivio alla Stazione Concordia nel 2024-2025

Una grotta di neve sarà costruita alla stazione italo-francese Concordia, l’unica stazione di ricerca internazionale sul plateau antartico. Gestita dal Programma nazionale per le ricerche in Antartide (Pnra) e dall’Istituto polare francese, permette uno stoccaggio a -50°C e offre un sito con una superficie di circa 20 container, circa 300 metri quadrati. La prima grotta dovrebbe essere disponibile a ospitare i primi campioni di Ice Memory nel 2024-2025. Nonostante la complessità del trasporto in Antartide, la soluzione è strategica per varie ragioni:

– garantirà una conservazione a lungo termine e ‘naturale’, senza consumo di energia per la refrigerazione, quindi proteggendo i campioni da quasiasi rischio di un’interruzione del freddo (guasti, crisi economiche, conflitti, atti di terrorismo ecc…);

– garantirà una gestione oculata dei campioni, combinata alle restrizioni all’accesso imposte dal sito remoto;

– garantirà lo stoccaggio in una regione polare gestita attraverso il Trattato Antartico, firmato da molte nazioni e in cui le rivendicazioni territoriali sono congelate.

Composizione del team:

– Andrea Spolaor, leader della spedizione, paleoclimatologo e chimico, Cnr – Italia
– Jacopo Gabrieli, glaciologo, Cnr – Italia
– Catherine Larose, microbiologa, Cnrs – Francia
– David Cappelletti, chimico, Università degli Studi di Perugia – Italia
– Victor Zagorodnov, driller, Cryosphere Research Solutions LLC – USA
– Fabrizio de Blasi, glaciologo, Cnr – Italia
– Daniele Zannoni, driller, Università Ca’ Foscari Venezia – Italia
– Jean-Charles Gallet, fisico della neve, Npi – Norvegia
– Federico Scoto, chimico della neve, Cnr
– Paolo Conz, guida alpina, Italia
– Riccardo Selvatico, fotografo e videomaker, Italia

Fondazione Ice Memory è stata fondata da sette istituzioni scientifiche: Università Grenoble Alpes, CNRS, Istituto Nazionale di Ricerca Francese per lo Sviluppo Sostenibile – IRD e Istituto Polare Francese in Francia, Università Ca’ Foscari Venezia e CNR in Italia, Istituto Paul Scherrer in Svizzera ed è gestita dalla Fondazione Università Grenoble Alpes.

La spedizione è parte del progetto SENTINEL (The impact of sea ice diSappearance on highEr North aTlantic clImate and atmospheric bromiNe and mErcury cycLes), finanziato dal programma di ricerche in Artico (Pra) del Ministero dell’Università e della ricerca. La spedizione è stata guidata dall’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche, con scienziati dal Centro nazionale per la ricerca scientifica francese (Cnrs), l’Istituto polare norvegese (Npi), l’Università Ca’ Foscari Venezia e l’Università degli Studi di Perugia. La spedizione è stata supportata dagli sponsor tecnici Karpos, Aku e Polibox.

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