Intervento coronarico percutaneo: stent e palloncino si equivalgono


Dopo un intervento coronarico percutaneo, un palloncino rivestito di farmaco (DCB) è altrettanto sicuro ed efficace di un secondo ciclo di stent

Dopo un mese dall'intervento coronarico percutaneo (PCI) per infarto miocardico è preferibile il passaggio da ticagrelor a clopidogrel

Il follow-up a lungo termine dei pazienti trattati per restenosi di stent a rilascio di farmaco dopo un intervento coronarico percutaneo (PCI) iniziale suggerisce che un palloncino rivestito di farmaco (DCB) è altrettanto sicuro ed efficace di un secondo ciclo di stent. È quanto emerge dai risultati aggiornati dello studio ISAR-DESIRE 3, pubblicati online sull’”European Heart Journal”.

Parità nel confronto con il DES
A 10 anni, il palloncino e lo stent, entrambi a base di paclitaxel, hanno offerto ciascuno un’incidenza comparabile dell’endpoint composito primario di morte cardiaca, infarto miocardico dei vasi bersaglio, trombosi della lesione target o rivascolarizzazione della lesione bersaglio. Sia il DCB che lo stent rivestito di farmaco (DES), un dispositivo di prima generazione, erano superiori alla sola angioplastica con palloncino nel prevenire la rivascolarizzazione ripetuta della lesione bersaglio ripetuta, riferiscono i ricercatori.

«Nel complesso, è importante sottolineare che, a 10 anni, le strategie di trattamento farmacologiche – il DES e il DCB – hanno portato a una significativa riduzione dei tassi di rivascolarizzazione della lesione target» specificano gli autori, coordinati da Sebastian Kufner, del Deutsches Herzzentrum di Monaco (Germania).

«Pensiamo che sia degno di nota perché si ha una situazione in cui una breve inflazione da 1 minuto di un DCB si traduce in una significativa riduzione del rischio relativo del 43% [rispetto all’angioplastica con palloncino semplice] nella rivascolarizzazione della lesione target a 10 anni» sottolineano. «Per i medici europei, per i quali i DCB fanno parte della pratica quotidiana, l’elevata efficacia è rassicurante. Si ha cioè un’efficacia maggiore rispetto all’angioplastica con palloncino, ma la stessa efficacia dei DES, il tutto senza un compromesso in termini di sicurezza fino a 10 anni».

I dati provenienti dagli Stati Uniti suggeriscono che l’incidenza della restenosi in-stent in pazienti non selezionati sottoposti a follow-up angiografico a medio termine è di circa il 10%, spiegano Kufner e colleghi. Inoltre, dati di registro hanno precedentemente dimostrato che su 5 milioni di pazienti sottoposti a PCI tra il 2009 e il 2017, oltre il 10% erano procedure che includevano il trattamento della restenosi in-stent.

«È un problema molto comune» ribadiscono. «Sappiamo anche che i pazienti che presentano restenosi in-stent sono più impegnativi rispetto ai pazienti con malattia coronarica nativa. Ciò è particolarmente vero per i pazienti con DES nella restenosi in-stent. Rispetto alla restenosi in-stent di uno stent metallico (BMS), la restenosi in-stent con DES è più difficile da trattare».

In Europa, gli operatori hanno diverse opzioni per trattare la restenosi in-stent: angioplastica con palloncino, angioplastica DCB e DES. Sulla base delle linee guida europee per la rivascolarizzazione miocardica del 2018, sia il DCB che il DES sono strategie raccomandate (classe I, livello di evidenza A) per il trattamento di pazienti con restenosi in-stent BMS o DES. Negli Stati Uniti, tuttavia, non ci sono ancora DCB approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) per la restenosi coronarica in-stent, sebbene l’agenzia regolatoria abbia concesso la designazione di dispositivo innovativo a diversi device.

«In Europa, i DCB sono molto comuni» riportano gli autori. «In particolare in Germania, i DCB sono un trattamento molto comune per la restenosi in-stent». L‘attuale nuova analisi a 10 anni rappresenta il follow-up più lungo che abbia esaminato fino ad oggi l’uso di DCB per il trattamento della restenosi in-stent.

Le positive ricadute cliniche per i cardiologi interventisti
Lo studio ISAR-DESIRE 3 ha incluso 402 pazienti con restenosi in-stent dopo PCI con un DES e li ha randomizzati alla sola angioplastica con palloncino e ad angioplastica con DCB o DES. I risultati a 3 anni, pubblicati nel 2015, avevano mostrato che il DCB produceva un beneficio anti-restenosi sostenuto rispetto al DES di prima generazione.

I risultati a 10 anni hanno mostrato risultati simili. L’endpoint composito primario si è verificato nel 72% dei pazienti assegnati all’angioplastica con palloncino, nel 55,9% dei pazienti trattati con DCB e nel 62,4% dei pazienti trattati con DES (P < 0,001). In un confronto a coppie, non vi era alcuna differenza significativa nell’endpoint primario tra DCB e DES (HR 1,10; IC 95% 0,80-1,51), mentre entrambe le strategie erano superiori alla sola angioplastica con palloncino.

Allo stesso modo, non vi èstata alcuna differenza significativa tra DCB e DES rispetto all’endpoint composito di sicurezza di morte cardiaca, infarto miocardico del vaso bersaglio o rivascolarizzazione della lesione bersaglio (HR 1,29; IC 95% 0,84-1,98). Come endpoint individuali, non vi era alcuna differenza tra DCB e DES quando si trattava di rivascolarizzazione della lesione bersaglio, morte cardiaca, infarto miocardico dei vasi bersaglio o trombosi della lesione bersaglio a 10 anni.

Nello studio ISAR-DESIRE 3 i pazienti sono stati trattati con un DES di vecchia generazione, con montanti relativamente più spessi rispetto ai dispositivi odierni. Al contrario, nello studio RIBS IV condotto con uno stent a rilascio di everolimus di nuova generazione, il DES ha dato performance superiori ha al DCB nei pazienti con restenosi in-stent.

Kufner e colleghi ritengono che sia il DES di attuale generazione che il DCB siano buone opzioni di trattamento per i pazienti attuali che presentino una restenosi in-stent e, mentre gli stent a rilascio di limus di nuova generazione possono essere leggermente più efficaci dei DCB, il vantaggio è evitare un secondo stent nelle arterie coronarie.

«La possibilità di trattare la restenosi in-stent in un paziente con insufficienza dello stent, senza impiantare un altro strato di stent, ma ricorrendo a un DCB di comprovata efficacia a 10 anni è una buona notizia per i cardiologi interventisti che si troveranno ad affrontare questo problema sempre di più nel tempo a venire» osservano Kufner e colleghi.

Il presente studio, affermano i ricercatori, conferma anche che il DES per la restenosi in-stent è associato a tassi peggiori di rivascolarizzazione della lesione target rispetto al DES per la malattia de novo. A 10 anni, i tassi erano del 44% e del 39% rispettivamente con DCB e DES. Nel follow-up a 10 anni degli studi ISAR-TEST, che includevano pazienti trattati per CAD de novo, i tassi di rivascolarizzazione della lesione target variavano dal 18% al 22,5%.

Risultati di un’analisi Landmark
I ricercatori hanno anche eseguito un’analisi Landmark esaminando il rischio di eventi tra 0-5 e 5-10 anni, osservando un rischio più elevato di morte cardiaca, infarto miocardico dei vasi bersaglio o trombosi della lesione bersaglio con DES rispetto al DCB nei primi 5 anni (HR 2,27; IC 95% 1,06-4,84). Anche il rischio di mortalità cardiaca e per tutte le cause era superiore più di due volte con il DES rispetto al DCB durante questo timepoint precoce, così come il rischio di trombosi della lesione target.

I risultati a 3 anni, spiegano Kufner e colleghi, hanno suggerito un più alto tasso di mortalità con lo stent a rilascio di paclitaxel. Il rischio più elevato è rimasto fino a 5 anni, poi è diminuito oltre quel punto temporale. Gli autori sottolineano la necessità di cautela nell’interpretare i risultati, osservando che il rischio più elevato di morte con DES potrebbe essere una scoperta casuale, in particolare perché non c’era differenza tra DES e DCB a 10 anni.

Osservano inoltre che questa scoperta non abbia alcun legame con i problemi di sicurezza tardivi con gli stent a rilascio di paclitaxel utilizzati nella malattia delle arterie periferiche. In ISAR-DESIRE 3, il segnale di mortalità precoce con DES rispetto a DCB è stato osservato anche se entrambe le strategie hanno utilizzato paclitaxel.

Tre specialisti italiani autori dell’editoriale di commento
La sicurezza dei palloncini rivestiti di paclitaxel è stata osservata in varie meta-analisi, inclusa una in pazienti trattati per la restenosi in-stent, scrivono in un editoriale di commento Domitilla Gentile, dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Mario Iannaccone, dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino e Alaide Chieffo, dell’IRCCS Istituto Scientifico San Raffaele di Milano. Al pari degli autori dello studio, affermano che sia possibile che il segnale di mortalità precoce con lo stent a rilascio di paclitaxel possa essere una scoperta casuale.

Gli editorialisti fanno notare che i DCB sono stati proposti come trattamento per pazienti con malattia dei piccoli vasi, ad alto rischio di sanguinamento e per altre indicazioni, come le lesioni da biforcazione. «I risultati a lungo termine dello studio ISAR-DESIRE 3 possono essere considerati una pietra miliare nel trattamento della restenosi in-stent con DCB, ma sono necessari ulteriori studi per valutare il ruolo dei DCB in diversi sottogruppi distinti per clinica e anatomia delle lesioni» concludono.

Bibliografia:
Giacoppo D, Alvarez-Covarrubias HA, Koch T,  et al. Coronary artery restenosis treatment with plain balloon, drug-coated balloon, or drug-eluting stent: 10-year outcomes of the ISAR-DESIRE 3 trial. Eur Heart J. 2023 Feb 21. doi: 10.1093/eurheartj/ehad026. [Epub ahead of print] leggi

Gentile D, Iannaccone M, Chieffo A. Drug-coated balloons: from treatment of in-stent restenosis to extended indications. What’s next? Eur Heart J. 2023 Feb 21. doi: 10.1093/eurheartj/ehad042. [Epub ahead of print] leggi