La missione Gaia scopre i due buchi neri più vicini alla Terra


La missione Gaia ha permesso di scoprire una nuova famiglia di buchi neri che conta già due membri, entrambi più vicini alla Terra di qualsiasi altro buco nero che conosciamo

buchi neri

Utilizzando i dati della missione Gaia dell’Agenzia spaziale europea, gli astronomi hanno scoperto i due buchi neri a oggi più vicini alla Terra. Si tratta di Gaia BH1 e Gaia BH2, rispettivamente a soli 1560 anni luce da noi in direzione della costellazione dell’Ofiuco e a 3800 anni luce nella costellazione del Centauro. In termini galattici, si trovano nel nostro cortile cosmico.

I due buchi neri sono stati trovati studiando il movimento di quelle che si sono rivelate essere le loro stelle compagne, che ha evidenziato una minuscola “oscillazione” nel cielo indicativa del fatto che stanno orbitando attorno a un oggetto molto massiccio. In entrambi i casi, gli oggetti sono risultati essere circa dieci volte più massicci del Sole. Altre spiegazioni per questi enormi compagni, come sistemi di due stelle, sono state escluse poiché non sembrano emettere alcuna radiazione.

«L’accuratezza dei dati di Gaia è stata essenziale per questa scoperta. I buchi neri sono stati individuati dalla minuscola oscillazione delle loro stelle compagne mentre orbitano attorno a essi. Nessun altro strumento è in grado di effettuare tali misurazioni», ribadisce Timo Prusti, autore dello studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Fino a poco tempo fa, tutti i buchi neri di cui gli astronomi erano a conoscenza erano stati scoperti dall’emissione di radiazione – di solito raggi X e onde radio – prodotta dalla caduta di materiale verso i buchi neri stessi. Gaia BH1 aveva già fatto parlare di sé come primo esemplare di buco nero dormiente, il più vicino alla Terra. Per Gaia BH2, l’Osservatorio a raggi X Chandra della Nasa e il radiotelescopio sudafricano MeerKat hanno cercato questa luce, ma non sono stati in grado di individuare alcun segnale.

Le coppie stella-buco nero più strette, chiamate binarie a raggi X, tendono a essere molto luminose nei raggi X e nel radio, e quindi più facili da trovare. Il nuovo tipo di buco nero invece non emette alcuna luce. Sono praticamente invisibili, probabilmente perché sono molto più lontani dalle loro stelle compagne. Gaia BH1 e Gaia BH2 hanno le orbite più separate di tutti i buchi neri conosciuti. Il fatto che siano anche i buchi neri conosciuti più vicini alla Terra suggerisce che ce ne siano molti altri in sistemi simili, in attesa di essere scoperti.

«Tutto ciò è molto eccitante perché implica che questi buchi neri in orbite larghe sono in realtà comuni nello spazio, più comuni delle binarie dove il buco nero e la stella sono più vicini. Ma il problema è individuarli. La buona notizia è che Gaia sta ancora raccogliendo dati e la sua prossima data release (nel 2025) conterrà molte più stelle come queste con misteriosi compagni buchi neri», spiega Yvette Cendes dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics negli Stati Uniti, che ha contribuito a scoprire il secondo buco nero.

Il prossimo rilascio di dati di Gaia si baserà su 66 mesi di osservazioni e conterrà informazioni migliorate sulle orbite delle stelle. Nel frattempo, gli astronomi saranno impegnati a capire da dove provengono questi buchi neri in orbite larghe. «Sospettavamo che potessero esistere buchi neri in sistemi più ampi, ma non eravamo sicuri di come si potevano essere formati. La loro scoperta significa che dobbiamo rivedere le nostre teorie sull’evoluzione dei sistemi stellari binari poiché non è ancora chiaro come si formino questi sistemi», sottolinea Kareem El-Badry, primo autore dello studio.

«Il Consorzio per l’elaborazione e l’analisi dei dati di Gaia sta sviluppando metodi per identificare le binarie astrometriche con compagni compatti. Prevediamo di fornire un buon campione di candidati nella prossima versione dei dati di Gaia», conclude Tsevi Mazeh dell’Università di Tel Aviv.

Per saperne di più:

  • Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “A red giant orbiting a black hole” di Kareem El-Badry, Hans-Walter Rix, Yvette Cendes, Antonio C Rodriguez, Charlie Conroy, Eliot Quataert, Keith Hawkins, Eleonora Zari, Melissa Hobson, Katelyn Breivik, Arne Rau, Edo Berger, Sahar Shahaf, Rhys Seeburger, Kevin B Burdge, David W Latham, Lars A Buchhave, Allyson Bieryla, Dolev Bashi, Tsevi Mazeh, Simchon Faigler