La telemedicina può essere di aiuto anche all’attività trasfusionale


Il sostegno della telemedicina all’attività trasfusionale e il maggiore coinvolgimento delle professioni infermieristiche al centro di un convegno

trasfusioni

La telemedicina come razionalizzazione delle risorse e non come risposta alla mera carenza di personale. È questo il messaggio partito dall’hotel Mediterraneo di Roma che ha ospitato l’evento intitolato, appunto, “Telemedicina e la sua applicazione nelle unità di raccolta”.

Organizzato da AVIS Nazionale e SIMTI, e con il supporto di Istituto superiore di sanitàCentro nazionale sangue e FNOPI (Federazione italiana ordini professioni infermieristiche), l’appuntamento si è aperto con i saluti del Presidente della nostra Associazione, Gianpietro Briola, che ha ribadito quanto la pandemia abbia imposto l’introduzione di nuove strategie applicate alla sanità che ora è opportuno potenziare anche “in tempo di pace”.

In rappresentanza del ministero della Salute sono intervenute le dottoresse Rita Raponi e Grazia Corbello. Entrambe hanno sottolineato che tra gli obiettivi del PNRR c’è proprio il binomio «telemedicina-digitalizzazione, entrato ormai nella nostra quotidianità».

In particolare, la dottoressa Corbello ha ricordato quanto previsto dall’art. 20-ter comma 2 del dl del 27 gennaio 2022, ossia che «i medici specializzandi possono prestare, al di fuori dell’orario dedicato alla formazione specialistica, la propria attività volontaria a titolo gratuito ed occasionale agli enti e alle associazioni che svolgono attività di raccolta sangue». Un tema questo da tempo caro ad AVIS tanto da averla vista più volte richiederne l’attenzione delle istituzioni.

Convegno telemedicina_1Un momento della sessione mattutina

E ad oggi, come emerso dall’intervento della dottoressa, qualcosa si sta effettivamente muovendo: «Lo schema di regolamento attuativo di tale decreto è stato redatto dal ministero della Salute, di concerto con quello dell’Università e della Ricerca e dell’Economia. Questo schema prova a chiarire il rapporto tra la formazione specialistica e la raccolta di sangue svolta in modo gratuito e occasionale ed è stato sottoposto al Consiglio di Stato: ora l’obiettivo è adeguarlo sulla base proprio delle osservazioni pervenute così da chiudere il prima possibile il testo definitivo».

Francesco Gabbrielli, direttore del Centro nazionale sangue per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell’ISS, ha ricordato che «il modello di telemedicina italiano va creato ad hoc, sostenendo le varie comunità specialistiche lungo un percorso in cui si uniscano robotica e intelligenza artificiale».

Il primo punto su cui lavorare è sicuramente il rafforzamento delle competenze digitali, come ha sottolineato il consigliere della FNOPI, Luigi Pais dei Mori. «Su un campione di oltre 1.100 professionisti sanitari, solo il 16% dei medici specialisti e il 20% degli infermieri possiede competenze digitali buone e ottime, percentuale che si attesa al 28% per gli infermieri più giovani». Un obiettivo rilanciato anche dal presidente della SIMTI, Francesco Fiorin, secondo cui «è opportuno sviluppare modelli di integrazione e collaborazione multiprofessionale che permettano una corretta gestione delle risorse umane sulla base delle competenze acquisite».

Ma in che modo la telemedicina può essere di supporto al settore trasfusionale? Il direttore del CNS, Vincenzo De Angelis, ne è sicuro: «Può supportare le procedure di accertamento di idoneità della donazione. Si pensi alla possibilità di compilare online il questionario, a cui potrebbe far seguito un colloquio da remoto tra medico e donatore. Questo comporterebbe da un lato un miglioramento dell’efficienza nel processo di selezione e dall’altro una riduzione del tempo di attesa del donatore e del percorso di donazione stesso, con conseguente incentivo alla prenotazione delle donazioni». E qui entra in gioco il personale sanitario, gli infermieri nella fattispecie: «Bisognerebbe puntare a una maggiore integrazione tra professioni mediche e infermieristiche in un’ottica di applicazione della telemedicina, ricordando che la normativa attuale prevede un grado di autonomia del personale infermieristico nella fase di selezione (DM 2 novembre 2015). Già adesso, infatti, è previsto che l’infermiere verifichi l’identità del donatore, controlli il peso, la pressione, la frequenza cardiaca, controlli i livelli di emoglobina, ematocrito, conta dei globuli bianchi e delle piastrine, controlli la completezza del questionario anamnestico e raccolga il consenso informato del donatore».

Delle esperienze conosciute all’estero si è parlato nella sessione pomeridiana del convegno, durante la quale è stato riportato il caso della Francia con la partecipazione di Cécile Fabra e Brice Poreau, dell’Etablissement français du sang (l’equivalente francese del nostro CNS). Dal 2017 gli infermieri sono staticoinvolti nel colloquio pre-donazione e nel 2022 il 51,2% delle raccolte sono state effettuate a seguito di colloqui pre-donazione gestiti dagli infermieri (29,4% donazioni in unità fisse, 72,9% in unità mobili). Il 36,8% dei colloqui sono stati effettuati da 470 infermieri debitamente formati.

In Italia è significativo il progetto “Donatori re-volution” che Avis Regionale Lombardia sta realizzando con una cordata di partner tra cui Motore Sanità, piattaforma di promozione e informazione sanitaria. Come hanno spiegato il presidente Oscar Bianchi e Roberto Soj, membro del Comitato scientifico di Motore Sanità, «l’obiettivo è quello di attuare in via sperimentale attività legate alla telemedicina, in particolare la televisita per un controllo periodico dello stato di salute; al teleconsulto per i donatori e per i loro familiari di cui sono caregiver; la teleassistenza e il telemonitoraggio. Il progetto punta a coinvolgere maggiormente la popolazione giovane che è maggiormente abituata quindi più propensa a utilizzare le nuove tecnologie. Per incentivare l’adozione di questa soluzione è prevista anche una campagna di comunicazione e sensibilizzazione che sarà veicolata soprattutto sui social network con il coinvolgimento di influencer».

Degna di nota anche l’esperienza dell’Azienda sanitaria universitaria Giuliano-isontina che ha sede a Trieste. Il dott. Massimo La Raja, direttore del Dipartimento di medicina trasfusionale, ha presentato un questionario digitalizzato che punta a ottenere una maggiore completezza delle risposte rilasciate dai donatori e conseguentemente aumentare il loro grado di consapevolezza sui criteri di selezione e sugli stili di vita sani e corretti.

Obiettivi condivisi anche dal Centro Nazionale Sangue, che sta lavorando alla realizzazione di un software interattivo che consenta la compilazione online del questionario«Con questo strumento – ha sottolineato Samantha Profili – vogliamo aumentare l’efficienza nel processo di selezione del donatore di sangue, attraverso l’ottimizzazione dei tempi e il miglioramento della qualità dei dati anamnestici raccolti».

 

Informatizzazione e digitalizzazione sembrano, quindi, essere due parole chiave per il futuro della sanità e delle attività trasfusionali. Tuttavia, in un contesto sempre più mediato dalle nuove tecnologie, restano saldi alcuni pilastri delle relazioni interpersonali che potremmo definire “tradizionali”. Come ha sottolineato Fausto Aguzzoni, vicepresidente vicario di AVIS Nazionale «il rapporto tra medico e donatore dovrà sempre basarsi sulla fiducia reciproca e su quegli elementi comunicativi come la mimica, il linguaggio non verbale e soprattutto l’empatia che risultano essenziali soprattutto quando vengono poste delle domande intime e delicate».