Ulx: nuovo studio offre soluzione al “limite di Eddington”


Le sorgenti ultraluminose ai raggi X o Ulx sono oggetti che paiono violare il cosiddetto “limite di Eddington”: studio offre una soluzione inedita a questo paradosso

bachetti ulx

Le sorgenti ultraluminose ai raggi X (Ulx, in breve) sono oggetti cosmici molto piccoli e piuttosto esotici che producono circa 10 milioni di volte più energia del Sole. Questa sproporzione tra dimensioni e potenza sembra superare un confine fisico chiamato limite di Eddington, che, per l’appunto, pone un limite alla luminosità di un oggetto in base alle sue dimensioni. Le sorgenti di raggi X ultraluminose superano regolarmente questo limite da 100 a 500 volte, lasciando gli scienziati, specialmente quelli che si occupano di “alte energie”, alquanto perplessi.

In uno studio i cui risultati sono stati pubblicati lo scorso ottobre su The Astrophysical Journal, un team di ricercatori condotto da Matteo Bachetti – ricercatore all’Inaf di Cagliari – ha effettuato una misurazione unica nel suo genere di una Ulx, confermando che questi emettitori di luce sono davvero così luminosi come sembrano e che, effettivamente, superano il limite di Eddington. Un’ipotesi esistente suggerisce che la luminosità che infrange tale limite sia dovuta ai forti campi magnetici dell’Ulx. Ma il metodo scientifico impone osservazioni sicure ed esperimenti ripetibili. Essendo estremamente potenti – fino a miliardi di volte più potenti dei magneti più potenti mai realizzati sulla Terra – i campi magnetici Ulx non possono però essere riprodotti in laboratorio, e questo pone un serio problema scientifico.

Rompere il limite

Anzitutto occorre considerare che non sono solo la gravità e il magnetismo gli unici parametri in gioco. Le particelle di luce – i fotoni – esercitano infatti una piccola spinta sugli oggetti che incontrano. Se un oggetto cosmico come una Ulx emette abbastanza luce per metro quadrato, la spinta verso l’esterno dei fotoni può sopraffare l’attrazione verso l’interno della gravità dell’oggetto. Quando ciò accade, un oggetto ha raggiunto il cosiddetto limite di Eddington e la luce dell’oggetto teoricamente spingerà via qualsiasi gas o altro materiale che cade verso di esso.

Il momento in cui la luce travolge la gravità rappresenta un significativo momento di rottura, perché il materiale che cade su una Ulx è la fonte della sua stessa luminosità, dunque viene a crearsi una specie di cortocircuito energetico-gravitazionale. Questo è qualcosa che gli scienziati osservano spesso nei buchi neri: quando la loro forte gravità attira gas e polvere vaganti, quei materiali possono riscaldarsi e irradiare luce. Per molti anni gli scienziati pensavano alle Ulx come a buchi neri circondati da luminosi forzieri di gas. Ma nel 2014 i dati raccolti con il telescopio spaziale NuStar hanno rivelato che una Ulx di nome M82 X-2 è in realtà un oggetto che, pur estremamente denso e pesante, ha una massa molto inferiore rispetto a un buco nero, ovvero una stella di neutroni. Come i buchi neri, questi oggetti si formano quando una stella muore e collassa “impacchettando” una massa superiore a quella del Sole in una sfera di appena una ventina di km di diametro – grosso modo l’estensione di una città.

Questa incredibile densità crea anche un’attrazione gravitazionale sulla superficie della stella di neutroni circa cento miliardi di volte più forte dell’attrazione gravitazionale che possiamo sperimentare noi viventi sulla superficie terrestre. Il gas e altri materiali trascinati dalla gravità accelerano a una velocità prossima a quella della luce, rilasciando – quando colpiscono la superficie della stella di neutroni – un’enorme energia. Ad esempio, una semplice caramella lasciata cadere sulla superficie di una stella di neutroni la colpirebbe con l’energia di circa mille bombe all’idrogeno. Questo, in soldoni, è il meccanismo che produce la luce a raggi X ad alta energia rilevata da NuStar.

Lo studio condotto da Bachetti ha osservato la stessa Ulx al centro della scoperta del 2014, M82 X-2, un parassita cosmico che sottrae gas a una stella vicina. La ricerca rivela che l’Ulx sta rubando circa novemila miliardi di miliardi di tonnellate di materiale all’anno dalla stella vicina, ovvero circa una volta e mezza la massa della Terra (che è di circa seimila miliardi di miliardi di tonnellate). Conoscendo la quantità di materiale che colpisce la superficie della stella di neutroni, gli scienziati possono stimare quanto dovrebbe essere luminosa l’Ulx, e i loro calcoli corrispondono a misurazioni indipendenti della sua luminosità. Il lavoro ha confermato che M82 X-2 supera il limite di Eddington.

Nessuna illusione

A questo punto, se si è certi che il limite sia stato superato, si potrebbe semplicemente teorizzare che tale limite non è reale e che Eddington, in sostanza, si sbagliava. In realtà l’osservazione di molti altri oggetti simili a M82 X-2 ha fatto teorizzare agli studiosi la presenza di fenomeni di concentrazione e distorsione della luce che farebbero arrivare fino alla Terra immagini non veritiere, o comunque soggette ad interpretazione in base a ulteriori parametri. Un’ipotesi è che forti venti formerebbero un cono cavo attorno alla sorgente luminosa, concentrando la maggior parte dell’emissione in una direzione. Se puntato direttamente sulla Terra, il cono potrebbe creare una sorta di illusione ottica, facendo sembrare che l’Ulx superi il limite di luminosità. Una seconda ipotesi, alternativa alla prima, suggerirebbe che i forti campi magnetici distorcano gli atomi approssimativamente sferici in forme oblunghe e filamentose. Ciò ridurrebbe la capacità dei fotoni di respingerli, aumentando in ultima analisi la massima luminosità possibile di un oggetto.

«Queste osservazioni ci consentono di osservare gli effetti di questi campi magnetici incredibilmente forti che non potremmo mai riprodurre sulla Terra con la tecnologia attuale», conclude Bachetti. «Questa è la bellezza dell’astronomia: osservando il cielo, espandiamo la nostra capacità di indagare su come funziona l’universo. D’altra parte, se non possiamo organizzare esperimenti per ottenere risposte rapide, dobbiamo aspettare che l’universo ci mostri i suoi segreti».

Per saperne di più:

  • Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Orbital decay in M82 X-2”, di Matteo Bachetti, Marianne Heida, Thomas Maccarone, Daniela Huppenkothen, Gian Luca Israel, Didier Barret, Murray Brightman, McKinley Brumback, Hannah P. Earnshaw, Karl Forster, Felix Fürst, Brian W. Grefenstette, Fiona A. Harrison, Amruta D. Jaodand, Kristin K. Madsen, Matthew Middleton, Sean N. Pike, Maura Pilia, Juri Poutanen, Daniel Stern, John A. Tomsick, Dominic J. Walton, Natalie Webb e Jörn Wilms