Mieloma multiplo pretrattato: belantamab raddoppia sopravvivenza


Mieloma multiplo fortemente pretrattato, con belantamab mafodotin risposte durature e sopravvivenza raddoppiata secondo nuovi dati

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Nei pazienti con mieloma multiplo ricaduto/refrattario fortemente pretrattati e già esposti alle tre principali classi di farmaci attualmente in uso per la cura di questa patologia (immunomodulanti, inibitori del proteasoma e anticorpi monoclonali anti-CD38), il trattamento con il coniugato anticorpo-farmaco (ADC) belantamab mafodotin può produrre risposte rapide, profonde, durature e clinicamente significative, a fronte di un profilo di sicurezza gestibile. Lo dimostrano i dati dell’analisi finale, compresi quelli relativi alla sopravvivenza globale (OS), dello studio registrativo di fase 2 DREAMM-2, con un follow-up di circa 3 anni, comunicati al 64° congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH), a New Orleans.

«L’osservazione più prolungata ha permesso di confermare i risultati in termini di efficacia, con oltre il 30% di risposte, ma ha mostrato anche una durata della risposta più prolungata rispetto all’analisi iniziale, durata che attualmente si attesta intorno a un anno, e, cosa ancora più importante, una sopravvivenza globale che è pari a circa 15 mesi, un dato positivo in questo setting di pazienti con malattia ricaduta/refrattaria in fase avanzata, che secondo la letteratura aveva un’aspettativa media di vita intorno ai 6 mesi; un’aspettativa di sopravvivenza, dunque, più che raddoppiata, e che costituisce un miglioramento significativo», ha detto Elena Zamagni, Professore Associato di Ematologia dell’Istituto di Ematologia ‘L. e A. Seràgnoli’ presso l’IRCCS AOU S. Orsola-Malpighi di Bologna.

«I dati relativi alla risposta erano già noti e sono stati confermati», ha ribadito l’esperta. Fino a questa analisi, «mancava ancora un’osservazione più prolungata del dato di sopravvivenza globale, che è un dato di interesse clinico notevole, la cui importanza nelle fasi avanzate della patologia prende un po’ il sopravvento su quella di altri parametri».

Belantamab mafodotin
Belantamab mafodotin è un ADC diretto contro l’antigene di maturazione delle cellule B (BCMA), un antigene altamente espresso sulle plasmacellule mielomatose, la cui espressione aumenta passando dalle fasi più precoci della malattia a quelle più avanzate.

Il farmaco è formato da un anticorpo monoclonale in grado di riconoscere e legare il BCMA, coniugato con la monometilauristatina F (MMAF), un agente citotossico anti-microtubulare che viene rilasciato nel citoplasma a seguito del legame fra l’anticorpo e l’antigene bersaglio.

Una volta legatosi al BCMA sulle cellule tumorali, questo ADC le elimina attraverso un meccanismo d’azione multimodale, che comprende l’apoptosi indotta dalla MMAF, la citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente e la fagocitosi cellulare anticorpo-dipendente.

Belantamab mafodotin è stato approvato dalle agenzie regolatorie, e dal dicembre 2021 è disponibile anche in Italia come trattamento per pazienti adulti con mieloma multiplo già trattati con almeno quattro terapie precedenti, risultati refrattari ad almeno un inibitore del proteasoma, un immunomodulatore e un anti-CD38, e andati in progressione durante l’ultima terapia. L’approvazione si è basata proprio sui risultati dello studio DREAMM-2.

Lo studio DREAMM-2
DREAMM-2 (NCT03525678) è un trial multicentrico internazionale, randomizzato e in aperto, nel quale si sono testate efficacia e sicurezza di due dosi diverse di belantamab mafodotin in 221 pazienti con mieloma multiplo recidivante/refrattario, già esposti ad almeno tre linee di terapia e risultati refrattari a un immunomodulatore e un inibitore del proteasoma e refrattari/ intolleranti a un anticorpo anti-CD38.

Complessivamente, 97 pazienti sono stati trattati con 2,5 mg/kg e 124 con 3,4 mg/kg di belantamab mafodotin, somministrato mediante infusione endovenosa ogni 3 settimane, il giorno 1 di ogni ciclo, fino alla progressione della malattia o alla comparsa di una tossicità non tollerabile dal paziente. La posologia che è stata poi approvata dalle autorità regolatorie è quella pari 2,5 mg/kg ogni 3 settimane.

L’endpoint primario dello studio era il tasso di risposta complessivo (ORR, cioè la percentuale di pazienti con una risposta parziale o migliore secondo i criteri IMWG del 2016), mentre erano endpoint secondari chiave la durata della risposta (DoR), il tasso di beneficio clinico (CBR), il tempo di risposta (TTR), la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e l’OS.

Risposte rapide e durature con belantamab mafodotin
Oltre che durature, le risposte a belantamab mafodotin si sono ottenute rapidamente. Infatti, il tempo mediano di risposta è stato di 1,5 mesi (IC al 95%, 1,0-2,1) nella coorte trattata con 2,5 mg/kg e 1,4 mesi nella coorte trattata con 3,4 mg/kg. Inoltre, la DoR mediana è risultata di 12,5 mesi (IC al 95% 4,2-19,3) con 2,5 mg/kg e 6,2 mesi (IC al 95% 4,8-18,7) con 3,4 mg/kg.

«Circa un terzo di pazienti ottiene una risposta almeno parziale, la ottiene in maniera rapida, in circa un mese e mezzo come tempo mediano, e la mantiene in maniera prolungata», ha sottolineato Zamagni.

La DoR mediana osservata nella coorte trattata con 2,5 mg/kg è migliorata rispetto ai valori riportati nelle precedenti analisi e la dose di 2,5 mg/kg di belantamab rimane l’unica dose raccomandata del farmaco, ha sottolineato l’autore che ha presentato i dati, Ajay Nooka, del Winship Cancer Institute dell’Emory University Hospital di Atlanta in Georgia.

Tassi di risposta confermati
L’ORR è rimasto coerente con i dati riportati in precedenza: 32% nella coorte trattata con 2,5 mg/kg (IC al 97,5% 21,7%-43,6%) e 35% (IC al 97,5% 24,8%-47,0%) in quella trattata con 3,5 mg/kg, ma ci sono state più risposte complete (comprendendo in questo conteggio anche la risposta completa rigorosa), nella prima coorte rispetto alla seconda: 9% contro 5%. rispettivamente.

Inoltre, nei pazienti trattati con 2,5 mg/kg, il 9% dei pazienti ha ottenuto una risposta parziale molto buona, il 13% una risposta parziale e il 27% una stabilizzazione della malattia al momento del follow-up.

I risultati sia di ORR sia di DoR mediana si sono mantenuti coerenti anche nei sottogruppi di pazienti difficili, ha riferito Nooka, come quelli con citogenetica ad alto rischio o con danno renale da lieve a moderato.

Sopravvivenza globale di oltre un anno
L’analisi finale dei dati ha anche evidenziato che l’OS è migliorata per i pazienti trattati con 2,5 mg/kg rispetto all’analisi eseguita dopo 13 mesi di follow-up (dati pubblicati nel 2020 su The Lancet Oncology).

In questa coorte l’OS mediana è risultata di 15,3 mesi (IC al 95% 9,9-18,9), mentre nella coorte trattata con 3,4 mg/kg è risultata di 14 mesi (IC al 95% 9,7-non raggiunta [NR]). Nei pazienti che hanno ottenuto almeno una risposta parziale molto buona al farmaco, l‘OS mediana è stata stimata rispettivamente in 30,7 mesi e 35,5 mesi.

Quanto alla PFS, sempre nel sottogruppo di pazienti con una risposta parziale molto buona o maggiore, la mediana è stata stimata rispettivamente in 14 mesi e 16,8 mesi.

Complessivamente, la PFS mediana è risultata di 2,8 mesi (IC al 95% 1,6-3,6) con 2,5 mg/kg e 3,9 mesi (IC al 95% 2,0-5,8) con 3,4 mg/kg.

Anche i tassi di negatività della malattia minima residua (MRD) sono rimasti coerenti con quelli riportati nelle analisi precedenti, e sono risultati più alti nella coorte trattata con 2,5 mg/kg. In particolare, nei pazienti che hanno raggiunto almeno una risposta parziale molto buona, il tasso di MRD-negatività è risultato del 36% con la dose pari a 2,5 mg/kg e 23% con quella pari a 3,4 mg/kg.

Profilo di sicurezza senza sorprese
Riguardo alla sicurezza, «Non sono stati rilevati nuovi segnali confrontano l’incidenza degli eventi avversi con i dati riportati in precedenza», ha riferito Nooka. «Gli eventi avversi oculari di qualsiasi grado riportati più comunemente in entrambe le coorti sono stati la cheratopatia, la visione offuscata e la migliore acuità visiva corretta (BCVA) ridotta a 20/50 o peggio».

Complessivamente, i pazienti che hanno sviluppato cheratopatia di qualsiasi grado sono stati il 71% (29% di grado 3, 1% di grado 4) nella coorte trattata con 2,5 mg/kg e il 75% (24% di grado 3, 1% di grado 4) nella coorte trattata con 3,5 mg/kg, mentre quelli che hanno riportato un offuscamento della visione sono stati rispettivamente il 25% e 36%, e quelli con una BCVA ridotta a 20/50 o peggio rispettivamente il 48% e 49%.

«La tossicità oculare era nota fin dalla prima presentazione dei dati, ma era importante capire cosa succede da questo punto di vista prolungando l’osservazione», ha ricordato Zamagni. «Si è visto è che la cheratopatia tardiva praticamente non esiste: questo evento avverso si manifesta per lo più nei primi mesi di terapia, sono pochissimi i pazienti che la sviluppano nel tempo e chi l’ha manifestata nei primi cicli di terapia, in più dell’’80% dei casi l’ha risolta».

In ogni caso, non si sono registrati casi di perdita completa permanente della visione.

Gli altri eventi avversi più frequenti di qualsiasi grado sono risultati la trombocitopenia (rispettivamente, 38% e 57%), l’anemia (27% e 38%) e le infezioni (45% e 55%). Le infezioni più frequenti in entrambe le coorti sono state quelle del tratto respiratorio superiore (11% e 22%).

Eventi avversi oculari gestibili
Questi eventi avversi oculari e di altro tipo sono stati gestiti ritardando le somministrazioni o riducendo il dosaggio del farmaco rispettivamente nel 54% e 62% dei pazienti e nel 36% e 44% dei pazienti.

«Le variazioni di dosaggio si sono dimostrate ancora una strategia efficace per risolvere gli eventi avversi oculari, che sono peraltro un effetto di classe noto degli ADC contenenti la MMAF come payload», ha osservato Nooka.

Peraltro, ha aggiunto l’autore, si è visto che posticipare una somministrazione di oltre 63 giorni non ha avuto un effetto detrimentale sulla DoR.

I pazienti che hanno dovuto interrompere definitivamente il trattamento a causa di eventi avversi sono stati il 9% nella coorte trattata con 2,5 mg/kg e 5% in quella trattata con 3,4 mg/kg e le interruzioni definitive dovute a eventi avversi oculari sono state rare (3% in entrambe le coorti).

In conclusione
Nonostante la frequenza degli eventi avversi e il verificarsi di eventi avversi oculari, questi non hanno avuto alcun impatto sulla qualità della vita complessiva del paziente correlata alla salute, che è stata mantenuta o è addirittura migliorata, ha sottolineato Nooka nelle sue conclusioni.

Belantamab mafodotin «è un farmaco che può essere offerto a tutti i pazienti (per i quali è indicato, ndr), perché non ha un profilo di tossicità tale da escludere alcune categorie di pazienti ab initio», ha rimarcato Zamagni.

«I pazienti che rispondono al trattamento, possono mantenere la risposta a lungo e quindi possono essere trattati per un lungo periodo di tempo. Al di là della cheratopatia, che è un evento avverso iniziale e va gestito, non ci sono eventi avversi cronici che possono peggiorare nel tempo la qualità di vita del paziente; pertanto, belantamb mafodotin è un farmaco che … di solito è molto ben tollerato e permette un prolungamento significativo della sopravvivenza in pazienti con malattia avanzata e refrattaria», ha concluso Zamagni.

Bibliografia
A. Nooka, et al. Single-Agent Belantamab Mafodotin in Patients with Relapsed or Refractory Multiple Myeloma: Final Analysis of the DREAMM-2 Trial. ASH 2022; abstract 3246. Link