Strage Via D’Amelio: per i giudici non fu solo colpa della mafia


I giudici: “Non solo Cosa nostra dietro alla strage di via d’Amelio. L’agenda rossa di Paolo Borsellino non fu rubata dalla mafia”

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Domenica 19 Luglio 1992 l’attentato mafioso a Paolo Borsellino e 5 agenti della scorta, uccisi da un’autobomba piazzata all’interno di un’auto in Via d’Amelio

“L’istruttoria dibattimentale ha consentito di apprezzare una serie di elementi utili a dare concretezza alla tesi della partecipazione (morale e materiale) alla strage di via D’Amelio di altri soggetti (diversi da Cosa nostra) e/o di gruppi di potere interessati all’eliminazione di Paolo Borsellino“. Questo un passaggio delle motivazioni della sentenza sul depistaggio delle indagini relative alla strage del 19 luglio 1992, depositate dai giudici del tribunale di Caltanissetta.

“VERITÀ SULLA STRAGE MANIPOLATE PER INTERESSI ‘NON ALTI’

La ricostruzione del passato è stata spesso manipolata al fine di fornire una interpretazione dei fatti che è funzionale alla tutela di interessi non ‘alti’, ma altri rispetto alla ricostruzione autentica di tanti eventi cruciali e cupi degli ultimi decenni di storia del nostro Paese che, per anni, sono stati rappresentati alla maggioranza dei cittadini in modo certamente distorto. La strage di via D’Amelio, tragica nel suo esito umano e deflagrante sul piano politico istituzionale dell’epoca in cui si consumò, ne è esempio paradigmatico e pone un tema fondamentale, quello della verità nascosta, o meglio non completamente disvelata”, si legge nell’incipit delle motivazioni della sentenza. La Corte, presieduta da Francesco D’Arrigo, dichiarò prescritte le accuse a due dei tre poliziotti accusati di avere messo in piedi i depistaggi: Mario Bo e Fabrizio Mattei. Assolto il terzo imputato, Michele Ribaudo.

“L’odierno collegio – si legge nelle 1.434 pagine – ritiene che il diritto alla verità possa definirsi un fondamentale diritto della persona umana nell’ambito del quale si fondono, fino a modificarsi geneticamente quando entrano in contatto, sia la prospettiva individuale, delle vittime e dei loro familiari, che quella collettiva. Quest’ultima – ancora i giudici – chiama all’appello tanto lo Stato-persona (obbligato a indagare, condurre i processi, adottare misure ripristinatorie e repressive nei confronti dei responsabili), quanto lo Stato-collettività, al cui interno viene emergendo un ‘bisogno’ diffuso di conoscenza di fatti che costituiscono parti delle ragioni di identità dello Stato stesso”.

GIUDICI: AMNESIE GENERALIZZATE DA APPARTENENTI A ISTITUZIONI

Nelle motivazioni sul processo per il depistaggio delle indagini relative alla strage di via D’Amelio, nella quale morirono il magistrato Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta, i giudici del tribunale di Caltanissetta evidenziano le “amnesie generalizzate di molti soggetti appartenenti alle istituzioni, soprattutto – si legge – i componenti del Gruppo investigativo specializzato Falcone-Borsellino della Polizia di Stato”. I giudici nisseni, ricordando le “dichiarazioni testimoniali palesemente smentite da risultanze oggettive e da inspiegabili incongruenze logiche”, sottolineano come “l’accertamento istruttorio sconta gli inevitabili limiti derivanti dal velo di reticenza cucito da diverse fonti dichiarative”.

GIUDICI: L’AGENDA ROSSA DI BORSELLINO NON FU RUBATA DALLA MAFIA

“A meno di non ipotizzare scenari inverosimili di appartenenti a Cosa nostra che si aggirano in mezzo a decine di appartenenti delle forze dell’ordine, può ritenersi certo che la sparizione dell’agenda rossa non è riconducibile ad una attività materiale di Cosa nostra“, si legge ancora nelle motivazioni della sentenza. Da questa presa d’atto, secondo i giudici, “discendono due ulteriori logiche conseguenze”. In primo luogo, “l’appartenenza ‘istituzionale’ di chi ebbe a sottrarre materialmente l’agenda“. Poi, si legge: “Gli elementi in campo non consentono l’esatta individuazione della persona fisica che procedette all’asportazione dell’agenda senza cadere nella pletora delle alternative logicamente possibili, ma è indubbio che può essersi trattato solo di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e, per conoscenze pregresse (importanza delle annotazioni vergate da Borsellino), sapeva cosa era necessario/opportuno sottrarre”. In secondo luogo, “un intervento così invasivo, tempestivo (e purtroppo efficace) nell’eliminazione di un elemento probatorio così importante per ricostruire (non oggi, ma già 1992) il movente dell’eccidio di via D’Amelio certifica – si legge ancora – la necessità per soggetti esterni a Cosa nostra di intervenire per ‘alterare’ il quadro delle investigazioni evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage (che si aggiungono a quella mafiosa) e, in ultima analisi, disvelare il loro coinvolgimento nella strage di Via D’Amelio”.