Policitemia vera: ottimi risultati con ropeginterferone alfa-2b


Policitemia vera: per il controllo di malattia, ropeginterferone alfa-2b meglio della flebotomia anche nei pazienti a basso rischio

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Dopo 2 anni di trattamento con ropeginterferone alfa-2b a bassa dose in aggiunta alla terapia standard, un numero significativamente maggiore di pazienti con policitemia vera a basso rischio mantiene l’ematocrito al di sotto del 45%, con un fabbisogno ridotto di flebotomie e una riduzione della splenomegalia e dei sintomi della malattia, rispetto ai pazienti trattati con la sola terapia standard (flebotomia più aspirina). Lo evidenziano i risultati finali dello studio di fase 2 Low-PV, presentati al 64° convegno annuale dell’American Society of Hematology (ASH), a New Orleans.

Infatti, dopo 2 anni di terapia, il 67% dei pazienti trattati con ropeginterferone alfa-2b ha mantenuto l’ematocrito a livelli non superiori al 45% e non ha mostrato alcuna progressione della malattia, rispetto al 30% nel braccio trattato con la sola flebotomia.

Sola flebotomia insufficiente
La policitemia vera è una neoplasia maligna clonale caratterizzata da una mutazione del gene JAK2 (la mutazione V617F) che comporta l’aumento dei globuli rossi e, spesso, anche dei globuli bianchi e delle piastrine. La storia naturale della malattia è caratterizzata principalmente da un rischio aumentato di trombosi maggiori.

Nei pazienti a basso rischio (età < 60 anni, senza precedenti di tipo cardiovascolari), la terapia standard di prima linea è rappresentata dalla flebotomia (salassoterapia) e dall’aspirina.

Tuttavia, la sola flebotomia riesce a mantenere l’ematocrito entro i valori raccomandati solo nel 20-30% dei pazienti a basso rischio, oltre ad essere associata a effetti negativi su diversi aspetti della qualità della vita.

Inoltre, nei pazienti a basso rischio trattati con la sola flebotomia il tasso di trombosi resta elevato, mentre ci sono evidenze che i farmaci citoriduttivi possano ridurre l’incidenza delle complicanze vascolari della malattia.

Partendo da queste considerazioni, Barbui e colleghi, con lo studio Low-PV, hanno voluto verificare se l’aggiunta della terapia citoriduttiva con ropeginterferone alfa 2b alla terapia standard basata sulle flebotomie possa migliorare l’efficacia del trattamento dei pazienti con policitemia vera a basso rischio, in termini di mantenimento dell’ematocrito entro i livelli raccomandati, al fine di ridurre il rischio ancora elevato di trombosi residua.

Lo studio Low-PV
Low-PV (NCT030030025) è uno studio multicentrico tutto italiano (22 i centri partecipanti), randomizzato, controllato, in aperto, che ha coinvolto 127 pazienti di età compresa fra 18 e 60 anni con policitemia vera a basso rischio. Tutti i partecipanti nella loro storia clinica non dovevano presentare eventi cardiovascolari. Inoltre, prima dell’entrata nello studio, tutti sono stati sottoposti a flebotomia per raggiungere livelli di ematocrito inferiori al 45%.

Nella prima fase dello studio (‘core study’) i partecipanti sono stati assegnati secondo un rapporto di randomizzazione 1:1 al trattamento standard con flebotomia e aspirina (63 pazienti) oppure alla somministrazione di ropeginterferone alfa-2b per via sottocutanea ogni 2 settimane alla dose fissa di 100 µg, in aggiunta alla terapia standard (64 pazienti), per un anno.

L’endpoint primario era rappresentato dalla percentuale di pazienti che mantenevano valori mediani di ematocrito ≤45% a 12 mesi, in assenza di progressione della malattia, cioè in assenza di eventi quali trombosi, emorragie, leucocitosi progressiva, trombocitosi sintomatica, splenomegalia sintomatica o altri sintomi non controllati. Fra gli endpoint secondari vi erano, fra gli altri, il numero di flebotomie, la riduzione della splenomegalia, la conta leucocitaria e piastrinica, e la carica allelica dell’allele di JAK2 con la mutazione V617F.

Nessuna progressione della malattia e flebotomie dimezzate con ropeginterferone alfa-2b
Dopo il primo anno di trattamento, l’endpoint primario è stato raggiunto dall’81% dei pazienti trattati con ropeginterferone alfa-2b contro il 51% di quelli sottoposti alla sola terapia standard (OR 4,20 IC al 95% 1,77-10,23; P <0,001).

Si è osservata una progressione della malattia nel 13% dei pazienti, tutti nel braccio assegnato alla terapia standard.

Inoltre, il numero medio di flebotomie è risultato dimezzato nel braccio sperimentale rispetto al braccio di controllo: 2,91 per paziente/anno contro 4,17 per paziente/anno (P = 0,019).

Nella seconda fase dello studio (fase di ‘estensione’), i pazienti che a 12 mesi avevano risposto ai trattamenti (rispettivamente 52 nel braccio sperimentale e 32 in quello di confronto) hanno continuato il trattamento assegnato per ulteriori 12 mesi, per un totale di 2 anni.

Riduzione di globuli bianchi e piastrine, e riduzione della splenomegalia
Nei pazienti trattati con ropeginterferone alfa-2b, oltre che un tasso di risposta superiore in termini di mantenimento dell’ematocrito entro i valori target, già dopo i primi 12 mesi di trattamento si è osservata anche una notevole riduzione dei valori dei globuli bianchi e delle piastrine, che sono rimasti invece abbastanza stabili nei pazienti assegnati alla sola terapia standard; nel braccio sperimentale tale riduzione si è mantenuta anche nel secondo anno di trattamento.

Inoltre, dopo 2 anni di trattamento, nel braccio assegnato a ropeginterferone alfa-2b la quota di pazienti che presentava splenomegalia palpabile si era praticamente dimezzata rispetto al basale (dal 33% al 14%), mentre nel braccio della terapia standard era aumentata (dal 29% al 37%).

Positivo anche l’impatto del ropeginterferone alfa-2b sui sintomi della malattia, fra cui fra cui la fatica, il calo ponderale, la febbre, i dolori ossei, le sudorazioni notturne e il discomfort addominale. Infatti, dopo i 2 anni di trattamento, nel braccio sperimentale tutti i sintomi valutati si erano ridotti, mentre nel braccio di controllo la maggior parte di quelli valutati era aumentata. Complessivamente, inoltre, fra i responder, nel braccio del ropeginterferone alfa-2b i pazienti con sintomi da moderati a gravi sono scesi dal 39% al basale al 33%dopo 2 anni di terapia, mentre nel braccio assegnato alla sola terapia standard sono aumentati, passando dal 43% al 67%.

Riduzione della carica allelica
Infine, nei pazienti trattati con il farmaco sperimentale i ricercatori hanno riscontrato già dopo 12 mesi una riduzione significativa della carica allelica dell’allele con la mutazione V617F del gene JAK2, -11,91%, a fronte di un aumento (+1,83%) nei pazienti trattati con la sola terapia standard; inoltre, nel braccio trattato con ropeginterferone alfa-2b la riduzione della carica allelica è aumentata ulteriormente dopo 24 mesi di terapia: -23%.

Per quanto riguarda i pazienti che a 12 mesi non avevano risposto al trattamento assegnato, sono stati sottoposti a cross-over al braccio opposto, per cui 9 del braccio sperimentale sono passati al trattamento con la sola terapia standard e 23 pazienti del braccio di controllo al trattamento con ropeginterferone alfa-2b. Tra questi ultimi, dopo i successivi 12 mesi di trattamento, il tasso di risposta è stato del 30%, la necessità di flebotomie è stata elevata (4,7 per paziente/anno) e la riduzione della carica allelica della mutazione V617F di JAK2 è stata solo del 4% (a fronte del circa 12% ottenuto dopo il primo anno di terapia con ropeginterferone alfa-2b nel braccio sperimentale). Inoltre, solo un paziente (11%) che è passato dal trattamento con ropeginterferone alfa-2b alla sola terapia standard ha ottenuto una risposta.

Profilo di sicurezza favorevole
Il profilo di sicurezza di ropeginterferone alfa-2b è risultato favorevole e la qualità di vita dei pazienti trattati col farmaco è migliorata, ha riferito Barbui.

L’incidenza degli eventi avversi correlati al trattamento è risultata del 55% nel braccio assegnato al farmaco sperimentale e 6% in quello sottoposto alla sola terapia standard (P <0,001), mentre non è stata riscontrata alcuna differenza significativa per gli eventi di grado 3 o superiore, la cui frequenza è risultata rispettivamente del 9% e 8% (P = 0,948).

Nel braccio trattato con ropeginterferone alfa-2b l’8% dei pazienti ha dovuto interrompere il trattamento a causa di una reazione avversa (nessuno nel braccio di controllo).

In conclusione
Ropeginterferone alfa 2-b a basso dosaggio, ha concluso Barbui, si è dimostrato sicuro, ben tollerato e più efficace rispetto alla sola flebotomia nel mantenere l’ematocrito a livelli target nei pazienti con policitemia vera a basso rischio e nel limitare la progressione della malattia.

Sebbene questi risultati non possano dimostrare un effetto protettivo diretto di ropeginterferone alfa-2b contro la trombosi, ha precisato il Professore, dimostrano chiaramente che è efficace su un insieme di potenziali endpoint surrogati, che in uno studio precedente, lo studio CYTO-PV, sono risultati correlati alla trombosi.

In conclusione, dunque, questi dati suggeriscono che ropeginterferone alfa-2b può presentare diversi vantaggi rispetto alla terapia standard nei pazienti con policitemia vera a basso rischio e forniscono anche i presupposti per esplorare dosi più alte in categorie selezionate di pazienti.

Bibliografia
T. Barbui, et al. Ropeginterferon Alfa-2b Versus Standard Therapy for Low-Risk Patients with Polycythemia Vera. Final Results of Low-PV Randomized Phase II Trial. ASH 2022; abstract 744. Link