Insonnia possibile bersaglio terapeutico per disturbi psicotici


Insonnia possibile target terapeutico per prevenire e trattare disturbi psicotici secondo una nuova revisione e meta-analisi pubblicata online su “JAMA Psychiatry”

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Secondo una nuova revisione e meta-analisi pubblicata online su “JAMA Psychiatry”, i disturbi del sonno sono costantemente elevati durante il corso delle psicosi, con gli stadi più tardivi delle patologie associati alla caratteristica attività delle onde cerebrali durante il sonno.

Per esempio, rispetto ai loro coetanei sani, i partecipanti allo studio che erano in una fase di psicosi cronica presentavano una riduzione di densità, ampiezza e durata dei fusi (sleep spindles), ovvero esplosioni di attività delle onde cerebrali durante il sonno identificate dall’elettroencefalografia (EEG).

«I risultati suggeriscono che il sonno potrebbe essere un obiettivo importante e un’area di ricerca e intervento clinico che potrebbe fare la differenza» nella vita dei pazienti a rischio di psicosi, scrivono i ricercatori dello studio coordinati dall’autore senior Fabio Ferrarelli, professore associato di Psichiatria e direttore del programma Sleep and Schizophrenia dell’University of Pittsburgh School of Medicine, in  Pennsylvania.

Finestra di opportunità per interventi precoci
I ricercatori separano la psicosi in fasi. Durante la fase “clinicamente ad alto rischio di psicosi” (CHR-P), i pazienti hanno sintomi più lievi ma non hanno un disturbo psicotico diagnosticabile. Quelli nella fase iniziale della psicosi (EP) hanno avuto un primo episodio di psicosi. Quando raggiungono un cut-off, spesso a 5 anni, sono considerati affetti da psicosi cronica (CP).

Studi precedenti hanno dimostrato che il sonno alterato spesso precede un episodio psicotico nella psicosi precoce e il sonno interrotto contribuisce a prevedere la transizione verso la psicosi nei giovani a rischio per tale condizione. Gli individui con CP riferiscono comunemente disturbi del sonno, come l’insonnia.

A seguito di una ricerca bibliografica, i ricercatori di questa meta-analisi hanno selezionato 21 studi che valutavano la prevalenza dei disturbi del sonno in 5.135 pazienti. Hanno anche selezionato 39 studi che misuravano le alterazioni del sonno in modo soggettivo (per esempio, la qualità del sonno) e/o oggettivo (per esempio, l’architettura e l’oscillazione del sonno) in 1.575 pazienti e 977 controlli sani.

Gli studi inclusi hanno misurato la prevalenza dei disturbi del sonno e/o le caratteristiche del sonno in diverse fasi della psicosi utilizzando polisonnografia, EEG, actigrafia o auto-rapporti. La prevalenza aggregata dei disturbi del sonno è stata del 50% in tutte le fasi cliniche (IC 95%, 40% – 61%). In particolare, la prevalenza è stata del 54% nella CHR-P, del 68% nella EP e del 44% nella CP. La prevalenza dell’insonnia come disturbo primario del sonno era del 34% nei casi aggregati, del 48% nel gruppo EP e del 27% nel gruppo CP.

«L’aspetto interessante è che il tasso dei disturbi del sonno è relativamente stabile in tutte le fasi» rilevano Ferrarelli e coautori. «Questo è importante perché si dispone di una finestra di opportunità per effettuare un intervento precoce nelle persone a rischio tale da impedire che la condizione peggiori».

I ricercatori suggeriscono ai medici di valutare l’insonnia nei pazienti in fase precoce e forse raccomandare la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) per l’insonnia. Inoltre, dovrebbero essere promosse misure di igiene del sonno per i pazienti a rischio (come evitare caffeina, alcol e dilazioni di tempo di schermo prima di coricarsi, adottando un modello di sonno regolare).

«Queste sono persone a rischio, il che significa che hanno una probabilità del 20-30% di sviluppare un disturbo psicotico» sottolineano Ferrarelli e colleghi. «Probabilmente il sonno interrotto è uno dei fattori che possono fare la differenza».

Alterazioni dell’architettura del sonno nei pazienti con disturbi psicotici
Per confrontare la qualità del sonno tra gruppi clinici e di controllo, gli studi hanno utilizzato punteggi totali sul Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI), dove un punteggio superiore a 5 indica un problema del sonno.

C’è stata una significativa differenza media standardizzata (SMD) nei casi aggregati rispetto ai controlli (SMD, 1,0; IC 95%, 0,7-1,3; P < 0,001). Ogni gruppo clinico ha mostrato una qualità del sonno peggiore rispetto ai controlli. Nel valutare le anomalie dell’architettura del sonno, i confronti caso-controllo specifici dello stadio hanno mostrato che questi erano guidati dagli stadi EP e CP. Le caratteristiche alterate del sonno in entrambe queste fasi includevano una maggiore latenza di insorgenza del sonno, un aumento della veglia dopo l’inizio del sonno e una ridotta efficienza del sonno.

Rispetto ai controlli, quello CP era l’unico gruppo clinico con più risvegli (arousal). I pazienti con CP avevano anche più risvegli rispetto al gruppo CHR-P e il numero dei risvegli era significativamente influenzato dai farmaci. I risultati indicano che gli effetti dei farmaci antipsicotici sul sonno dovrebbero essere attentamente monitorati, specialmente nella CP, scrivono i ricercatori, aggiungendo che i medici dovrebbero prendere in considerazione aggiustamenti farmacologici, come dosi ridotte o passaggi a un altro composto.

Risultati “robusti” in relazione ai fusi
Per quanto riguarda i parametri dei fusi, i casi aggregati hanno mostrato una sua riduzione significativa di densità (SMD, -1,06), ampiezza (SMD, -1,08) e durata (SMD, -1,21) rispetto ai controlli. I confronti specifici per stadio hanno rivelato che questi deficit erano presenti sia nella PE che nella CP rispetto ai controlli. Ferrarelli e colleghi osservano che i risultati per le anomalie dei fusi erano tra «le più robuste» e mostrano che queste anomalie «tendono a peggiorare nel corso della malattia».

I dati dei fusi sono «molto più informativi» di quelli forniti da altri parametri del sonno. «Questa potrebbe essere una misura oggettiva utilizzabile per identificare gli individui che hanno un disturbo psicotico e monitorarne la progressione a scopo prognostico» aggiungono. Osservano inoltre che i fusi possono anche rappresentare un obiettivo promettente per gli interventi di trattamento e aggiungono che la stimolazione magnetica transcranica non invasiva ha mostrato risultati promettenti nel ripristinare le oscillazioni del sonno, compresi i fusi.

Un altro modo per evocare l’attività cerebrale bersaglio può essere attraverso toni uditivi – con un paziente che ascolta un suono particolare attraverso le cuffie mentre dorme, spiegano Ferrarelli e colleghi.

Una conferma a dati già evidenziati
Questa revisione «riafferma solo ciò che è stato riportato da studi individuali per decenni» commenta Jeffrey A. Lieberman, professore e presidente di Psichiatria presso la Columbia University (New York City), ed ex presidente dell’American Psychiatric Association. Il fatto che così tanti soggetti a rischio di studio avessero un’anomalia del sonno non è sorprendente, scrive Lieberman, il quale non è stato coinvolto nella ricerca attuale.

«Quante persone nella tarda adolescenza o nella prima età adulta hanno problemi di sonno?» si chiede. «Oserei dire che probabilmente sono molte. Quindi la domanda è: quanto è diverso tutto questo da ciò che accade nelle persone che non sviluppano la malattia?»

L’obiettivo della ricerca sul sonno nell’area della schizofrenia è stato a lungo quello di distinguere gli effetti dei farmaci da quelli dei fattori ambientali rispetto alla malattia e di essere in grado di trattare i pazienti per normalizzare il loro sonno, ricorda Lieberman. «Ma non è chiaro da questi risultati come si debba intervenire» ha aggiunto.

Bibliografia:
Bagautdinova J, Mayeli A, Wilson JD, et al. Sleep Abnormalities in Different Clinical Stages of Psychosis: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA Psychiatry, 2023 Jan 18. doi: 10.1001/jamapsychiatry.2022.4599. [Epub ahead of print] leggi