Arte Borgo Gallery ospita le opere di Luciano Puzzo e Annibale Vanetti


Fino al 30 marzo la doppia personale di Luciano Puzzo e Annibale Vanetti a cura di Anna Isopo dal titolo “Carte da decifrare” presso Arte Borgo Gallery

luciano puzzo

Prosegue la doppia personale di Luciano Puzzo e Annibale Vanetti. In mostra fino al 30 marzo, 60 opere di piccolo formato e installazioni realizzate sul tema del ricordo.

Come recita il titolo, il termine ‘de-cifrare’ presuppone una ‘cifra’, ovvero un simbolo che riassume un’idea, un lavoro, uno stile, un modo di essere e di pensare. Implicitamente, l’analisi per identificare una ‘cifra’ caratteristica comporta altresì la conseguente azione di ‘de-crittare’ – dal greco crypte, nascosto, coperto – ovvero portare alla luce, all’evidenza visiva. Al contempo, ciò che era nascosto era anche protetto, come in uno scrigno, per cui l’azione della scoperta comporta rischi di cui l’autore deve essere consapevole. E come può essere consapevole di questi rischi un artista, e avere pure la forza di affrontarli, nel portare alla luce qualcosa di profondo e di intimo?

È qui che sovviene la manualità artistica del fare.

Le opere sono porte aperte, ‘soglie’ da attraversare per percorrere, in senso inverso, il percorso analitico-realizzativo esplorato dall’artista.

Un percorso agevolato oggi dalle modalità espressive dei due artisti in mostra: Luciano Puzzo e Annibale Vanetti, che hanno incentrato sulle trasparenze opposti racconti di vita. (dalla prefazione del catalogo della mostra).

Come scrive Laura Turco Liveri nel catalogo della mostra, la novità dei lavori di Luciano Puzzo consiste innanzi tutto nell’uso e nella presentazione di opere finite realizzate in sola carta. L’uso della carta vergatina che Puzzo ne fa – provocatore per scelta e per passione – è in se stesso già parte di quell’impulso che lo ha spronato oggi a realizzare opere che assumono appunto una diversa cifra, nuova, fresca, che emana il profumo leggero e colorato di un mondo vissuto dall’autore nell’infanzia, un mondo ora depurato dal ricordo e idealmente amplificato da un respiro di totale libertà immaginativa.

Se da bambino realizzava aquiloni con fettucce di canna “spaccate con rabbia” (come nella sua poesia Ali di vento, 1982), e con la carta vergatina colorata e piegata in modo geometrico, oggi il pittore, ripercorrendo la manualità di un tempo, si riconnette alla forza e alla purezza delle proprie aspirazioni, animando opere dove l’aspetto dell’aquilone si dissolve, distribuendosi in acquose stesure dai toni brillanti di piccoli rettangoli, piegati e stropicciati da una gestualità emotiva e al contempo razionale, in cui misura e geometria sono in realtà solo apparenti.

Nei suoi nuovi ‘aquiloni’ a vibrare è l’emozione sottesa al gesto: la carta piegata di un tempo si apre all’oggi, evocando in lui ricordi antichi e radicati nella propria formazione visiva sensibile e caratteriale ma, nel confronto con le attuali drammatiche situazioni, si inquina della stessa contaminazione che avvelena, in condivisione con chi guarda, i nostri mari, il nostro cielo, il nostro ambiente. Il processo creativo, mosso dal ricordo, diviene allora atto di ribellione e pianto, scaturito dall’indignazione per un presente contaminato, e cosciente invito alla riflessione e alla rivolta .

In Annibale Vanetti la stratificazione di materia pittorica nella translucentezza degli strati sottostanti, che attribuisce all’autore una dinamica creativa sofferta e una costante ricerca di idoneità sempre perfettibile, appare come l’applicazione di veli successivi che costringono l’osservatore a leggere l’opera finita in senso inverso rispetto al pittore, percorrendola dalla superficie fino allo strato più profondo.

Una gestualità strutturale, mediata da un’insita impalcatura geometrica mentale, ne controlla i limiti e ne garantisce, all’interno di essi, la libertà espressiva. Per tale architettura pittorica, la composizione si anima e riesce a perforare la superficie invisibile che separa l’opera dalla realtà fisica in cui essa è osservata, intrigando lo spettatore e attirandolo nei meandri di una lettura biunivoca, a doppio senso di percorrenza.

La superficie dei dipinti di Vanetti è, appunto, ‘solo’ superficie, pelle sottile che trattiene gli sconvolgimenti intimi che si originano dal fondo.

Altrove, Vanetti utilizza la tecnica del monotipo. La tecnica del monotipo è in sé una tecnica ‘del ricordo’. Ricordo in quanto l’opera risulta dall’impressione di un foglio dipinto di fresco su un altro foglio, che produce un’immagine speculare del primo, dove non tutta la materia pittorica si trasferisce e dove comunque si perde concretamente la cronologia degli strati. Il conseguente schiacciamento e certo rimescolamento delle originarie sovrapposizioni di colore rende il secondo foglio un’opera ‘altra’, con nuovi picchi e avvallamenti dovuti al distacco. Perdita di cronologia e differente conformazione dei segni in una nuova geografia visiva rendono l’opera strutturalmente simile al ricordo.

INFO

CARTE DA DECIFRARE”

Testi a cura di Laura Turco Liveri

Promossa da Arte Borgo Gallery

Inaugurazione sabato 18 marzo ore 17.30

Fino al 30 marzo 2023

Orari: da martedì a sabato 11.00 – 19.00

Arte Borgo Gallery

Borgo Vittorio 25 – Roma

Info 345 2228110

info@arteborgo.it

www.arteborgo.it

LUCIANO PUZZO

Note biografiche

Nasce nel 1946 a Siracusa dove vive fino all’età di 17 anni.

Nel 1963 si trasferisce per un anno a Roma dove frequenta l’Accademia di Belle Arti e successivamente a Milano per proseguire gli studi a Brera.

Dopo tre anni torna definitivamente nella capitale, dove tuttora vive.

Per molti anni lavora in pubblicità, firmando la creatività di numerose campagne per aziende nazionali e internazionali. Ha espletato attività di Art-Director presso importanti Agenzie di Pubblicità italiane e multinazionali. Successivamente fonda e dirige una propria Agenzia di Comunicazione Integrata.

Dal 1975 al 1982 si dedica a tempo pieno alla pittura, partecipando con le sue opere a numerose mostre e rassegne italiane ed estere.

Dal 2008 si impegna intensamente nella scrittura, arrivando a completare sei romanzi e due racconti brevi.

Dopo un’assenza durata molti anni, nel 2010 risente la forte necessità di “pensare arte” e riprende le fila di quelle emozioni bruscamente interrotte. Inizia così una lunga e intensa ricerca fotografica tesa a indagare nell’ambito sociale, ecologico, ambientale e dell’etica comportamentale che si materializza nella realizzazione di cinque “Operelibro” dove unisce immagini fotografiche a testi poetici.

Nel 2013-2014 realizza il ciclo di opere Afonia 366 ispirato ai migranti del Mediterraneo, coniugando immagini fotografiche e alfabeto afono a interventi pittorici via via sempre più presenti.

La sua ricerca artistica lo vede impegnato ad approfondire il concetto di afonia intesa come metafora ineluttabile della società contemporanea. Inserendo forti accelerazioni di segni e immagini emozionali, attraverso cui manifesta il suo dissenso urlato, intende segnalare l’urgenza di contrastare la tendenza alla rassegnazione nei confronti delle problematiche attuali.

Dal 2015 a oggi lavora a vari cicli di opere pittoriche quali:

Afonia e Segni, No Now, La Rambla, L’urlo, Ritratto, Mura, Maree, Come Osate? (ovvero Delle foglie l’apocalisse) ispirate a tematiche sociali con la presenza costante di elementi emozionali, alfabeti illeggibili e immagini fotografiche moltiplicate una su l’altra elaborate al computer e stampate con tecniche digitali a getto di inchiostro.

Le sue opere sono state esposte in numerose esposizioni personali e rassegne di arte contemporanea in Italia e all’estero.

ANNIBALE VANETTI

Note biografiche

Nasce a Marnate (VA) nel 1952.

La sua formazione, negli anni del Liceo Artistico, procede di pari passo con l’interesse per la musica e lo studio appassionato della chitarra. Frequenta per alcuni anni uno studio di architettura e fa esperienza nel campo della grafica pubblicitaria.

Negli anni ottanta si trasferisce in Sicilia dove ha modo di approfondire la sua ricerca sui rapporti fa suono e colore lavorando come insegnante nella scuola media.

Nel 2001 fonda, a Siracusa, l’associazione culturale l’Arco e la Fonte, uno spazio di aggregazione, crescita e sviluppo delle energie creative del territorio intorno ad idee e progetti, nel costante dialogo fra le diverse forme di espressione artistica.

A Milano conosce lo scrittore e filosofo Giuseppe Fornari, con lui ha modo di approfondire il tema dell’origine attraverso l’antropologia mimetica di René Girard e la sua illuminante visione della vittima sacrificale. Inizia un nuovo percorso artistico /culturale che si concretizza nel 2013 con la personale itinerante VIVIDIROSSI in cui ha modo di manifestare il suo rinnovato interesse per il colore con una gestualità più libera ed espressiva. Le associazioni visive emergono e ritornano alla superficie pittorica creando dissonanze visive. L’intuizione di fondo è che dal colore rosso provenga ogni possibile forma di percezione che oscilla fra rievocazione nostalgica della bellezza e manifestazione delle atrocità racchiuse nel suo passato.

In seguito, le ragioni profonde della sua pittura si rivelano sempre più legate al loro principale oggetto: il corpo. La pittura stessa si fa corpo, in un teso e difficile equilibrio fra aspetti materici e pittorici. La superficie non è finestra alla quale affacciarsi, piuttosto un muro sottile fatto di forme appena accennate e colori che attraggono e si ritraggono in un mostrarsi sottraendosi allo sguardo. Il quadro diventa maschera per antichi, sconosciuti riti in una figurazione che è frutto sì di una storia personale ma anche di una storia collettiva ancestrale e remota.

Negli anni più recenti il suo linguaggio pittorico si fa meno drammatico e più lirico. La stringente ricerca di una dimensione sacrale si vela di nostalgia e nostos (ritorno). Colore e materia diventano silenzio e spazio assoluto, in un dialogo serrato e stringente con una luce che si rivela dal profondo affiorando in superficie con repentini bagliori.