Osteoporosi: romosozumab efficace nelle donne con gonartrosi


La terapia con romosozumab non ha un impatto negativo sul dolore gonartrosico o sulla funzione nelle donne in post-menopausa trattate per l’osteoporosi

Osteoporosi: nuovi dati su romosozumab da uno studio presentato nel corso del congresso annuale dell'American Society for Bone and Mineral Research (ASBMR)

La terapia con romosozumab non ha un impatto negativo sul dolore gonartrosico o sulla funzione nelle donne in post-menopausa trattate per l’osteoporosi. Queste le conclusioni di un’analisi dello studio FRAME, presentata nel corso dei lavori del Congresso annuale ACR.

Razionale dello studio
Osteoporosi (OP) e osteoartrosi (OA) sono condizioni cliniche spesso concomitanti nell’età avanzata, ricordano i ricercatori nell’abstract di presentazione dello studio. La relazione che intercorre tra OP e OA è complessa: stando ad alcuni studi, si osserva un aumento del rischio di frattura associato all’OA.

Romosozumab si lega ed inibisce la sclerostina, generalmente considerata come una proteina osteociti-specifica, ma è anche espressa nei condrociti articolari.

E’ stato documentato, in alcuni studi, un incremento dell’espressione di sclerostina nella cartilagine dei pazienti con OA, a fronte di una riduzione di espressione di questa proteina a livello dell’osso subcondrale sottostante.
Nello studio FRAME era incluso un sottostudio pre-specificato condotto in pazienti con gonartrosi, avente l’obiettivo di valutare l’effetto del trattamento con romosozumab per 12 mesi rispetto a placebo sulla progressione di gonartrosi in donne in post-menopausa con OP e gonartrosi.

Nello specifico, l’analisi presentata al Congresso si era proposta due obiettivi:
– Valutare le variazioni del dolore al ginocchio e della funzione fisica, il peggioramento della gonartrosi e la presenza di eventi avversi legati all’OA, emersi a seguito del trattamento
– Valutare le variazioni di BMD a livello della colonna lombare, dell’anca in toto e del collo femorale in un’analisi post-hoc del sottostudio in questione

Disegno dello studio
Nello studio FRAME, le donne affette da osteoporosi postmenopausale dai 55 anni in su erano state randomizzate, secondo uno schema 1:1, a trattamento con romosozumab (farmaco bone building) al dosaggio mensile di 210 mg (mediante iniezione sottocutanea) per 12 mesi o a trattamento con placebo. Entrambi i gruppi hanno poi ricevuto denosumab, al dosaggio mensile di 60 mg sottocute, per 12 mesi nello studio FRAME Extension (fig.1 poster).
Per essere incluse nello studio FRAME, le pazienti non dovevano avere storia pregressa di frattura all’anca o frattura severa in qualsiasi sito anatomico oppure di più di 2 fratture vertebrali moderate.

Le pazienti del trial FRAME erano incluse nel sottostudio FRAME sull’osteoartrite del ginocchio se segnalavano:
– un dolore al ginocchio dovuto ad artrosi nella maggior parte del tempo e per almeno un mese nel trimestre precedente la randomizzazione
– rigidità mattutina della durata di < 30 minuti, crepitio del ginocchio o gonartrosi confermata da una radiografia nei 12 mesi precedenti la randomizzazione

Costituivano motivo di esclusione dal sottostudio il riscontro di un BMI > 40 kg/m2 o l’incapacità di compilare il questionario Western Ontario and McMaster Universities. Ontario e McMaster Universities Osteoarthritis Index (WOMAC).

Nel complesso, il sottostudio ha preso in considerazione i dati relativi a 343 donne (175 trattate inizialmente con placebo, 168 trattate inizialmente con romosozumab) che avevano assunto almeno una volta l’anticorpo anti-sclerostina o che avevano compilato almeno una volta il questionario WOMAC.

L’età media delle pazienti era pari a 72 anni mentre il punteggio totale WOMAC era pari a 38.
Le valutazioni pre-specificate nel sottostudio erano le seguenti:
–  la variazione del punteggio WOMAC dal basale a 12 mesi
– l’incidenza del peggioramento dell’osteoartrite del ginocchio (definita come un aumento del punteggio totale WOMAC di almeno 10 punti) a 12 mesi
– la presenza TEAE di OA  (inclusi eventi di nuova diagnosi o peggioramento della malattia esistente) fino a 12 mesi

La variazione percentuale della BMD dal basale a 12 mesi è stata oggetto di valutazione in un’analisi post hoc.

Risultati principali
Dall’analisi dei dati non sono emerse differenze significative nella progressione del dolore al ginocchio o della funzione fisica con 12 mesi di trattamento con romosozumab rispetto al placebo nelle donne in post-menopausa con OP e OA del ginocchio nel sottostudio FRAME (LSM [IC95%] del punteggio totale WOMAC: –2,2 [–5,4, 1,0] vs –1,3 [–4,5, 1,9]; P = 0,71.

L’incidenza del peggioramento dei sintomi dell’OA del ginocchio è stata paragonabile fra romosozumab e placebo, con un’incidenza numerica di peggioramento dei sintomi leggermente inferiore rispetto al placebo (17,1% romosozumab vs. 20,5% placebo; odds ratio: 0,9 [IC95%: 0,5, 1,7; P = 0,69]).

Passando alla safety, l’incidenza di TEAE dell’OA è stata numericamente inferiore con romosozumab rispetto al placebo.

Da ultimo, dai risultati dell’analisi post-hoc è emerso, a 12 mesi, che il trattamento con romosozumab si accompagnava, rispetto al placebo, a guadagni di BMD di entità significativamente maggiore a livello della colonna lombare, dell’anca in toto e del collo femorale.

Riassumendo
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno ammesso, tra i punti di forza dello studio, il fatto che fosse un sottostudio pre-specificato sulla gonartrosi, avente un disegno randomizzato e controllato, con una valutazione standardizzata dei punteggi WOMAC e dell’incidenza del peggioramento dell’artrosi al ginocchio.

Ciò detto, i risultati dell’analisi di questo sottostudio permettono di concludere che il trattamento con romosozumab si associa ad incrementi sognificativi della BMD, senza impattare sul dolore della gonartrosi o sulla funzione in donne in post-menopausa con OP e OA del ginocchio.

Informazioni su romosozumab
Romosozumab è un anticorpo che va a bloccare l’attività della sclerostina, proteina prodotta dall’organismo, che inibisce l’attività degli osteoblasti e che, nello stesso tempo, stimola gli osteoclasti.
La somma di questi effetti porta ad un incremento netto dei valori di BMD e alla riduzione del rischio di frattura (farmaco bone builder).

Nello studio FRAME, un anno di trattamento con romosozumab, si è dimostrato in grado, rispetto a placebo, di incrementare in modo sostanziale i valori di BMD e di ridurre il rischio di fratture, rispetto a placebo.
Romosozumab, farmaco sviluppato da UCB in collaborazione con Amgen, indicato per il trattamento dell’osteoporosi severa in donne in post-menopausa ad alto rischio di frattura, ha ottenuto da parte di AIFA la rimborsabilità in Italia. Il farmaco è stato precedentemente approvato nell’aprile 2019 dall’FDA e nel dicembre dello stesso anno dall’EMA.

Bibliografia
Lane N et al. Effect of Romosozumab in Postmenopausal Women with Knee Osteoarthritis: Results from the FRAME Clinical Trial [abstract]. Arthritis Rheumatol. 2022; 74 (suppl 9).
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