Tumori del fegato: svolta sulla immunoterapia neo-adiuvante


Due studi identificano per la prima volta quali pazienti con tumori del fegato possono essere sottoposti all’immunoterapia neo-adiuvante con alta probabilità di successo

Due studi identificano per la prima volta quali pazienti con tumori del fegato possono essere sottoposti all'immunoterapia neo-adiuvante con alta probabilità di successo

Sono due gli studi che identificano per la prima volta quali pazienti con tumori del fegato possono essere sottoposti all’immunoterapia neo-adiuvante (cioè preoperatoria) con alta probabilità di successo. Entrambi rappresentano una vera e propria svolta che può cambiare il destino di chi è affetto da questo tipo di tumore, un cambio di paradigma significativo, che apre la possibilità del trapianto di fegato anche a quei casi che fino ad oggi non avrebbero potuto beneficiarne a causa della gravità della malattia.

«I lavori scientifici che abbiamo condotto sono due, sinergici tra di loro», spiega Vincenzo Mazzaferro, Direttore della Struttura Complessa di Chirurgia Epato-Gastro-Pancreatica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano (INT) e professore di chirurgia all’Università di Milano (UniMi). «Il lavoro pubblicato su Gastroenterology ha identificato una firma molecolare predittiva denominata IFNAP, che è costituita dalla combinazione di undici geni. Questa “firma”, individuata sulla biopsia del tumore, predice la sensibilità delle cellule tumorali del carcinoma epatico alla classe di farmaci immunoterapici anti-PD1, indipendentemente dall’origine del tumore stesso».

Nello studio pubblicato su Gastroenterology è stata utilizzata quindi una biopsia prognostica – in grado cioè di prevedere l’efficacia dei farmaci che potrebbero venire somministrati. «Abbiamo voluto però anche indagare la possibilità di utilizzare la biopsia liquida, estraendo cioè i frammenti di materiale genetico tumorale da un semplice prelievo di sangue e questo è stato oggetto dell’altro nostro studio, pubblicato su Gut2», sottolinea il prof. Mazzaferro. «I dati ci hanno dimostrato che anche con questo metodo è possibile identificare il 90% dei tumori epatici sensibili ai trattamenti con immunoterapici, con innegabili vantaggi anche per il paziente che viene sottoposto solo a un prelievo di sangue».
I farmaci immunoterapici anti-PD1 sono entrati ormai da anni nella pratica clinica per il trattamento del melanoma, del tumore polmonare e di altri tumori solidi, ma nel caso del fegato hanno una efficacia variabile e poco prevedibile.

«La terapia potenzia le capacità immunitarie dell’organismo e fa sì che sul sito tumorale converga un numero importante di cellule immunocompetenti, capaci di riconoscere e distruggere le cellule oncogene», precisa Sherrie Bhoori, specialista in gastroenterologia ed epatologia della S.C. Chirurgia generale a indirizzo oncologico 1 dell’INT. «Sappiamo però che solo il 20% dei pazienti risponde a questa terapia, e al momento non si conoscono i meccanismi che ne determinano la sensibilità. Per questo, ora siamo entrati in un’altra fase di studio, cioè quella che ci permetterà di identificare i pazienti che potranno beneficiare dei farmaci immunoterapici ed essere quindi candidabili ad altre cure più radicali, come il trapianto epatico».

L’immunoterapia non è però l’unica strada che in questo momento stanno percorrendo i ricercatori. Un altro recente lavoro pubblicato su Gut3, curato da Licia Rivoltini dell’Unità di immunoterapia dell’INT e coordinato sempre dal Prof. Mazzaferro, ha dimostrato la possibilità di potenziare l’effetto immunologico dei farmaci anti-PD1 con un pre-trattamento. «Trattamenti fisici quali la radio-embolizzazione possono “preparare il terreno” alla terapia vera e propria», racconta il Prof. Mazzaferro. «In pratica, stimolano la produzione di antigeni specifici tumorali, in grado di attivare gruppi di cellule immunocompetenti contro il tumore, che verranno quindi potenziati dai farmaci immunoterapici».

Questi studi non solo ampliano il ventaglio di possibilità di soluzioni terapeutiche per la cura del tumore epatico – attualmente la quinta più frequente causa di morte per cancro a livello mondiale – ma possono cambiare l’approccio strategico al trattamento di questa tipologia di tumore.

«Ci vorranno ancora ulteriori ricerche per ottenere terapie sempre più personalizzate», continua la dottoressa Bhoori, «ma è significativa la decisione della European Society for Organ Transplantation (ESOT): esaminati i risultati dei lavori scientifici, è stato approvato l’inserimento dell’immunoterapia neo-adiuvante nelle prossime Linee Guida europee. Questo approccio terapeutico diventa quindi una tra le possibili strategie da adottare in casi selezionati, in particolare quando è presente la cosiddetta firma molecolare».

La buona medicina va oltre le classifiche
La Struttura Complessa di Chirurgia Epato-Gastro-Pancreatica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, guidata dal Prof. Vincenzo Mazzaferro è diventata un’eccellenza italiana nell’ambito del trattamento dei tumori epatici: vanta la più ampia casistica in Italia di tumori di questa categoria sottoposti a trapianto – ad oggi circa 900 – ed è tra le più attive sul territorio nazionale per numero di interventi eseguiti per tumore del distretto epatico-pancreatico-biliare e del tratto digerente superiore.

Vincenzo Mazzaferro è rientrato nel “World’s 2% Top Scientists”, la classifica mondiale degli scienziati con livello più elevato di produttività scientifica (il 2% dei migliori al mondo), risultando il chirurgo italiano con maggiore impatto scientifico nel mondo.

“Ovviamente fa piacere essere notati per i propri risultati” – commenta Mazzaferro – “Tuttavia ritengo che la medicina vada oltre le classifiche, perché accompagna la condizione di fragilità umana basandosi sullo studio delle malattie e dei loro meccanismi, sul grado di motivazione nel curarle, sulla vicinanza alla condizione di chi è nel bisogno di salute e sul rapporto umano e di fiducia tra chi cura e chi è curato: tutti parametri non misurabili in una classifica. Molta ottima medicina, soprattutto nel Sistema Sanitario Nazionale del nostro Paese, viene erogata ogni giorno senza essere riconosciuta e classificata. La solidità del lavoro medico è fatta di tante altre componenti”.

Pubblicata nella prestigiosa rivista scientifica PLOS Biology, la classifica nasce dalla collaborazione tra la Stanford University ed Elsevier, ed è elaborata attraverso il database per la ricerca scientifica mondiale “Scopus”, che ha messo a disposizione insiemi di dati relativi a indicatori di citazioni standardizzate riferite a ben 8,6 milioni di ricercatori di università e centri di ricerca di tutto il mondo, secondo una metrica che considera il numero di pubblicazioni, di citazioni nelle relative aree disciplinari e parametri quali la produzione scientifica, il tasso di innovatività, l’impatto sullo sviluppo di nuova tecnologia, etc.

Le liste, aggiornate al 2021, sono state prodotte con riferimento a 22 aree scientifiche e 176 sottocategorie, dall’astrofisica alla zoologia, secondo una classificazione del profilo dell’autore ottenuta con avanzate tecniche di machine learning intese a produrre risultati normalizzati e quindi confrontabili tra le diverse aree scientifiche. L’analisi ha prodotto una lista di 195.605 scienziati che rientrano nel top 2% di professori e ricercatori che si distinguono a livello mondiale per autorevolezza scientifica.