Alzheimer, un problema mondiale: l’importanza della diagnosi precoce


La demenza è un problema sanitario globale che interessa 46,8 milioni di persone nel mondo e la forma più comune è l’Alzheimer: perché è importante la diagnosi precoce

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La demenza è un problema sanitario globale che interessa 46,8 milioni di persone nel mondo, con un costo stimato in 818 miliardi di dollari. La forma più comune è la malattia di Alzheimer, con 9,9 milioni di nuove diagnosi ogni anno. Purtroppo non esiste ancora una cura per questa malattia e sono molti i trial clinici che negli ultimi anni non hanno avuto successo.

I trattamenti oggi disponibili puntano ad alleviare i sintomi, ma non sono in grado di arrestare la progressione della malattia, perché non sono in grado di agire sulle cause sottostanti. La ricerca però procede incessante e l’auspicio è che in tempi non troppo lunghi si possa arrivare a farmaci in grado di rallentare l’evoluzione della malattia.

I numeri della demenza in Italia
Attualmente la demenza è una delle condizioni che maggiormente portano carico di malattia nel nostro paese. Insieme al Giappone, l’Italia è la nazione nella quale questo problema di salute è nei primi dieci posti per indicatori di disabilità, essenzialmente per via del fatto che sono i paesi con più anziani.

La demenza è una malattia molto prevalente soprattutto dopo i 65 anni. Circa il 5% della popolazione a quell’età soffre di un decadimento cognitivo, ma dopo i 74 anni coinvolge il 20-25% degli abitanti, un numero molto rilevante anche in termini di costi assistenziali. Alla demenza vanno inoltre aggiunte tutte le altre forme di decadimento cognitivo, non tale da configurarsi come demenza, e che in assoluto riguardano circa 2 milioni di abitanti in Italia.

In termini epidemiologici sono coinvolte un milione e 100mila persone affette da demenza e altre 900mila con un deficit cognitivo isolato, a cui si aggiungono circa 3 milioni di Italiani che vivono con loro, a caratterizzare un fenomeno con una dimensione epidemiologica notevolissima e che aumenterà nel tempo in funzione dell’invecchiamento della popolazione

Le previsioni per il futuro non sono infatti rosee. In Italia l’aspettativa di vita alla nascita per gli uomini sta sfiorando gli 82 anni e per le donne è superiore agli 86 anni, ed è destinata a crescere ulteriormente. Nei prossimi 15 anni gli uomini vivranno mediamente fino all’età di 86 anni e le donne di circa 90. A titolo di esempio, la malattia di Alzheimer ha un’insorgenza crescente dai 65 anni in avanti e in questo momento in Italia coinvolge circa il 22-23% della popolazione, che da qui al 2045 diventerà il 33%, con una crescita del 50%.

In termini di costi si fa riferimento a dati poco recenti, considerato che le ultime analisi sono state pubblicate alla fine degli anni ’90. Lo studio CODEM per la determinazione dei costi della malattia di Alzheimer ha mostrato come all’ingravescenza della capacità cognitiva dell’individuo, misurata all’epoca attraverso il Mini-mental state examination, aumentavano i costi dal punto di vista sociale, un peso che ricade ancora quasi esclusivamente sui caregiver, mentre l’assistenza sanitaria interviene a livello del workout diagnostico iniziale e delle poche terapie oggi disponibili.

Da considerare che l’insorgenza precoce di Alzheimer nei soggetti con meno di 65 anni comporta un carico economico ancora maggiore, per la difficoltà di assistere e gestire soggetti che sono ancora fisicamente vigorosi e che probabilmente hanno una malattia sicuramente più aggressiva e che richiede quindi più assistenza.

Fattori di rischio 
Il principale fattore rischio per la demenza in generale è l’età. Per le forme di natura vascolare vanno considerati i classici fattori di rischio vascolare che portano a eventi come ictus ischemici, ictus emorragici e attacchi ischemici transitori (TIA), che ripetuti nel tempo possono avere come conseguenza l’insorgenza di demenza.

Oltre all’età è rilevante l’aumento della massa corporea della popolazione come fattore di rischio indipendente, legato per esempio all’aumento della fibrillazione atriale che a sua volta è legata all’incremento di ictus.

Importanza della diagnosi precoce per l’Alzheimer
«La diagnosi precoce si può rivelare utile nel momento in cui il soggetto può essere chiamato ad autodeterminarsi, ovvero a decidere quale sarà il futuro della propria vita. Può essere utile perché comunque esistono delle terapie non farmacologiche che sono in grado di rallentare, almeno all’inizio, il decadimento cognitivo, e potrà esserlo nel momento in cui arriveranno delle terapie farmacologiche in grado di modificare la prognosi, i farmaci cosiddetti disease modifying» ha osservato Lorenzo Mantovani, professore di Sanità Pubblica all’Università di Milano Bicocca. «Ce ne sono molti in sviluppo, ma è una ricerca a elevatissimo rischio e nella quale tutti quanti speriamo, soprattutto nel nostro paese proprio per questa enorme ondata di soggetti che rischia di travolgerci».

«Sappiamo che ci sono diversi fattori di rischio, anche fattori ematochimici (es carenza di vitamina B12 e acido folico), che possono essere corretti per garantire un rallentamento dell’evoluzione della malattia» ha commentato il prof. Alessandro Padovani, ordinario di neurologia all’Università degli Studi di Brescia. «Di contro stiamo vedendo una chiara luce alla fine di questo tunnel che ci fa ritenere che nelle forme precoci sarà possibile, nell’arco di pochi anni, avere a disposizione trattamenti e, soprattutto nelle forme iniziali, di cambiare radicalmente la storia naturale della malattia».

Passi clinici per arrivare a una diagnosi di Alzheimer
Per arrivare a una diagnosi di demenza sono disponibili dei test validati. Oltre alla risonanza magnetica, che rimane un esame fondamentale, la PET (Tomografia a emissione di positroni) permette di individuare dei deficit del metabolismo e ci sono alcuni marcatori che consentono di quantificare l’accumulo di amiloide, una proteina associata alla malattia.

Accanto a questi due test sta crescendo l’utilizzo dell’esame del liquido cefalorachidiano che viene effettuato attraverso una puntura lombare, come sta crescendo l’interesse verso la possibilità di identificare le persone a rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer con un esame del sangue. In questo ambito sono in corso numerosi studi e alcuni laboratori in Italia già lo fanno a livello sperimentale.

«Dobbiamo crescere in termini di affidabilità e accuratezza, ma per rendere disponibili questi test occorrono ricerca e finanziamenti adeguati. Oggi siamo in pochi a fare questo tipo di indagini e a cercare di validare questo approccio» ha fatto presente Padovani

Piani regionali per la demenza
L’incontro MIND THE GAPS tenutosi a Roma di recente aveva tra gli obiettivi l’utilizzo dei fondi stanziati nella legge di bilancio 2020-21 e i divari regionali nella presa in carico delle persone con demenza.

«Grazie al fondo possiamo dire che si tratta di una delle più grandi operazioni di sanità pubblica che mai c’è stata nel nostro paese sulla demenza. I progetti sono iniziati da un paio di mesi e sono coinvolte tutte le regioni e le province autonome» ha spiegato Nicola Vanacore, responsabile dell’osservatorio nazionale delle demenze dell’Istituto Superiore di Sanità. «Per la prima volta abbiamo un quadro d’insieme di una serie di attività che erano presenti nel piano nazionale delle demenze, ma abbiamo dovuto attendere otto anni per avere un finanziamento di 15 milioni di euro».

La progettualità si è focalizzata su cinque assi strategici, in modo da coprire l’intera storia naturale della malattia, partendo dal momento del sospetto del deterioramento cognitivo, quindi una diagnosi precoce con coinvolgimento dei medici di medicina generale, all’uso di strumenti adeguati per il case finding, ovvero l’identificazione dei casi in una fase molto precoce di malattia, fino ai trattamenti che vengono proposti anche negli stadi più avanzati.

Le linee progettuali riguardano:

  • La diagnosi precoce
  • La diagnosi tempestiva
  • I progetti di telemedicina
  • I progetti di teleriabilitazione
  • I progetti sui trattamenti psicoeducazionali e di supporto ai caregiver, oltre che di stimolazione cognitiva per i pazienti.

In aggiunta alle linee di attività portate avanti dalle regioni, l’Istituto ha il compito di condurre ulteriori azioni in collaborazione con le stesse:

  • definizione delle prime linee guida pubbliche italiane sulla diagnosi e sul trattamento della demenza
  • occuparsi dell’aspetto della prevenzione sulla base di 12 fattori di rischio per prevenire la demenza, valutandone la prevalenza in tutte le regioni italiane
  • condurre una survey in tutti i servizi dedicati alle demenze in Italia, quindi i CDCD (Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze), le RSA e i centri diurni
  • fare formazione attraverso un corso per i familiari dei pazienti con demenza, che sarà disponibile alla fine del 2023
  • condurre un’indagine nazionale, in corso, con l’obiettivo di raggiungere 10mila  familiari dei pazienti con demenza per chiarire come è cambiata la situazione durante la pandemia, fotografando la realtà del paese e le differenze territoriali
  • formare i medici di medicina generale in accordo con la SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie) con l’obiettivo di fornire un supporto alla medicina generale nella presa in carico delle persone con demenza e delle loro famiglie.

«Tutta la comunità scientifica, le associazioni e i familiari si augurano che il fondo sarà rifinanziato e incrementato per il 2024-26. Si stima che la demenza, tra costi diretti e indiretti, comporti un impegno economico per le nostre finanze pari a 16-18 miliardi di euro l’anno e abbiamo a disposizione 15 milioni di euro per modificare questa realtà» ha commentato Vanacore. «E’ fondamentale che il fondo venga rifinanziato e incrementato e che diventi poi strutturale, in modo da fare tutto il possibile per arginare il fenomeno della demenza, che lede il tessuto connettivo della società».