Cambiamenti climatici: l’agricoltura italiana sta diventando tropicale


L’agricoltura italiana diventa tropicale: in Toscana sono arrivate le arachidi; le coltivazioni di banane, avocado e mango al Sud sono triplicate

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Coldiretti-Ixè ha presentato uno specifico studio, dal titolo “I tropicali italiani e gli effetti dei cambiamenti climatici”, che dimostra quanto sia cambiato sia cambiato negli anni l’assetto climatico e idrogeologico del nostro Paese in relazione alle attività di produzione agricola.

Oltre alle temperature record, nel 2022 si sono registrate anche precipitazioni ridotte di oltre un terzo con una anomalia climatica che è stata più evidente nel Nord (+1,41 gradi) e meno sul Centro (+1,01 gradi) e al Sud (+0,85 gradi). La tendenza al surriscaldamento è responsabile di un profondo cambiamento sul paesaggio, sulla distribuzione e stagionalità delle coltivazioni e sulle stesse caratteristiche dei prodotti più tipici del Made in Italy.
Così è in provincia di Sondrio, oltre il quarantaseiesimo parallelo, l’ultima frontiera nord dell’olio d’oliva italiano; in Toscana sono arrivate le arachidi; le coltivazioni di banane, avocado e mango nel giro di cinque anni sono praticamente triplicate arrivando a sfiorare i 1.200 ettari fra Puglia, Sicilia e Calabria.

In Sicilia si stanno affermando le coltivazioni del frutto della passione, zapote nero (simile al cachi, di origine messicana), sapodilla (dal quale si ottiene anche lattice), litchi, il piccolo frutto cinese che ricorda l’uva moscata. Made in Puglia sono le bacche di Goji e quelle di aronia, le banane e il lime. In Calabria, oltre alle coltivazioni di frutta tropicale, si aggiungono melanzana thay (variante thailandese della nostra melanzana), macadamia (frutta secca a metà tra mandorla e nocciola) e addirittura la canna da zucchero.

Ma i cambiamenti nell’agricoltura non sono dovuti solo al clima: negli ultimi dieci anni, l’Italia ha perso 400 milioni di chili di prodotti agricoli a causa dell’abbandono di terreni fertili. In Italia la superficie agricola utilizzabile si è ridotta ad appena 12,5 milioni di ettari e oggi, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga, il nostro Paese acquista all’estero il 73% della soia, il 64% della carne di pecora, il 62% del grano tenero, il 53% della carne bovina, il 46% del mais, il 38% della carne di maiale e i salumi, il 36% dell’orzo, il 35% del grano duro per la pasta e il 34% dei semi di girasole, il 16% di latte e formaggi.