Sclerosi multipla recidivante: nuove conferme per evobrutinib


Sclerosi multipla recidivante: nuove conferme per le persone trattate con il farmaco sperimentale evobrutinib per più di tre anni e mezzo

Valutato l'impatto delle terapie immunosoppressive e immunomodulatorie sulla gravità della malattia da Covid nelle persone con sclerosi multipla

I tassi annualizzati di recidiva (ARR) sono rimasti bassi e i punteggi della EDSS (la scala che misura il livello di disabilità) sono risultati stabili nelle persone con sclerosi multipla recidivante (SMR) trattate con il farmaco sperimentale evobrutinib per più di tre anni e mezzo. Inoltre, il numero di lesioni T1 captanti il gadolinio (Gd+) e il volume di lesioni T2 sono rimasti bassi per tutto il periodo di estensione in aperto (OLE, Open-Label Extension) dello studio clinico di fase II.

Questi dati, che sono stati presentati al 38° congresso ECTRIMS European  Committee  for  Treatment  and  Research  in  Multiple Sclerosis), suggeriscono che le persone affette da SMR traggono benefici positivi a lungo termine da evobrutinib, che diventa dunque la potenziale migliore terapia per tale patologia in questa classe di farmaci.

Evobrutinib è un immunomodulatore altamente selettivo che si assume per via orale, che penetra nel sistema nervoso centrale (SNC) e che può diventare un’opzione di trattamento sicura ed altamente efficace per la sclerosi multipla recidivante (SMR), perché agisce sia sulle cause periferiche che centrali dell’infiammazione, inibendo l’azione della tirosinchinasi di Bruton (BTK) sia nei linfociti B che nelle cellule microgliali. Il duplice approccio di evobrutinib può offrire un migliore controllo della progressione silente della malattia tra un attacco e l’altro, oltre ad un forte controllo delle recidive nelle persone che convivono con la sclerosi multipla recidivante.

“La progressione della malattia è una delle preoccupazioni principali nella comunità della SM. Conoscere meglio la progressione silente della malattia senza recidive ci aiuterà a comprendere meglio la SM, oltre ai suoi potenziali trattamenti, perché questa patologia ha un impatto deleterio non solo dal punto di vista fisico, ma anche da quello cognitivo e mentale”, ha affermato il Prof. Patrick Vermersch, Vice President, Research in Biology and Health, University of Lille. “In questa analisi, che è stata la più lunga e approfondita mai condotta su un inibitore della BTK sperimentale per la SMR, evobrutinib ha mantenuto stabile la malattia fino a tre anni e mezzo e ha dimostrato di poter agire direttamente sulla forte infiammazione che caratterizza la SMR,  che contribuisce alle cause silenziose della progressione della malattia. La molecola aveva già dato risultati promettenti nel ridurre l’infiammazione centrale, grazie anche agli effetti modulanti sulle cellule microgliali”.

Durante il prolungamento dello studio clinico di fase II (OLE, Open-Label Extension), è stato valutato l’effetto a lungo termine del trattamento con evobrutinib sul tasso annualizzato di recidive (ARR), sul punteggio alla scala EDSS e su vari esiti alla risonanza magnetica in soggetti affetti da SMR:

  • i pazienti che facevano parte del braccio iniziale trattato con 75 mg due volte al giorno hanno mantenuto un ARR basso – 0,13 – per tutta la durata del prolungamento dello studio. Inoltre, passando da 75 mg una volta al giorno a 75 mg due volte al giorno, l’ARR è diminuito da 0,19 a 0,09 nel corso dello stesso periodo.
  • Complessivamente i punteggi medi all’EDSS e l’attività delle lesioni da SM sono rimasti bassi e stabili per tutto lo studio.

Questi dati rafforzano ulteriormente le osservazioni fatte in precedenza, e cioè che l’occupazione massima della BTK raggiunta con la doppia somministrazione giornaliera durante il periodo di assunzione del farmaco si correla con una maggiore riduzione dell’ARR con evobrutinib.

L’Azienda ha inoltre presentato i nuovi dati a lungo termine ottenuti con il prolungamento dello studio clinico di fase II, che ha visto ridursi i livelli ematici di NFL (ossia dei neurofilamenti a catena leggera), un biomarker molto importante che può prevedere la perdita di volume cerebrale futura e la progressione della malattia. I pazienti hanno avuto riduzioni continue e prolungate dei livelli di NFL nel sangue rispetto al periodo in doppio cieco (DBP) e ai valori al basale del periodo di prolungamento. Una dose di 75 mg due volte al giorno ha significativamente ridotto i livelli di NFL dalla settimana 12 (DBP) rispetto al dosaggio di placebo/evobrutinib 25 mg una volta al giorno, mostrando una risposta precoce alla dose. Questa riduzione dei livelli di NFL dà prova del fatto che evobrutinib può ridurre il danno neuronale nei pazienti affetti da SMR.

“È la prima volta che riusciamo a dimostrare un’efficacia sostenuta per tre anni e mezzo con un inibitore della BTK nella SMR”, ha dichiarato Jan Klatt, Senior Vice President,  Head  of  Development  Unit  Neurology  and  Immunology,  Merck  KGaA, (Darmstadt, Germania). “Se uniamo queste nuove scoperte con i nostri dati precedenti che già dimostravano un volume ridotto di lesioni a lenta espansione, indicativo di un effetto sulle cellule microgliali, e livelli ridotti di neurofilamenti, un marcatore di danno neuronale, siamo fiduciosi che evobrutinib abbia il potenziale per offrire la migliore efficacia nella sua classe per le persone con SMR”.

Sono stati inoltre presentati gli ultimi dati ottenuti da un’analisi post hoc su pazienti vaccinati (n=24) condotta durante il periodo di estensione dello studio di fase II, che hanno mostrato che il 96% delle persone affette da SMR trattate con evobrutinib (75 mg due volte al giorno) ha ottenuto una risposta anticorpale dopo due dosi di vaccino anti-COVID-19 a mRNA, proprio come accade nei pazienti con SMR non trattati e nei soggetti sani. L’aumento della risposta anticorpale nei pazienti sieronegativi e sieropositivi ha dato prova della durata della risposta agli antigeni nuovi e del richiamo. È la prima volta che è stato possibile dimostrare questo effetto con un inibitore della BTK nella SMR e queste scoperte sono coerenti con la modulazione della funzione dei linfociti B, il che ci offre un potenziale trattamento alternativo agli approcci basati sulla deplezione dei linfociti B.