Dolore cronico: Italia agli ultimi posti per uso di oppioidi


Dolore cronico: Italia ultima in Europa per uso oppioidi. L’appello di Fondazione ISAL a Istituzioni e società scientifiche

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Riaccendere i riflettori sul dolore cronico, problema troppo spesso dimenticato, benché ne soffrano 13 milioni di Italiani e 150 milioni di cittadini europei;  favorire, senza pregiudizi, l’uso appropriato dei farmaci oppioidi, strumenti terapeutici d’elezione per il trattamento delle patologie dolorose, ancora sottoimpiegati nel nostro Paese e indebitamente screditati da fenomeni di abuso negli USA; proporre azioni concrete da attuare con rapidità per migliorare la gestione del problema, dando sollievo ai pazienti. Con questi obiettivi, nelle settimane scorse a Roma si sono confrontati medici, farmacologi, società scientifiche e rappresentanti delle Istituzioni, nell’ambito del convegno “I farmaci umiliati: gli oppioidi e il riscatto della buona cura”, promosso da Fondazione ISAL, con il grant incondizionato di Gerot Lannach.

Secondo l’ultimo rapporto Osmed, nel 2021 gli oppioidi hanno fatto registrare in Italia 7,7 dosi giornaliere (DDD, Defined Daily Dose) per 1000 abitanti, rimanendo stabili rispetto all’anno precedente. Il confronto con altri Paesi europei come Germania e Austria, che si attestano su valori oltre le 20 DDD (e dove non si sono verificati fenomeni di abuso o dipendenza), fa comprendere quanto il nostro Paese sia poco virtuoso nell’impiego degli oppioidi, che restano ampiamente sottoutilizzati. Di contro, i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) nel 2021 hanno toccato quota 17,8 DDD, segnando un +5,6% rispetto al 2020. In Italia, gli oppioidi non solo sono usati poco ma anche per brevi periodi: il 50% dei pazienti che li assume lo fa per meno di 2 settimane all’anno, contro i 45 giorni di trattamento con i FANS. Vi è, inoltre, una forte disparità tra le diverse Regioni, con i consumi del Nord maggiori del 15% rispetto alla media nazionale e quelli del Sud inferiori del 22%.

“Questo grave stato di sottoutilizzo dei farmaci oppioidi ci svela come, ancora oggi, nel nostro Paese troppe persone affette da dolore severo, oncologico e non-oncologico, siano lasciate sole nella sofferenza per mesi e come la classe medica si avvalga in modo eccessivo di antinfiammatori il cui utilizzo protratto nel tempo, per il trattamento di una condizione cronica, risulta del tutto inappropriato e non privo di effetti collaterali”, commenta il professor William Raffaeli, Presidente di Fondazione ISAL. “Quel percorso virtuoso di avvicinamento a un buon uso dei medicinali oppioidi, avviato in Italia grazie alla Legge 30/2010, ha subìto un’importante battuta d’arresto a causa delle notizie di abuso giunte dagli Stati Uniti, senza che si svolgesse un’opportuna analisi critica e contestualizzata del fenomeno. Oggi vogliamo tornare a quel percorso e riaccreditare una classe farmacologica indispensabile per una buona terapia. Serve una ‘rieducazione sentimentale’ all’uso degli oppioidi, che sgomberi il campo da falsi miti: il loro corretto impiego non comporta rischi; piuttosto, è il loro mancato utilizzo che sottrae cura ai pazienti”.

Sulle peculiarità della crisi degli oppioidi negli USA e sulle differenze tra il contesto sanitario statunitense e quello italiano interviene Armando Genazzani, Direttore del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università̀ del Piemonte Orientale, parlando di “parallelismo inaccettabile”: “Oltreoceano si è verificata in passato una situazione di eccessivo e incontrollato impiego di oppioidi, con dosaggi inappropriati e prescrizioni a categorie di pazienti fragili, che ha portato molte persone a sviluppare dipendenza. In Italia assistiamo al problema diametralmente opposto: lo storico sottoutilizzo degli analgesici e la minore attenzione posta al dolore rispetto alla cura delle patologie sottostanti. Non dobbiamo permettere che quanto avvenuto negli Stati Uniti freni la necessaria crescita di un uso esperto e controllato dei farmaci oppioidi nel nostro Paese. Si tratta di medicinali essenziali ed efficaci, che diventano ‘pericolosi’ solo in caso di misuso e abuso. Quello che occorre valutare è sempre il rapporto rischio/beneficio: di fronte a un dolore di grado severo, il beneficio in termini di sollievo per il paziente dovrebbe prevalere rispetto al timore per un basso rischio di dipendenza che, utilizzando una prescrizione appropriata e un monitoraggio della cura periodico, diviene trascurabile”.

Oggi, inoltre, il fenomeno della dipendenza da oppioidi e delle morti da overdose negli USA non è più imputabile alle prescrizioni di painkiller, dal momento che queste negli ultimi 10 anni si sono dimezzate, passando da 255 milioni nel 2012 a 143 milioni nel 2021, mentre le morti per overdose sono addirittura cresciute, dalle 41.000 del 2012 alle 94.000 del 2021.

Tornando all’Italia, uno degli ambiti in cui l’impiego degli oppioidi è particolarmente disatteso riguarda la gestione del dolore muscolo-scheletrico. “Con il primato della lombalgia, seguita dalla gonalgia, il dolore cronico di natura muscolo-scheletrica è la prima causa di visita dal fisiatra”, evidenzia Giovanni Iolascon Direttore del Dipartimento Multidisciplinare di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. “L’approccio corretto a questa condizione è di tipo multidisciplinare e multimodale, comprendendo non solo la terapia farmacologica ma anche l’esercizio fisico. In questo insieme di elementi, i farmaci oppioidi, grazie alla loro comprovata efficacia analgesica, possono giocare un ruolo fondamentale per la buona riuscita del percorso riabilitativo: il paziente con un dolore ben controllato, infatti, riesce a essere più performante durante la seduta di fisioterapia”.

Durante l’incontro, gli esperti hanno, inoltre, posto l’accento sulle strategie utili a prevenire eventuali situazioni di rischio legate all’utilizzo degli oppioidi. “Occorre, innanzitutto, un ottimo rapporto medico-paziente per la condivisione degli obiettivi di cura”, spiega Guido Mannaioni, Professore Ordinario di Farmacologia presso l’Università degli Studi di Firenze. “Si deve procedere seguendo una terapia multimodale, come indicato dall’OMS, che prevede di iniziare con l’impiego di farmaci antinfiammatori per arrivare poi agli oppioidi in caso di dolore persistente. È poi necessaria un’adeguata misurazione del rischio, grazie a App e tool che aiutano il medico a valutare se il paziente è idoneo a iniziare una terapia con oppioidi o rischia di sviluppare comportamenti di abuso e misuso (soggetti fragili, con storia di disagio e dipendenza). Come per qualsiasi altro farmaco, va infine eseguito un attento follow-up per non lasciare il paziente da solo. Per quei soggetti a rischio di abuso/misuso ma con una sintomatologia dolorosa che non può essere lasciata senza oppioidi, il farmaco deve essere comunque garantito, eseguendo un follow up più approfondito, anche con esami ematici e urinari, per verificare che il trattamento venga effettivamente assunto nelle finestre terapeutiche necessarie”.

Al termine dei lavori, sono state illustrate e discusse le proposte che ISAL avanza a Società Scientifiche e Istituzioni, per delineare una via italiana all’uso appropriato dei farmaci oppioidi.

“Bisogna puntare sulla buona pratica clinica, sul controllo esercitato dal medico, associato a controlli periodici dell’Aifa su target di rischio ben precisi; è inutile un warning rivolto indistintamente a tutta la popolazione, che genera timori infondati. É cruciale raggiungere una maggiore appropriatezza prescrittiva, in particolare al Sud, e ripristinare il monitoraggio sull’applicazione della Legge 38/2010. Servono PDTA e registri regionali dedicati all’impiego corretto degli oppioidi e alla prevenzione di malpractice e abuso. Va rafforzata la formazione ECM dedicata alla terapia del dolore nei differenti setting di cura, per tutte le discipline specialistiche, e quella rivolta ai farmacisti per sostenere il buon uso degli oppioidi. La via che dobbiamo percorrere è quella mediana, tenendoci alla larga dai due estremi dell’eccesso: l’abuso e il non uso”, conclude Raffaeli.