Tumore alla prostata metastatico: l’importanza dei test genetici BRCA


I test genetici BRCA aiutano la selezione delle terapie e favoriscono la prevenzione tra i famigliari dei pazienti con tumore alla prostata metastatico

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Nel tumore metastatico della prostata oggi sono possibili cure più precise ed efficaci. Ogni anno in Italia oltre 7.000 uomini sono colpiti da forme gravi del carcinoma e di questi fino al 12% possiedono una mutazione dei geni BRCA (e in particolare di BRCA 2). Grazie alla possibilità di ricercare tale mutazione su tessuto bioptico o su prelievo ematico, il team multidisciplinare che assiste il malato può selezionare al meglio la terapia da proporre al paziente. In caso di riscontro di una positività di tipo eredo-familiare (la metà circa dei casi) si possono programmare accertamenti diagnostici ed eventuali trattamenti nei parenti più stretti, al fine di attivare eventuali trattamenti in fase precoce o l’avvio di appropriati programmi di controllo.

Una limitazione a questo percorso è tuttavia, rappresentata dalla attuale carenza in Italia di un network di laboratori certificati in grado di svolgere i test, con risultati che spesso arrivano in tempi troppo dilatati. E’ quanto sostengono gli specialisti della SIUrO (Società Italiana di Urologia Oncologica) riuniti nelle settimane scorse a Firenze per il loro XXXII congresso nazionale.

“Il counseling genetico presenta grandi potenzialità anche in uro-oncologia – sottolinea Alberto Lapini, Presidente Nazionale SIUrO -. Bisognerebbe, infatti, proporre l’esecuzione del test BRCA a tutti i pazienti con carcinoma prostatico metastatico per valutare la possibilità di utilizzare, quando indicato, una terapia individualizzata. Se l’alterazione genetica riscontrata è di tipo germinale vi è una discreta probabilità che il gene sia presente anche in altri componenti del nucleo familiare. La ricerca della mutazione dei geni BRCA nei familiari può consentire di individuare altri casi di tumore della prostata ma anche del seno, dell’ovaio o del pancreas”. “I limiti attuali alla medicina di precisione non sono scientifici ma soprattutto di natura burocratica e amministrativa – aggiunge Sergio Bracarda, Presidente Incoming SIUrO e nuovo Presidente Nazionale SIUrO da oggi-. I laboratori che svolgono questi esami non sono presenti in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale. Tutti quelli operativi dovrebbero inoltre rispettare alcuni parametri minimi e dei percorsi di qualità. Solo così si può creare una rete di centri che sia efficiente e sostenibile anche da un punto di vista economico. I test genetici sono già importanti e lo saranno sempre di più nel contrasto dei tumori genito-urinari, come è stato dimostrato anche in altre neoplasie. Questi test ci permettono di identificare quei pazienti BRCA positivi che dopo una prima linea di trattamento per malattia ormonoresistente (comprendente almeno un agente ormonale di nuova generazione) potranno essere trattati con i farmaci orali inibitori di PAR”.

“Anche nel tumore della vescica stiamo iniziando a valutare possibili target di sottogruppi di pazienti sui quali potrebbero funzionare o meno nuove cure farmacologiche – sostiene Renzo Colombo, Vice Presidente SIUrO -. Per il carcinoma renale siamo ancora lontani da poter parlare di medicina di precisione ma comunque i tassi di sopravvivenza sono in netto miglioramento. Più in generale i pazienti con neoplasia urologica oggi possono giovarsi di numerose opzioni terapeutiche in grado di migliorare non solo la sopravvivenza ma anche la qualità della via. Le cure per essere davvero personalizzate devono tenere conto delle caratteristiche della neoplasia sia sotto il profilo dell’estensione di malattia che della sua aggressività biologica. Bisogna quindi valutarne in modo approfondito le caratteristiche immunoistochimiche e biomolecolari”.

I tumori della prostata, rene, testicolo e vescica rappresentano un quinto di tutti i tumori registrati nel nostro Paese. Si calcola che ogni anno colpiscano oltre 77mila italiani.

“Sono tutte neoplasie che nelle forme iniziali possono essere trattate chirurgicamente con le nuove tecnologie robotiche – aggiunge Giario Conti, Segretario Nazionale SIUrO -. I risultati raggiunti sono sovrapponibili a quelli classici, detti anche a “cielo aperto”. Otteniamo inoltre meno effetti collaterali e soprattutto minore invalidità post-operatoria. Ad esempio per i tumori renali la chirurgia conservativa, se possibile robot assistita, rappresenta oggi lo standard terapeutico in presenza di malattia localizzata. Consiste nell’asportare solo la massa tumorale risparmiando il resto dell’organo sano. Queste tecnologie sono disponibili solo in centri di riferimento e anche in questo caso vi sono ancora notevoli differenze territoriali. In particolare nelle Regioni del Sud risultano relativamente poche le strutture sanitarie che riescono a fornire ai malati trattamenti con tali strumentazioni”.

“La stessa evoluzione si sta verificando anche per la radioterapia oncologica – prosegue Rolando D’Angelillo, professore di Radioterapia, all’Università di Roma Tor Vergata -. Vi sono state delle innovazioni tecnologiche molto importanti che stanno migliorando la qualità di vita dei pazienti. In questo l’ultimo periodo, anche grazie ai fondi garantiti dal PNRR, vi è una maggiore diffusione delle nuove tecnologie di radioterapia in tutta Italia. Grazie al rinnovamento tecnologico attualmente un numero maggiore di pazienti con tumore urologico può accedere a trattamenti radianti di alta precisione”.

“Oltre l’80% dei nostri pazienti riesce a sconfiggere un tumore urologico, in particolare se di natura prostatica – afferma Bracarda -. Diverse sono le ragioni di un risultato così importante che non abbiamo ancora ottenuto in molte altre neoplasie. Anche se non esistono programmi di screening di massa sono forme di cancro che nella maggioranza dei casi vengono diagnosticate in fase precoce. Presentano poi numeri importanti in termini di incidenza e anche questo ha permesso alla ricerca scientifica di trovare nuove e più personalizzate terapie”. “Infine il merito del successo è anche nella gestione multidisciplinare del malato – conclude Lapini -. Più specialisti si uniscono per trovare insieme al paziente un percorso di cura personalizzato ed efficace. Oncologi medici, radioterapisti, anatomo-patologi, urologi e altri professionisti devono lavorare tutti insieme in un unico team. La nostra Società Scientifica è nata nel 1990 proprio con l’obiettivo di formare una ‘nuova’ generazione di specialisti che sappiano superare le barriere di tipo attitudinale, culturale e operativo della propria disciplina di origine e sviluppare competenze multidisciplinari”.