MotoGp: Bagnaia riporta l’Italia sul tetto del mondo


Dopo Agostini e Valentino Rossi, Bagnaia campione del mondo della MotoGP. Festa Ducati a Valencia, niente da fare per Fabio Quartararo

bagnaia

L’ansia. La paura di crollare sul più bello. La strizza. Tieniti al sicuro, gli dicevano. Dribbla i pericoli, fatti i fatti tuoi. Taglia quel traguardo e il Mondiale è tuo. E poi Pecco Bagnaia – il serafico Pecco, il tenero Pecco – al primo giro del GP di Valencia fa il “pilota”. Si fa sotto a Quartararo, lo sfida, lo supera, lo tocca. Al francese salta anche un pezzo d’ala. E’ un duello fisico. E serve a dire che non ci saranno tentennamenti, nessuna morbidezza. Come quei terzinacci d’un tempo che al primo minuto pestavano l’attaccante: un ammonimento. Bagnaia lascia nel box tutta la regia dei numeri, la prudenza.

Corre. Come corrono quelli che vincono. E infatti vince. Cinquanta anni dopo l’ultima leggenda, c’è un italiano su una moto italiana a festeggiare il Mondiale della classe regina. Da Giacomo Agostini, passando per Valentino Rossi, ecco Bagnaia. Per mettersi su quella lista non può esserci continenza. Non si frena. Full gas. Gloria. L’anno scorso Valencia ospitò la festa privata di Valentino Rossi, il grande addio pop. Un anno dopo è staffetta, in presenza. Valentino è lì che lo abbraccia, mentre tutto si tinge di rosso. La festa italiana continua. Nelle 19 volte da finale di stagione, la tappa spagnola è stata decisiva per l’assegnazione del titolo in quattro occasioni: 2006 Hayden, 2013 Marc Marquez, 2015 Jorge Lorenzo, 2017 ancora Marc Marquez. Il timbro azzurro sulla storia del circuito, inedito, lo mette Bagnaia.

La gara, quella, la vince alla fine Rins, con una Suzuki che lascia la MotoGP davanti a tutti, non senza un diffuso magone. Ma il podio, su cui salgono anche Binder e Martin, va letto per sottrazione: non c’è Quartararo in cima. E quella sarebbe stata la precondizione per l’impresa del francese. Bagnaia l’ha studiata bene: dopo la provocazione del primo giro, la Ducati ufficiale si mette in controllo. Attento a non farsi buttar giù, giro dopo giro a consumare quei pochi chilometri di pista che lo separano dal sogno. Dai 91 punti sotto, al Mondiale. Una remuntada a lento rilascio. “Mamma mia” dice mentre scopre il casco iridato, e a decine gli saltano addosso. Cosa c’è di più italiano di un italiano su una moto italiana che vince e dice “mamma mia”.

BAGNAIA: CONTAVO I GIRI ALLA FINE, SEMBRAVA UNA GARA INFINITA

Stanotte dormo col casco iridato. Nel giorno della gara più difficile della mia carriera l’emozione più bella di sempre. Ho lottato con Fabio all’inizio, ho fatto fatica dopo aver perso l’aletta, contavo i giri alla fine. Sembrava infinita. Abbiamo compiuto qualcosa di veramente grande”. Così Pecco Bagnaia racconta l’impresa Mondiale, ai microfoni di Sky Sport. Racconta il suo weekend “devastante”: Ma col warm-up mi sono tolto i pesi di dosso. Nel weekend non avevo nemmeno il tempo di pensare al Mondiale, perché non avevo il feeling e pensavo di non arrivare nemmeno 15esimo. Invece poi mi son trovato benissimo. La strategia era quella giusta: pizzicare Fabio per dargli fastidio e far andare via gli altri. Mi è costata un’aletta, ma è servito. Abbiamo fatto tre-quattro sorpassi, sette con i controsorpassi. È stato bello. La gente parla tanto, la cosa importante è lottare quando c’è da lottare ma restando nei limiti del rispetto reciproco. Sono molto orgoglioso di aver lottato per il titolo contro di lui”.

L’IDENTIKIT DEL CAMPIONE

Ad un certo punto, quando il Mondiale di MotoGP ha preso le forme di un enorme acchiapparello – Quartararo davanti e uno sciame di Ducati a caccia – Pecco Bagnaia è diventato un’equazione storica. Dal 2009 un italiano (Valentino Rossi) non vinceva il titolo, dal 2007 non lo vinceva una moto italiana (la Ducati di Casey Stoner), dal 1973 l’Italia non piazzava la combo pilota-moto: Giacomo Agostini con la MV Agusta.

Mezzo secolo dopo, Bagnaia taglia il traguardo di Valencia scrollandosi di dosso tonnellate di aspettative riflesse, di attesa consumata a fare i conti, di “what if” che presupponevano anche solo per sincerità statistica la possibilità di perdere tutto proprio alla fine. È già successo, e tutti alla vigilia gli hanno ricordato Hayden e Valentino, la caduta del 2006. Sgranato il rosario degli scongiuri praticabili, Bagnaia è rimasto piantato sulla moto, curva dopo curva, al riparo dagli attentati della gara, incollato all’asfalto con la fede e la tecnica. E ha vinto. Ricomponendo la storia a misura sua, cinquanta anni dopo. Bagnaia dopo Agostini. Il trionfo del Made in Italy la retorica annessa.

Il gattone Ducati alla fine ha mangiato il topolino Yamaha. Il campione del mondo in carica, costretto a scappar via ad inizio stagione con una moto poco sviluppata. Nella speranza che a Borgo Panigale trovassero il pacchetto giusto troppo tardi. Bagnaia era partito con un ritiro in Qatar. Nei successivi nove GP si era ritirato altre tre volte, per altre quattro era finito fuori dal podio. Alla decima gara, cioè a metà stagione, Quartararo aveva 91 punti di vantaggio. Vedi alla voce “fuga”.

Bagnaia s’è ricomposto. Ha trovato il feeling, e macinando chilometri ha recuperato complessivamente oltre cento punti sul francese. A partire dal Gran Premio d’Olanda, 26 giugno. Il primo dei quattro vinti consecutivamente, cosa che in MotoGP non succedeva da oltre sette anni. Nessun pilota nella storia della cosiddetta classe regina era mai riuscito a rimettersi in testa alla classifica recuperando 91 punti. Volava in pista, weekend dopo weekend, ma anche in arrampicata. Una corsa bidimensionale, con Quartararo a podio solo una volta fra troppi piazzamenti mediocri, e tre ritiri. Valentino Rossi, che a Valencia l’anno scorso ha chiuso in festa la carriera, è tornato in Spagna da padrino di Bagnaia. Da “coach”, s’è scritto. Per il passaggio di consegne, a cancellare l’onta di dieci mondiali spagnoli, un australiano e un francese: un peccaminoso vuoto azzurro nell’albo d’oro.

Fu Valentino a ridare fiducia e gioia a Bagnaia, dopo la crisi in Moto3. “Lì gli occhi di Pecco s’erano spenti – ha raccontato il padre Pietro – Una volta mi disse che il suo sogno si stava trasformando nel suo incubo. Chiesi di firmarmi una liberatoria per fargli provare la Mahindra. Mi dissero che se fosse salito sulla Mahindra non avrebbe più corso in moto. Me lo ricordo come se fosse ieri. Valentino, Uccio e Albi mi dissero che credevano molto nel talento di Pecco, ma che lo vedevano tremendamente triste e mi parlarono della VR46. Non ci abbiamo pensato su due volte. Il resto è storia che conoscete tutti”.

Papà Pietro, racconta la Dire (www.dire.it), è uno dei rari genitori del Motorsport che non racconta i “sacrifici” familiari. “Penso di poter dire che io di sacrifici non ne ho fatto neanche uno. È una storia di famiglia, siamo stati sempre tutti insieme, è stato bellissimo e il fatto che oggi Pecco sia così legato a tutti noi e anche al ricercare sempre un ambiente che sembri un po’ casa è probabilmente figlio di questa storia. La spinta è venuta sempre da lui, è lui che ci ha trascinati tutti, mantenendo sempre un taglio di leggerezza”. E questa gestione familiare della serenità ha un ruolo nell’agonismo pacifico di Pecco. Il maturo Pecco. Il pacato Pecco. Papà lo voleva fantino, figurarsi. Dal cavallo ai cavalli è un attimo. A farsi nuova leggenda dei motori italiani, un po’ di più.