Ecco come appare Marte all’occhio infrarosso di Jwst


Due immagini e uno spettro in banda infrarossa: sono i primi dati di Marte raccolti da Jwst, presentati al Congresso europeo di scienze planetarie Epsc

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Il Pianeta rosso. Ormai l’abbiamo visto in tutte le salse. Oltre alle immagini raccolte dalle molteplici sonde in orbita attorno a Marte (qui alcuni esempi delle sonde Esa Mars Express e ExoMars Trace Gas Orbiter) e ai panorami immortalati dai rover che ne esplorano la superficie, da Curiosity e Perseverance della Nasa (quest’ultimo dotato addirittura di un piccolo drone) fino al cinese Zhurong, sono innumerevoli gli scatti iconici ripresi da telescopi sulla Terra, per non dimenticare gli splendidi ritratti realizzati, nel corso degli anni, da Hubble, il decano dei telescopi spaziali.

Eppure ogni nuova immagine del globo marziano suscita sempre una certa curiosità. Specialmente se a fotografarlo è il nuovo cool kid dell’astronomia, il fantasmagorico Jwst, che, con il suo grande occhio infrarosso, scruta l’universo lontano ma anche il nostro vicinato cosmico.

primi dati di Marte, catturati da Jwst il 5 settembre 2022 e presentati durante un briefing al Congresso europeo di scienze planetarie Epsc 2022, offrono infatti una prospettiva unica sul nostro vicino planetario.

«È stato decisamente emozionante. Stavo osservando Marte con il Nasa Infrared Telescope Facility, un telescopio infrarosso alle Hawaii, quando i dati di Marte da Jwst sono arrivati. L’idea di poter avere osservazioni simultanee ha reso tutto ancora più eccitante», racconta a Media Inaf Sara Faggi, ricercatrice originaria di Firenze, oggi impegnata presso il Nasa Goddard Space Flight Center e l’American University di Washington Dc. «Rispetto ai telescopi da terra, essendo fuori dall’atmosfera terrestre, ci dà il vantaggio di non dover correggere per gli assorbimenti atmosferici, quindi molte lunghezze d’onda non accessibili da terra sono invece studiate con Jwst. Inoltre permette una maggiore risoluzione spaziale rispetto ai telescopi da terra».

«Le missioni spaziali sono assolutamente fondamentali allo studio del Pianeta rosso», prosegue Faggi. «Esse permettono di conoscere Marte con incredibile dettaglio, raccogliendo preziosissime informazioni che né [i telescopi] da terra né Jwst possono ottenere. Per esempio, le misure in occultazione solare come quelle effettuate da ExoMars Trace Gas Orbiter consentono di misurare i profili verticali di molecole e polvere in atmosfera che contengono informazioni fondamentali per capire e prevedere la struttura dell’atmosfera. Tuttavia, la maggior parte delle sonde orbitanti attorno a Marte consentono perlopiù misure molto localizzate nello spazio e nel tempo, mentre Jwst permette di mappare il disco del pianeta in tempi molto brevi, fornendo una visione globale e consentendo di osservare fenomeni anche di rapida evoluzione».

Dal suo punto di osservazione esclusivo, un milione e mezzo di chilometri lontano dalla Terra, Jwst osserva una porzione dell’emisfero di Marte illuminato dal Sole, quella che volge la faccia al telescopio. Riesce così ad acquisire immagini e spettri con la risoluzione spettrale necessaria per studiare fenomeni di breve durata come tempeste di polvere, eventi meteorologici, cambiamenti stagionali, e può rilevare, in una singola osservazione, processi che si verificano in momenti diversi di un giorno marziano. «Il punto di forza futuro sarà, nella mia personale opinione, riuscire a unire queste diverse metodologie di studio, che si complementano a vicenda, fornendo una visione d’insieme», aggiunge Faggi.

Questi primi dati, attualmente in fase di analisi, sono stati ottenuti nell’ambito del programma Mars Jwst/Gto (Guaranteed time observations) che, già diversi anni fa, quando il grande osservatorio spaziale era ancora in via di sviluppo, si era aggiudicato molte ore di osservazione del Pianeta rosso.

Le immagini, catturate dalla Near-Infrared Camera (NirCam), mostrano una regione dell’emisfero orientale del pianeta in due diverse lunghezze d’onda della banda infrarossa – 2,1 e 4,3 micron. La prima delle due immagini, visibile nel dettaglio in alto a destra nell’infografica all’inizio di questo articolo, è dominata dalla luce solare riflessa e quindi rivela dettagli sulla superficie simili a quelli che si notano nelle immagini in luce visibile, come indica il confronto con l’immagine ottenuta da dati dei satelliti Nasa, nella parte sinistra dell’infografica.

La seconda immagine, in basso a destra nell’infografica, mostra invece l’emissione termica del pianeta, ovvero la luce infrarossa che emette mentre rilascia calore e si raffredda, che dipende dalla temperatura sia della superficie che dell’atmosfera marziana. La luminosità è massima nella porzione di Marte in cui il Sole raggiunge l’altezza massima, generalmente più calda, mentre diminuisce verso le regioni polari, che ricevono meno luce solare; inoltre, l’emisfero settentrionale del pianeta, che in questo periodo sta attraversando l’inverno, emette meno luce. Anche l’atmosfera di Marte influenza l’emissione registrata da Jwst a 4,3 micron, poiché una parte della luce emessa dal pianeta, passando attraverso l’atmosfera, viene assorbita dalle molecole di anidride carbonica (CO2). Questo effetto si può apprezzare particolarmente in prossimità del bacino Hellas, che appare più scuro dell’ambiente circostante.

Oltre alle immagini, che mostrano le differenze di luminosità integrate su diverse lunghezze d’onda da un luogo all’altro del pianeta in un determinato giorno e ora, è stato presentato anche uno spettro, ottenuto con il Near-Infrared Spectrograph (NirSpec). Estratto da un’analisi preliminare dei dati, ancora non sottoposta a peer-review, lo spettro mostra invece come varia la luminosità su un insieme molto più ampio di lunghezze d’onda in banda infrarossa e contiene dunque ulteriori informazioni sulla superficie e l’atmosfera del pianeta.

«Jwst è stato concettualizzato per osservare oggetti molto deboli e lontani, inclusi i pianeti esterni del sistema solare. Marte è stato molto complesso da osservare, ha richiesto una specifica pianificazione, scegliendo la slit (fenditura) più appropriata e specifici sampling modes», commenta Giuliano Liuzzi, ricercatore presso l’Università degli Studi della Basilicata, che insieme a Faggi è uno dei due esperti italiani di riduzione dati infrarossi e studi di atmosfera marziana a far parte del programma Mars Jwst/Gto.

A causa della sua vicinanza alla Terra, il Pianeta rosso è tra gli oggetti più luminosi del cielo notturno, sia in termini di luce visibile che nell’infrarosso. Questo ha rappresentato una grossa sfida per Jwst, i cui strumenti sono così sensibili che, senza speciali tecniche di osservazione, sarebbero stati “accecati” dalla forte emissione infrarossa di Marte, portando i rivelatori alla saturazione. Per aggirare questo ostacolo, sono state realizzate esposizioni molto brevi, misurando solo parte della luce che ha colpito i rivelatori e applicando speciali tecniche di analisi dei dati.

«Nello spettro presentato, ad un primo sguardo, non c’è niente che non si conosca già: si vedono le bande di assorbimento della CO2, del vapore acqueo e della CO», aggiunge il ricercatore. «Questo primo spettro è, comunque, molto ampio, coprendo lunghezze d’onda non osservabili da terra, e ci prepariamo a nuove e approfondite analisi nel breve termine».

In futuro, il team di ricerca prevede di usare immagini e spettri di Jwst per studiare le differenze regionali in tutto il pianeta e per cercare tracce di varie altre specie chimiche nell’atmosfera marziana.

«Nelle prossime settimane ci concentreremo nello studio degli spettri, cercando, insieme al team dello Space Telescope Science Institute e al team del Mars Gto, di calibrare i dati e comprenderne a fondo la loro potenzialità», chiarisce Faggi. «Ci concentreremo nella regione attorno a 3,5-3,7 micron dove cercheremo di identificare la presenza di molecole organiche o di fornire degli stringenti upper limit alla loro concentrazione. Studieremo e mapperemo l’acido cloridrico, che è stato recentemente scoperto nell’atmosfera marziana dagli spettrometri a bordo della missione ExoMars, e proveremo a cercare il metano, la cui presenza è da lungo dibattuta nella comunità scientifica».

FONTE: INAF