Ossigeno su Marte grazie al piccolo Moxie


Moxie è installato a bordo del rover perseverance della Nasa ed è il primo strumento ad aver prodotto ossigeno su un altro mondo

moxie

Con il programma Artemis, la Nasa punta a riconquistare la Luna inviando sul satellite naturale la prima donna e la prima persona di colore, e stabilendo su di esso la presenza umana a lungo termine a partire dal 2030. Tutto questo, spiega la Nasa, “[…] per fare nuove scoperte scientifiche, ottenere benefici economici e per ispirare una nuova generazione di esploratori: la generazione Artemide”. Ma anche per un altro motivo. Per prepararci al prossimo gigantesco balzo dell’umanità: l’invio dell’essere umano su Marte. Fantascienza? Niente affatto, tant’è che l’agenzia spaziale statunitense si sta già portando avanti per risolvere uno dei problemi che gli astronauti dovranno affrontare quando ciò accadrà: l’assenza sul pianeta di ossigeno.

Uno degli esperimenti che la Nasa sta conducendo a questo proposito si chiama Moxie, acronimo di Mars Oxygen In-Situ Resource Utilization Experiment. Il suo scopo? Dimostrare il funzionamento di una tecnologia in grado di replicare su Marte quello che sulla Terra fanno le piante, le alghe verdi e i cianobatteri: produrre ossigeno a partire dalla CO2 – gas che costituisce il 96 per cento dell’atmosfera del Pianeta rosso. Ossigeno da utilizzare per la respirazione degli astronauti ma anche come propellente per alimentare i veicoli per il ritorno sulla Terra.

Situato sul lato anteriore destro del rover Perseverance, Moxie produce ossigeno già dal 2021 – anno in cui il robot a sei ruote della Nasa è atterrato sulla superficie marziana – utilizzando un apparato strumentale che misura 24x24x31 centimetri e pesa circa 17 chili, più meno le dimensioni di una batteria d’auto, il cui lavoro consiste nel catturare la CO2 marziana e romperla, producendo così monossido di carbonio e l’indispensabile molecola biatomica.

La figura in basso mostra in dettaglio il funzionamento dell’esperimento, gestito dal Massachusetts Institute of Technology (Mit) insieme ad altri partner internazionali. In un primo momento, un sistema di acquisizione e compressione della CO2 (CO2 Acquisition and Compression System, Cac) aspira l’atmosfera marziana dall’esterno del rover attraverso un filtro, che la pulisce dai contaminanti, e la pressurizza a circa un’atmosfera. Successivamente, la CO2 pressurizzata viene inviata a una cella elettrolitica chiamata Soxe (Solid Oxide Electrolyzer), una sorta di batteria che scinde elettrochimicamente l’anidride carbonica, producendo ioni dell’ossigeno al catodo e monossido di carbonio all’anodo.  A questo punto, gli ioni dell’ossigeno vengono isolati e ricombinati per formare ossigeno molecolare, che lo strumento infine rilascia nell’atmosfera dopo averne misurato la quantità e la purezza.

Diagramma che mostra il funzionamento dell’esperimento Moxie. Crediti: Nasa

Quello appena descritto è un processo di conversione che richiede temperature di esercizio di circa 800 gradi Celsius, motivo per cui lo strumento è realizzato con materiali isolanti e resistenti al calore. Questi includono parti in lega di nichel stampate in 3D, che riscaldano e raffreddano i gas che le attraversano, un aerogel che aiuta a trattenere il calore e un sottile rivestimento d’oro che impedisce al calore in uscita di irradiarsi verso l’esterno e danneggiare Perseverance.

La versione attuale dell’esperimento, che prevede un’unità strumentale di dimensioni tali da consentirne l’installazione a bordo del rover, ha permesso sino ad oggi di produrre ossigeno in una varietà di condizioni. Ogni prova sperimentale condotta è stata infatti programmata per un’ora diversa del giorno o della notte e in stagioni differenti, spiegano i ricercatori, per verificare se lo strumento poteva adattarsi ai cambiamenti delle condizioni atmosferiche del pianeta.

In ciascuna delle sette prove sperimentali condotte nel 2021 – i cui risultati sono riportati in uno studio pubblicato ieri su Science Advances – lo strumento è riuscito a produrre sei grammi di ossigeno all’ora – quasi la velocità di produzione di un albero sulla Terra – impiegando ogni volta alcune ore per riscaldarsi, quindi un’altra ora per produrre ossigeno prima di spegnersi di nuovo.

Nonostante i necessari compromessi nell’attuale design, lo strumento ha dunque dimostrato di poter convertire in modo affidabile ed efficiente la CO2 marziana in ossigeno puro, divenendo il primo strumento a produrre la molecola su un altro mondo.

«L’unica cosa che non abbiamo dimostrato è il funzionamento all’alba o al tramonto, quando la temperatura del pianeta cambia sostanzialmente», sottolinea Michael Hecht, ricercatore al Mit, principal investigator dello strumento e co-autore della pubblicazione. «Ma abbiamo un asso nella manica che ci permetterà di farlo: i test in laboratorio. Una volta effettuati, otterremo l’ultima pietra miliare per dimostrare che possiamo produrre ossigeno in qualsiasi momento».

La produzione di ossigeno da parte di Moxie su Marte rappresenta la prima dimostrazione della possibilità di “utilizzazione in situ delle risorse spaziali” (in-situ resource utilizationIrsu, in inglese): un concetto che si basa sull’idea di raccogliere e utilizzare i materiali di un pianeta (in questo caso l’anidride carbonica su Marte) per creare risorse (come l’ossigeno) che altrimenti dovrebbero essere trasportate dalla Terra.

«Questa è la prima dimostrazione dell’utilizzo effettivo delle risorse presenti sulla superficie di un altro corpo planetario e della loro trasformazione chimica in qualcosa che sarebbe utile per una missione umana. E in questo senso è storica», dice a questo proposito il primo autore dello studio e deputy principal investigator dello strumento, Jeffrey Hoffman.

Il prossimo passo sarà quello di aumentare la capacità di produzione dello strumento, aggiungono i ricercatori, in particolare nella primavera marziana, quando la densità atmosferica e i livelli di anidride carbonica sono elevati. «La prossima prova sperimentale avverrà durante la stagione con la più alta più alta densità atmosferica dell’anno, durante la quale vogliamo produrre più ossigeno possibile», dice Hecht. «Per fare ciò, porteremo lo strumento al massimo delle sue potenzialità e lo faremo funzionare il più a lungo possibile». Si tratta di un ulteriore test che rappresenterà un banco di prova per monitorare lo strumento per eventuali segni di usura. Moxie, infatti, non può funzionare continuamente come potrebbe fare una unità strumentale più grande. Piuttosto, lo strumento dovrà essere avviato e spento a ogni esperimento, uno stress termico che nel tempo può causare danni al sistema. Se nonostante questi cicli di accensione e spegnimento Moxie continuasse a funzionare correttamente, ciò suggerirebbe che una versione più grande dello strumento, progettata per funzionare continuamente, potrebbe restare operativa per migliaia di ore, sottolinea il team.

I ricercatori prevedono che una versione su larga scala di Moxie potrebbe essere inviata su Marte prima di una missione umana, per produrre continuamente ossigeno al ritmo di diverse centinaia di alberi, permettendo sia di sostenere la presenza dell’essere umano al suo arrivo sul pianeta sia di alimentare i razzi per il ritorno degli astronauti sulla Terra.

Per saperne di più:

  • Leggi su Science Advances l’articolo “Mars Oxygen ISRU Experiment (MOXIE) – Preparing for human Mars exploration” di Jeffrey A. Hoffman1, Michael H. Hecht, Donald Rapp, Joseph J. Hartvigsen, Jason G. SooHoo, Asad M. Aboobaker, John B. McClean, Andrew M. Liu, Eric D. Hinterman, Maya Nasr, Shravan Hariharan, Kyle J. Horn, Forrest E. Meyen, Harald Okkels, Parker Steen, Singaravelu Elangovan, Christopher R. Graves, Piyush Khopkar, Morten B. Madsen, Gerald E. Voecks, Peter H. Smith, Theis L. Skafte, Koorosh R. Araghi e David J. Eisenman