Parkinson: risultati deludenti per due monoclonali


Risultati deludenti per due anticorpi monoclonali mirati all’alfa-sinucleina per la gestione della malattia di Parkinson allo stadio iniziale

Parkinson safinamide, farmaci

Due studi di fase II pubblicati insieme sul New England Journal of Medicine (NEJM) e progettati in modo simile, hanno deluso le speranze riposte in due anticorpi monoclonali mirati all’alfa-sinucleina per la gestione della malattia di Parkinson allo stadio iniziale. L’effetto rilevato tramite imaging non era complessivamente significativo, hanno concluso entrambi i gruppi di ricercatori.

Cinpanemab e prasinezumab sono due agenti sperimentali che prendono di mira la forma aggregata della proteina alfa-sinucleina, considerata la principale responsabile della patogenesi della malattia di Parkinson. Sono anticorpi monoclonali umanizzati che legano selettivamente l’alfa-sinucleina aggregata, con un’interazione C-terminale per prasinezumab e N-terminale per cinpanemab.

Cinpanemab nel trial SPARK
Lo studio SPARK ha coinvolto 357 pazienti con malattia di Parkinson in fase iniziale, randomizzati a ricevere placebo ev o cinpanemab alla dose di 250 mg, 1.250 mg o 3.500 mg ogni 4 settimane per 52 settimane, seguiti da un periodo di estensione in cieco fino a 112 settimane.

Cinpanemab non è riuscito a raggiungere nessuno degli endpoint primari di modifica del punteggio totale della Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (MDS-UPDRS), come riferito dall’autore senior Tien Dam e colleghi della compagnia Biogen di Cambridge, in Massachusetts.

Non sono state rilevate variazioni significative dal basale alla settimana 52 (in un range da 0 a 236 punti, dove i punteggi più alti indicano una performance peggiore, -0,3 punti rispetto al placebo, nel gruppo da 250 mg, 0,5 punti nel gruppo da 1.250 mg e 0,1 punti nel gruppo da 3.500 mg) e alla settimana 72 vs la settimana 52 (rispettivamente -0,9, 0,6 e -0,8 punti).

Biogen ha annunciato l’intenzione di interrompere lo sviluppo di cinpanemab.

Prasinezumab nel trial PASADENA
Lo studio PASADENA ha arruolato 316 pazienti con malattia di Parkinson in fase iniziale, randomizzati a ricevere placebo ev o prasinezumab alla dose di 1.500 mg o 4.500 mg ogni 4 settimane per 52 settimane. La fase 2 dello studio ha coinvolto una coorte a inizio ritardato che ha ricevuto placebo per le prime 52 settimane, passata poi a prasinezumab alla dose di 1.500 o 4.500 mg dalla settimana 56 alla 104.

Anche io questo caso il trattamento non ha modificato in modo significativo il punteggio MDS-UPDRS dal basale alla settimana 52 (-2,0 punti rispetto al placebo nel gruppo da 1.500 mg, P=0,24 e -0,6 punti nel gruppo da 4.500 mg, P=0,72), hanno scritto il primo autore Gennaro Pagano e colleghi del Roche Innovation Center a Basilea, in Svizzera. Una coorte con partenza ritardata ha prodotto risultati altrettanto negativi.

Delusione su un nuovo approccio terapeutico
«I risultati sono stati più che deludenti e di certo non hanno implicazioni per la pratica clinica attuale» ha osservato Alan Whone dell’Università e del Southmead Hospital di Bristol, in UK, in un editoriale di accompagnamento. «Apparentemente i dati negativi non hanno dissuaso lo sponsor del trial PASADENA dall’avviare uno studio di fase IIb, anche se sembra probabile che gli esiti delle due sperimentazioni segnino il capolinea per gli anticorpi monoclonali nel trattamento della malattia Parkinson in fase iniziale».

Prasinezumab ha mostrato un vantaggio significativo in un endpoint secondario, ovvero una progressione più lenta con la dose più bassa nella parte III dell’MDS-UPDRS, che riflette l’esame motorio condotto dal medico.

Whone ha fatto tuttavia presente che gli endpoint secondari non sono stati corretti per confronti multipli, e quindi non consentono di trarre conclusioni. «Nonostante questo non è da escludere la possibilità che farmaci di questo tipo possano avere successo nella malattia Parkinson in fase prodromica (prima dell’insorgenza dei sintomi motori) o nelle forme genetiche, oppure che meccanismi alternativi per agire sull’alfa-sinucleina aggregata possano essere utili» ha scritto.

«Mi chiedo se la mancanza di consapevolezza degli agenti modificanti la malattia per il Parkinson sia dovuta a ricerche precliniche fuorvianti, agli attuali progetti di studi clinici che forniscono errori di tipo II o a entrambi» ha aggiunto. «Per gli studi PASADENA e SPARK sembra più probabile la prima opzione, ma è possibile anche la seconda spiegazione; in questo caso potrebbe implicare che le misure di esito dovrebbero essere più sofisticate e spostarsi nell’era digitale».

Nonostante i risultati negativi, Whone non esclude la possibilità di un ritardo temporale tra la clearance dell’alfa-sinucleina aggregata e il risparmio neuronale e che uno studio di durata considerevolmente più lunga possa avere successo. Dal punto di vista della sicurezza entrambi gli agenti sembravano essere relativamente sicuri e non hanno creato problemi di immunogenicità.

Bibliografia

Lang AE et al. Trial of Cinpanemab in Early Parkinson’s Disease. N Engl J Med. 2022 Aug 4;387(5):408-420. 
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Pagano G et al. Trial of Prasinezumab in Early-Stage Parkinson’s Disease. N Engl J Med. 2022 Aug 4;387(5):421-432.
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Whone A. Monoclonal Antibody Therapy in Parkinson’s Disease – The End? N Engl J Med. 2022 Aug 4;387(5):466-467. 
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