Leucemia linfatica: alto tasso di MRD negativa con venetoclax e ibrutinib


Leucemia linfatica cronica: l’aggiunta di venetoclax a ibrutinib si è tradotta in un’alta percentuale di negatività della MRD nel sangue e nel midollo

Leucemia linfatica cronica: lo studio GLOW conferma i benefici della terapia di combinazione ibrutinib e venetoclax, orale e a durata fissa

Nei pazienti con leucemia linfatica cronica, non trattata in precedenza, l’aggiunta di venetoclax a ibrutinib si è tradotta in un’alta percentuale di negatività della malattia minima residua (MRD) nel sangue e nel midollo, secondo i risultati di un’analisi ad interim dello studio di fase 3 NCRI FLAIR (ISRCTN01844152) presentati durante il congresso della European Hematology Association (EHA), a Vienna.

Il 65,4% dei pazienti sottoposti al trattamento con la combinazione venetoclax più ibrutinib ha raggiunto lo stato di negatività della MRD nel sangue e il 71,3% nel midollo a 2 anni dalla randomizzazione, mentre l’MRD negatività non è stata raggiunta in nessun paziente trattato con ibrutinib in monoterapia (P < 0,0001).

Per compensare l’assenza di remissioni MRD-negative nel braccio trattato con ibrutinib in monoterapia, gli sperimentatori hanno applicato una tecnica statistica con la quale la probabilità di ottenere la negatività della MRD con la doppietta con venetoclax è risultata 454 volte quella della monoterapia con ibrutinib (IC al 95%, 29,0-7122; P < 0,0001). Inoltre, non sono state osservate differenze significative a seconda del sesso, dell’età o dello stadio della malattia.

«In questa analisi ad interim di un ampio studio di fase 3, con ibrutinib più venetoclax si sono osservati tassi molto elevati di negatività della MRD nel sangue e nel midollo; questa, a 2 anni, era almeno numericamente più alta per i pazienti con malattia IGHV non mutate rispetto a quelli con IGVH mutate, e per quelli con delezione 11q rispetto a quelli con delezione 13q isolata», ha dichiarato Peter Hillmen del Teaching Hospitals NHS Trust di Leeds, Inghilterra, e Principal Investigator dello studio, durante la presentazione dei dati.

Da FLAIR a NCRI FLAIR
Lo studio FLAIR è uno studio a disegno adattativo ideato per rispondere a diverse questioni aperte. Il trial è partito nel 2014 e inizialmente ha confrontato la combinazione ibrutinib più rituximab con la chemioimmunoterapia con fludarabina, ciclofosfamide e rituximab (regime FCR) in 771 pazienti con leucemia linfatica cronica non trattata in precedenza.

I risultati hanno dimostrato che con la combinazione ibrutinib più rituximab si è ottenuta una sopravvivenza libera da progressione (PFS) superiore rispetto al regime FCR in questa popolazione di pazienti. Con un follow-up mediano di 52,7 mesi, la PFS mediana non era ancora stata raggiunta con ibrutinib/rituximab mentre è risultata di 66,53 mesi con FCR (HR 0,44; IC 95% 0,32-0,60; P < 0,001).

«È risultato chiaro che ulteriori combinazioni potevano essere interessanti… e così, alla fine del 2017, allo studio FLAIR abbiamo aggiunto due bracci supplementari: il braccio di controllo trattato con ibrutinib in monoterapia e quello trattato con ibrutinib più venetoclax», ha spiegato Hillmen.

L’endpoint primario era la negatività della MRD.

Durante il convegno lo sperimentatore ha presentato i dati dell’analisi ad interim pianificata, in cui la metà di questi pazienti trattati con la monoterapia o la doppietta aveva raggiunto 2 anni dalla randomizzazione e per i quali erano disponibili i risultati di MRD.

Hillmen ha anche precisato che lo studio è in corso e la comunicazione dei risultati dell’endpoint primario relativi al confronto tra ibrutinib più venetoclax e FCR in 523 pazienti sono attesi per il prossimo anno. Anche ibrutinib come agente singolo è in fase di confronto con la tripletta FCR in 525 pazienti, con un endpoint secondario chiave rappresentato dalla PFS. Un’ulteriore randomizzazione di fase 2 è in corso per i pazienti con delezioni 17p e/o mutazioni di TP53 e confronterà ibrutinib con ibrutinib/venetoclax.

«Un’altra differenza di FLAIR rispetto alla maggior parte degli studi è che ibrutinib è somministrato con una durata fissa, non continuativamente fino alla progressione della malattia», ha osservato Hillmen. «Inoltre, all’interno del braccio ibrutinib ci sono regole di interruzione legate alla MRD. Abbiamo ragionato sulla necessità di continuare il trattamento una volta raggiunta la negatività della MRD per arrivare a un livello che ci permetta potenzialmente di ottenere la cura dei pazienti. Il disegno dello studio prevedeva di continuare il trattamento per il tempo necessaria a raggiungere la negatività della MRD».

Per essere inclusi in questa analisi, i pazienti dovevano avere una leucemia linfatica cronica non trattata in precedenza che richiedeva un trattamento secondo i criteri iwCLL, non dovevano avere più di 75 anni e dovevano essere considerati idonei al trattamento con la tripletta FCR.

Erano, invece, esclusi dall’arruolamento i pazienti già trattati in precedenza, che avevano una storia di trasformazione di Richter, che presentavano una delezione di TP53 superiore al 20% secondo la FISH, che erano in terapia concomitante con warfarin o che presentavano insufficienza cardiaca o angina sintomatica.

Gli obiettivi primari della ricerca erano valutare se ibrutinib più venetoclax fosse superiore rispetto alla tripletta in termini di PFS e se la combinazione con venetoclax fosse superiore a ibrutinib in monoterapia per quanto riguarda la negatività della MRD.

Gli endpoint secondari comprendevano la PFS con ibrutinib/venetoclax rispetto al solo ibrutinib, la PFS con ibrutinib rispetto al trattamento con FCR, la sopravvivenza globale (OS), il tasso di MRD negatività, il tasso di risposta alla terapia secondo i criteri iwCLL, la sicurezza e la tossicità, la qualità di vita correlata alla salute e il rapporto costo-efficacia.

La seconda parte dello studio
Nella seconda parte dello studio, 786 pazienti con leucemia linfatica cronica che richiedevano un trattamento secondo i criteri iwCLL sono stati assegnati con un rapporto di randomizzazione 1:1:1 a tre trattamenti.

Un braccio è stato trattato con fludarabina orale 24 mg/m2 e ciclofosfamide orale 150 mg/m2 al giorno per 5 giorni (nei cicli da 1 a 6), e rituximab per via endovenosa 375 mg/m2 durante il ciclo 1 e 500 mg/m2 durante i cicli da 2 a 6. Il secondo braccio è stato trattato con ibrutinib a una dose giornaliera di 420 mg per un massimo di 6 anni. Il terzo braccio è stato trattato con venetoclax 400 mg al giorno più ibrutinib 420 mg al giorno per almeno 2 anni e un massimo di 6 anni.

In particolare, nei bracci trattati con ibrutinib in monoterapia e in combinazione, la MRD è stata valutata nel sangue periferico ogni 6 mesi. Se la MRD risultava negativa, il test veniva ripetuto dopo 3 mesi e dopo 6 mesi il sangue periferico e il midollo osseo venivano rianalizzati. Se tutti i test risultavano negativi, il primo risultato di MRD-negativa nel sangue periferico rappresentava il tempo di raggiungimento della negatività della MRD.

Nell’analisi presentata durante il convegno, la popolazione complessiva dei pazienti (274) aveva un’età mediana di 63 anni e il 34,3% dei pazienti aveva un’età superiore ai 65 anni. Inoltre, il 72,3% dei pazienti era di sesso maschile e il 59,1% aveva una malattia in stadio A o B della classificazione di Binet.

La durata mediana della malattia prima della randomizzazione era di 27,2 mesi. Inoltre, il 50,7% dei pazienti aveva sintomi B e il 45,6% presentava un valore di beta-microglobulina di 4 mg/l o superiore.

Per quanto riguarda i marcatori prognostici, nel braccio trattato con ibrutinib in monoterapia il 37,7% dei pazienti aveva IGHV mutate, il 43,5% IGVH non mutate, il 12,3% IGHV con subset stereotipato 2, mentre per il 6,5% queste informazioni non erano disponibili; nel braccio trattato con la doppietta queste percentuali erano rispettivamente del 40,4%, 47,1%, 5,9% e 6,6%.

Inoltre, il 10,9% dei pazienti del gruppo trattato con il solo ibrutinib era portatore della (del)11q contro il 21,3% dei pazienti trattati con ibrutinib/venetoclax, il 17,4% contro il 20,6% aveva una trisomia 12, il 23,2% contro il 20,6% aveva una citogenetica normale, il 41,3% contro il 32,4% era portatore della (del)13q e il 7,2% contro il 5,1% aveva risultati FISH falliti o incompleti.

«In termini di compliance al trattamento, abbiamo visto che circa la metà dei pazienti ha richiesto almeno una variazione della dose nel primo anno di trattamento sia del solo ibrutinib, nel braccio della monoterapia, sia di ibrutinib/venetoclax», ha osservato Hillmen. Lo sperimentatore ha precisato, inoltre, che la percentuale di pazienti la cui dose è stata modificata è risultata inferiore nel secondo anno e si è ridotta in modo significativo nel terzo anno. Hillmen ha poi concluso: «La combinazione e la monoterapia con ibrutinib sono state ben tollerate».

Ulteriori dati relativi alla valutazione della risposta secondo i criteri della iwCLL a 9 mesi dalla randomizzazione hanno mostrato che ibrutinib in monoterapia ha prodotto un tasso di risposta obiettiva (ORR) dell’86,2%, mentre ibrutinib più venetoclax dell’88,2%. Nel braccio della monoterapia, l’8,0% dei pazienti ha ottenuto una risposta completa, il 78,3% una risposta parziale e il 13,8% ha ottenuto una stabilizzazione della malattia; nel braccio della doppietta tassi corrispondenti sono risultati rispettivamente del 59,6%, 28,7% e 11,8%.

Quando interrompere il trattamento
Il tempo mediano di raggiungimento della MRD-negatività nel midollo osseo è stato di 12 mesi (range: 10,2-17,5) con ibrutinib più venetoclax contro 19 mesi (range: 12,5-26,0) con il solo ibrutinib.

«La profondità della remissione con la terapia continuativa si mantiene oltre il secondo anno, suggerendo che una durata fissa di uno o 2 anni del trattamento combinato può consentire ad alcuni pazienti ancora MRD positivi di negativizzarsi», ha detto lo sperimentatore. Hillmen ha precisato: «Un paziente può interrompere la terapia per la prima volta a 2 anni, ma per poterlo fare deve aver raggiunto una remissione con MRD-negativa a un anno. Nel braccio ibrutinib/venetoclax, il 42,6% dei pazienti ha raggiunto la negatività della MRD dopo un anno e quindi ha interrotto la terapia dopo 2 anni, mentre gli altri pazienti hanno proseguito con la terapia».

Se si considera la MRD a 2 anni nei sottogruppi, non sono state osservate differenze significative nel braccio ibrutinib/venetoclax per quanto riguarda l’età, il sesso e lo stadio della malattia, ha riferito lo sperimentatore.

I pazienti con IGHV non mutate che sono stati trattati con la doppietta hanno raggiunto la negatività della MRD in percentuale maggiore rispetto a quelli con IGHV mutate. Inoltre, in questi pazienti i tassi di remissione con MRD-negativa a 2 anni sono risultati rispettivamente del 79,7% e del 56,4%. «Questi dati sono coerenti con quelli degli studi di fase 2 che abbiamo visto», ha riferito l’autore.

Per quanto riguarda i risultati a seconda del profilo citogenetico, è emerso che i pazienti portatori della (del)11q hanno raggiunto la negatività della MRD a 2 anni in percentuale maggiore rispetto a quelli con portatori della (del)13q con rischio favorevole (82,8% contro 54,5%).

Buona tollerabilità
Gli eventi avversi di tutti i gradi più comuni segnalati nei bracci ibrutinib/venetoclax e ibrutinib in monoterapia sono stati diarrea (52,6% contro 29,4%), nausea (40,7% contro 14%), anemia (28,9% contro 16,9%) e riduzione dei globuli bianchi (36,3% contro 8,8%).

Gli eventi avversi di grado 3 o superiore più frequenti, e verificatisi in almeno il 3% dei partecipanti sono stati riduzione dei globuli bianchi (27,4% contro 5,1%), anemia (7,4% contro 2,9%), riduzione della conta piastrinica (5,9% contro 1,5%), rash (2,2% contro 4,4%) e altri eventi (4,4% contro 2,2%).

Per quanto riguarda gli eventi avversi seri, non sono state osservate differenze significative tra i bracci, tuttavia l’incidenza delle infezioni è risultata leggermente superiore con ibrutinib in monoterapia rispetto alla combinazione con venetoclax: 19,9% contro 14,8%. Inoltre, sono stati segnalati disturbi cardiaci nell’11,9% dei pazienti trattati con la doppietta rispetto all’8,1% di quelli trattati con la monoterapia.

Infine, un numero leggermente superiore di pazienti nel braccio trattato con la combinazione ha manifestato un evento avverso che hanno richiesto l’interruzione precoce di ibrutinib rispetto ai pazienti del braccio assegnato alla monoterapia (13,2% contro 9,4%).

Gli autori della ricerca concludono che ibrutinib più venetoclax è una combinazione efficace e ben tollerata, che nei primi 2 anni di trattamento ha prodotto un’alta percentuale di negatività della MRD nel sangue e nel midollo dei pazienti.

Bibliografia
P. Hillmen, et al. The combination of ibrutinib plus venetoclax results in a high rate of MRD negativity in previously untreated CLL: the results of the planned interim analysis of the phase III NCRI FLAIR trial. EHA 2022; abstract S145. Link