Troppe fake news sui ragni: lo dice la scienza


Le fake news alimentano la disinformazione: un team internazionale ha esplorato questo fenomeno a partire dall’analisi di articoli di giornale riguardanti i ragni

Abitazioni del Nuovo Galles del Sud invase da ragni, topi e serpenti in fuga dall'alluvione che ha colpito quest'area dell'Australia

Non è un segreto che Internet ed i social media siano una fonte dilagante di (dis)informazione in molti campi: uno studio pubblicato lo scorso 22 agosto su Current Biology -a cui ha partecipato un team internazionale composto da 65 ricercatori, anche del Cnr-  ha esplorato questo fenomeno a partire dall’analisi di articoli di giornale riguardanti i ragni. Il verdetto? Non credete ciecamente a nulla di quello che leggete su questi artropodi a otto zampe, e considerate sempre la fonte d’informazione.

“La qualità dell’informazione riguardante i ragni nella stampa globale è piuttosto scarsa: errori e sensazionalismo sono onnipresenti,” ha affermato Stefano Mammola, ricercatore del Cnr-Irsa nella sede di Verbania Pallanza. “Le notizie riguardanti i ragni fluiscono attraverso un network globale ampiamente interconnesso, e la diffusione di disinformazione è data da un numero limitato di fattori, il tono sensazionalistico dell’articolo è uno dei più importanti.”

Mammola racconta di essere stato ispirato da uno studio fatto in precedenza sulla stampa italiana e dal generale disappunto sulla qualità delle notizie riguardanti i ragni. “Moltissimi articoli sui ragni nella stampa italiana sono pieni di errori, allarmistici, o addirittura fake news, o una combinazione di questi fattori” , ha aggiunto.

Il ricercatore, assiema a diversi colleghi tra i quali Catherine Scott dell’Università di McGill, in Quebec, e Angela Chuang dell’Università della Florida hanno deciso di intraprendere uno studio più ampio per capire se questo fosse un problema globale. Hanno messo assieme un team di esperti per raccogliere i dati, provenienti da 81 Paesi e rappresentati 41 lingue. Durante la pandemia da Covid-19, il progetto ha offerto la possibilità di indagare importanti questioni a scala globale in un momento in cui non si poteva svolgere la ricerca sul campo.

Le analisi hanno dimostrato come il livello di sensazionalismo e disinformazione calasse sensibilmente quando il giusto “esperto” veniva intervistato dal giornalista -cioè un esperto di ragni invece di un medico o altre figure professionali. I dati inoltre hanno mostrato l’importanza della copertura mediatica a scala locale, in quanto anche notizie provenienti da piccoli paesi sono in grado di diffondersi rapidamente nel panorama mediatico internazionale.

“Sono stato particolarmente sorpreso dal fatto che un eventi così localizzati—come la storia di un allevatore morso da un ragno in un remoto paesino dell’Australia—pubblicati da giornali regionali possa velocemente diventare un fenomeno internazionale. Questo implica che migliorare la qualità dell’informazione prodotta in questi nodi locali può avere ripercussioni su tutto il network globale di scambio d’informazione”, ha commentato Mammola.

La disinformazione sui ragni ha molte implicazioni pratiche. In alcuni casi, reazioni allarmistiche rispetto “all’invasione” da parte di falsa vedova nere hanno portato alla chiusura di scuole. In un altra circostanza, un uomo ha dato inavvertitamente fuoco alla sua casa nel tentativo di eliminare  un’infestazione  di ragni innocui.

Ora, i ricercatori vogliono capire come l’informazione di scarsa qualità sui ragni sia legata al perpetuare di sentimenti aracnofobici nella popolazione, e comprendere come differenze culturali e sociali influenzino il modo di rappresentare e parlare di ragni e altri organismi animali li nella stampa delle varie nazioni e regioni. “Sarebbe interessante esplorare la rappresentazione mediatica di diversi gruppi di organismi, inclusi animali che sono velenosi ma non stigmatizzati allo stesso modo, come le api, ma anche altri animali velenosi come i serpenti”, dice Mammola. “Un simile esercizio permetterebbe di capire se il livello di disinformazione e sensazionalismo sia lo stesso tra i diversi taxa, testando l’ipotesi che una rappresentazione negativa da parte dei media tradizionali e dei social media si traduca in una minore probabilità di essere il target delle politiche di conservazione.”

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