Leucemia linfatica cronica: arrivano conferme sull’efficacia di acalabrutinib


Leucemia linfatica cronica: il trattamento con acalabrutinib in monoterapia continua a mostrare un’efficacia elevata e un notevole beneficio in termini di sopravvivenza

Leucemia linfatica cronica: lo studio GLOW conferma i benefici della terapia di combinazione ibrutinib e venetoclax, orale e a durata fissa

Il trattamento con l’inibitore della tirosin chinasi di Bruton (BTK) di nuova generazione acalabrutinib in monoterapia continua a mostrare un’efficacia elevata e un notevole beneficio in termini di sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto a due combinazioni standard di cura, con un buon profilo di sicurezza e tollerabilità, nei pazienti con leucemia linfatica cronica recidivante/refrattaria. La conferma del valore di questo trattamento arriva dai dati dell’analisi finale dello studio registrativo di fase 3 ASCEND, presentati a Vienna durante il congresso della European Hematology Association (EHA).

Dopo circa 4 anni di follow-up, acalabrutinib ha dimostrato di miglioare in modo signficativo la PFS rispetto alla terapia con idelalisib più rituximab oppure bendamustina più rituximab.

Nella popolazione complessiva, la PFS mediana non è stata ancora raggiunta con acalabrutinib, mentre è risultata di 16,8 mesi con i regimi standard, con una riduzione del 72% del rischio di progressione o morte con il trattamento sperimentale rispetto a quello standard (HR 0,28; IC al 95%, 0,20-0,38; P < 0,0001). Inoltre, gli sperimentatori hanno stimato un tasso di PFS a 42 mesi del 62% (IC al 95% 53,2%-69,1%) nel braccio trattato con l’inibitore, a fronte solo del 19% (IC al 95%, 12,9%-26,1%) nel braccio di confronto; una differenza che è risultata ora del 43%, e che è andata aumentando col tempo di osservazione.

Inoltre, la mediana di sopravvivenza globale (OS) non è stata ancora raggiunta né nel braccio trattato con acalabrutinib né in quello trattato con le due combinazioni standard (HR 0,69; IC al 95% 0,46-1,04; P = 0,0783), mentre i tassi stimati di OS a 42 mesi sono risultati rispettivamente del 78% (IC al 95% 71%-84%) e 65% (IC al 95% 56%-72%).

I tassi di risposta obiettiva (ORR) sono risultati, invece, comparabili tra i due bracci.
«Questi risultati confermano che il trattamento a lungo termine con acalabrutinib come regime ‘chemo-free’ mantiene la sua efficacia e continua a essere sicuro per i pazienti con leucemia linfatica cronica che hanno avuto una recidiva o che hanno smesso di rispondere a trattamenti precedenti», scrivono nel loro poster gli autori, coordinati da Paolo Ghia, Direttore del Programma di Ricerca Strategica sulla Leucemia Linfatica Cronica, presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Professore Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.

Acalabrutinib ora disponibile anche in Italia
Gli inibitori di BTK rappresentano un trattamento di scelta per i pazienti con leucemia linfatica cronica recidivata o refrattaria.

Quando è stato disegnato lo studio ASCEND, le combinazioni dell’anticorpo anti-CD20 rituximab più l’inibitore della PI3K idelalisib o il chemioterapico bendamustina rappresentavano trattamenti standard, ma gravati da una certa tossicità.

Acalabrutinib è un inibitore covalente di BTK di nuova generazione, altamente selettivo, ed è un farmaco che si assume per via orale, in modo continuativo, fino alla progressione della malattia.

Proprio grazie ai risultati di un’analisi ad interim dello studio ASCEND, pubblicata sul Journal of Clinical Oncology nel 2020, acalabrutinib è stato approvato per il trattamento della leucemia linfatica cronica recidivata/refrattaria prima dall’Fda, poi dall’Ema, e dalla fine del 2021 è disponibile anche per i pazienti italiani. Il farmaco è stato approvato anche per i pazienti con leucemia linfatica cronica al primo trattamento, sulla base dei risultati dello studio di fase 3 ELEVATE-TN.

Lo studio ASCEND
Lo studio ASCEND (NCT02970318) è un trial multicentrico internazionale, randomizzato, in aperto, nel quale si è valutato acalabrutinib in pazienti con leucemia linfatica cronica con un performance status ECOG non superiore a 2, già trattati in precedenza con una o più terapie, ma ricaduti o risultati refrattari ad esse. Erano esclusi dall’arruolamento i soggetti con leucemia o linfoma del sistema nervoso centrale noti, malattie cardiovascolari significative o già trattati in precedenza con un inibitore di Bcl-2 o del B cell receptor (BCR).

Il trial ha coinvolto in totale 310 pazienti, assegnati secondo un rapporto 1:1 al trattamento con acalabrutinib in monoterapia (100 mg due volte al giorno) oppure con rituximab (375 mg/m2 per la prima infusione e poi 500 mg/m2 ev, per un totale di 8 o 6 infusioni), in combinazione con idelalisib 150 mg due volte al giorno oppure bendamustina (70 mg/m2 nei giorni 1 e 2 di ogni ciclo, per 6 cicli) a discrezione del clinico, fino alla progressione della malattia o allo sviluppo di una tossicità non tollerabile.

Da notare che i pazienti del braccio assegnato ai regimi standard potevano passare al braccio sperimentale, se andavano incontro a una progressione della malattia.
L’endpoint primario dello studio era la PFS, mentre gli endpoint secondari chiave comprendevano l’OS, l’ORR e la sicurezza.

I fattori di stratificazione comprendevano la presenza o assenza della delezione (del) (17p), il performance status ECOG (0-1 vs 2) e il numero di precedenti terapie effettuate (da 1 a 3 vs più di 4).

Le analisi precedenti
I dati dell’analisi primaria dello studio, che aveva un follow-up mediano di 16,1 mesi (range: 0,03-22,4), avevano già dimostrato che acalabrutinib fornisce un beneficio di PFS superiore rispetto a ai due regimi di confronto, con l’88% dei pazienti ancora in vita e non in progressione contro il 68% dei controlli, rispettivamente, al momento dell’analisi.

I dati di follow-up a 3 anni, presentati all’ultimo congresso dell’American Society of Hematology (ASH), hanno mostrato che l’inibitore di BTK non solo ha mantenuto la sua efficacia nel tempo, confermando il suo profilo di sicurezza, ma ha aumentato il suo vantaggio. La PFS a 36 mesi è risultata, infatti, del 63% nel braccio trattato con acalabrutinib contro 21% nel braccio di confronto.

L’analisi finale dello studio è stata effettuata per valutare la sicurezza e l’efficacia a lungo termine della monoterapia con acalabrutinib rispetto al trattamento con i due regimi standard in questa popolazione di pazienti.

Le caratteristiche dei pazienti
Le caratteristiche basali e della malattia erano simili nei due bracci di trattamento.

I partecipanti avevano un’età mediana di 67 anni e più della metà (il 67,1%) era di sesso maschile. Inoltre, il 48,7% dei pazienti aveva una malattia ‘bulky’ di dimensioni ≥ 5 cm e il 41,6% aveva una malattia in stadio Rai da III a IV.

Per quanto riguarda i trattamenti precedenti, i partecipanti avevano già effettuato una mediana di due linee di terapia (range: 1-10): in particolare, il 48,1% aveva già effettuato una linea, il 27,7% due linee, il 13,2% tre linee e l’11,0% quattro o più linee.

Per quanto riguarda lo stato citogenetico, il 73,5% dei pazienti aveva immunoglobuline (IGHV) non mutate, il 15,5% era portatore della del(17p) e il 26,8% della del(11q).

Vantaggio di acalabrutinib anche con del(17p) o IGVH non mutate
Ulteriori dati dell’analisi finale mostrano che acalabrutinib ha offerto un beneficio significativo di PFS anche nei sottogruppi di pazienti ad alto rischio, come quelli con la del(17p) e quelli con IGHV non mutate, nonché in altri sottogruppi prespecificati nel protocollo.

In particolare, nei pazienti portatori della del(17p) la PFS mediana non è stata raggiunta in quelli trattati con acalabrutinib, mentre è risultata di 13,8 mesi in quelli trattati con i regimi standard (HR 0,13; IC al 95% 0,06-0,3; P < 0,0001). Nel sottogruppo non portatore della del(17p), la PFS mediana, di nuovo, non è stata ancora raggiunta con acalabrutinib, mentre è risultata di 20,3 mesi con i regimi standard (HR 0,32; IC al 95%, 0,23-0,45; P < 0,0001).

Analogamente, nel sottogruppo di pazienti con IGHV non mutate la PFS mediana non è stata raggiunta in quelli trattati con acalabrutinib, mentre è risultata di 16,2 mesi in quelli trattati con idelalisib/rituximab o bendamustina/rituximab (HR 0,29; IC al 95%, 0,20-0,41; P < 0,0001). Nel sottogruppo con IGHV mutate, la PFS mediana non è stata raggiunta con acalabrutinib, mentre è risultata di 36,5 mesi con le combinazioni standard (HR 0,34; IC al 95%, 0,13-0,93; P = 0,0270).

Profilo di sicurezza confermato
La mediana della durata dell’esposizione al trattamento è risultata più lunga con acalabrutinib rispetto ai regimi standard: rispettivamente 44,2 mesi contro 11,5 mesi (con idelalisib-rituximab) e 5,6 mesi (con bendamustina-rituximab).

Gli effetti avversi più comuni di qualsiasi grado con acalabrutinib (verificatisi in almeno il 20% dei pazienti), sono stati neutropenia, cefalea, diarrea e infezioni delle vie respiratorie superiori, mentre quelli di grado 3 o superiore sono stati neutropenia, anemia e polmonite.

Gli eventi avversi gravi verificatisi nel 5% o più dei pazienti in qualsiasi gruppo sono stati polmonite (9% con acalabrutinib; 10% con idelalisib-rituximab, 3% con bendamustina-rituximab), diarrea (rispettivamente, 1% 16% 0%) e piressia (3%, 7% e 3%).

Gli episodi di sanguinamento e fibrillazione atriale sono stati riportati più comunemente fra i pazienti trattati con acalabrutinib, ma l’incidenza di emorragie maggiori e ipertensione è risultata bassa e comparabile con i diversi trattamenti.

Ghia e i colleghi hanno, inoltre, riferito, che un numero inferiore di pazienti trattati con acalabrutinib ha interrotto il trattamento a causa di eventi avversi rispetto a quelli trattati con idelalisib-rituximab.

Bibliografia
P. Ghia, et al. Acalabrutinib vs rituximab plus idelalisib or bendamustine in relapsed/refractory chronic lymphocytic leukemia: ASCEND results at ~4 years of follow-up. EHA 2022; abstract P668. Link