Hiv e disturbi cardiometabolici: doravirina efficace


I pazienti con l’Hiv possono essere predisposti a un rischio più elevato di disturbi cardiometabolici: un aiuto dalla terapia con doravirina

I risultati di un test per Hiv e una fiala di sangue

Le persone che vivono con l’Hiv possono essere predisposte a un rischio più elevato di disturbi cardiometabolici come dislipidemia, malattie cardiovascolari e diabete. Infatti, la sindrome metabolica colpisce fino al 52% di questa popolazione. All’Italian Conference on Aids and Antiviral Research (ICAR) 2022 sono state discusse le strategie terapeutiche più adeguate da adottare per i soggetti con Hiv a rischio o con disturbi cardiometabolici, con un particolare focus su doravirina.

«Le comorbidità che si sviluppano nelle persone affette da Hiv sono principalmente diabete (30%), dislipidemia (70%), ipertensione (70%) e malattia cardiovascolare (30%). Nella pratica clinica i pazienti invecchiano e la problematica cardiovascolare, anche se non viene affrontata direttamente dagli infettivologi, viene comunque gestita in modo indiretto, coordinando i regimi terapeutici prescritti da altri specialisti» ha detto Cristina Gervasoni, Dipartimento di Malattie Infettive, Ospedale Luigi Sacco, Milano.

Nel cluster delle malattie cardiometaboliche un’altra problematica comune è l’obesità, associata al diabete, alle multimorbidità, al deficit neurocognitivo e al fegato grasso. L’obesità è un problema prevalente a livello globale, in particolare nei paesi industrializzati, ma lo è ancora di più nelle persone con Hiv che tendono a prendere peso dopo aver iniziato la terapia. La comorbosità comporta necessariamente la polypharmacy, con percentuali che aumentano al crescere dell’età del paziente, fino al 60% nei paesi industrializzati (a titolo di confronto, in Uganda è del 15%).

I nuovi regimi terapeutici per l’Hiv sono meno impattanti sul rischio cardiovascolare, grazie al minor uso di inibitori della proteasi col booster, efavirent ed etravirina. Ultimamente è aumentato l’uso di doravirina, l’ultimo inibitore non nucleosidico entrato in commercio, che per la sua efficacia e per la sua bassa tossicità è stata inserita nelle linee guida sia in regime singolo che combinato. Ulteriori vantaggi sono l’interazione molto bassa con altri farmaci, la possibilità di essere utilizzata in pazienti sia naïve che experienced o pesantemente experienced, di non avere effetti collaterali sul sistema nervoso centrale e di non influire sui lipidi e sul peso corporeo.

Altra peculiarità importante riguarda la combinazione con tenofovir fumarato (TDF), che quando viene usato ad alti dosaggi come nella terapia combinata con gli inibitori della proteasi boosterati o elvitegravir comporta un maggior rischio di interruzione della terapia o di tossicità. L’uso insieme a doravirina consente concentrazioni di tenofovir sovrapponibili a quelle impiegate con gli NN e gli INI, con conseguente riduzione della tossicità renale e ossea.

Viene sfruttato l’effetto statino-like di TDF?
«Premesso che non sarebbe corretto usare un farmaco che non ha l’indicazione come se fosse una statina, di fatto nella pratica clinica spesso le statine prescritte non vengono effettivamente assunte dai pazienti, che privilegiano la terapia antiretrovirale» ha affermato Annalisa Saracino, direttrice U.O. Malattie Infettive Policlinico di Bari. «Quindi in alcuni casi sfruttare questo effetto non è una cattiva idea, forse proprio in quei pazienti che passando a TAF hanno un aumento dei lipidi e che possono sfruttare bene l’effetto reverting qualora ritornino a TDF, come dimostrato in alcuni studi».

«I dati di una coorte olandese mostrano che quando si toglie TAF insieme a un NN e si inseriscono TDF e doravirina si ottiene un beneficio sui lipidi molto importante. Nella pratica clinica personale non sfrutto molto l’effetto statina-like ma sicuramente TDF, almeno allo Spallanzani, rimane di grande utilizzo. Quindi, al di là di questo effetto, in un paziente naïve senza problematiche renali e ossee, TDF insieme a un terzo farmaco non boosterato lo utilizziamo ancora tanto, spesso insieme agli inibitori dell’integrasi» ha osservato Roberta Gagliardini dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani

«La nostra esperienza è stata di un switch quasi totale di tutti i pazienti che avevamo in TDF verso TAF, motivato verosimilmente da tutte le problematiche ossee e renali che emergevano nel corso degli anni» ha dichiarato Anna Maria Cattelan, Direttore U.O. Complessa Malattie Infettive e Tropicali, Az. Ospedaliera di Padova. «Adesso siamo un po’ tornando indietro, alla luce anche dei dati che mostrano come effettivamente il danno renale osseo è maggiore nelle combinazioni che vedono TDF con inibitori della proteasi rispetto all’integrasi o all’NN per cui, soprattutto in pazienti giovani che non hanno problematiche di tipo renale o osseo il TDF è tornato a essere una possibile opzione terapeutica».

Come affrontare le problematiche lipidiche
Doravirina, come emerso dai trial DRIVE-AHEAD, DRIVE-FORWARD E DRIVE-SHIFT comporta un minore impatto sui lipidi, ha continuato Cattelan.

I risultati di DRIVE-AHEAD a 48 settimane nel confronto testa a testa doraviriva vs efavirenz hanno mostrato un profilo lipidico significativamente migliore per doravirina, soprattutto riguardo al colesterolo LDL e non HDL, un effetto neutrale sui lipidi che si mantiene anche a 96 settimane

In DRIVE-FORWARD doravirina, confrontata con darunavir boosterizzato ritonavir, ha nuovamente mostrato una superiorità nei confronti del colesterolo LDL e non HDL a 48 settimane, confermata anche alle settimane 96 e 192. Va comunque tenuto presente che spesso si tratta di variazioni di pochi mg/dl, una differenza che non necessariamente condiziona la scelta terapeutica.

Il trial DRIVE-SHIFT ha valutato lo switch verso doravirina/3TC/TDF immediato o dopo 24 settimane da pazienti che provenivano sostanzialmente da regimi in triplice terapia, con PI boosterato e backbone nucleosidico o da NR e ritegravir boosterato. Dopo 24 settimane, nel gruppo che proveniva dall’inibitore della proteasi boosterato  darunavir o ritonavir, il passaggio a doravirina ha migliorato anche in questo caso il profilo lipidico, specificamente colesterolo LDL e non HDL. Questo risultato si è confermato dopo 144 settimane.

Un studio di real life su un piccolo campione ha valutato i livelli lipidici sia al momento dello switch da FTC/TAF a DOR/3TC/TDF che nei sei mesi precedenti il cambio di terapia, rilevando una riduzione significativa dei trigliceridi e del colesterolo totale dopo lo switch, livello che invece erano stabilmente più elevati nei sei mesi precedenti allo switch.

«La nostra esperienza su 18 pazienti con più di 50 anni, con multimorbidità e polypharmacy, passati a dolutegravi/doravirina da regimi prevalentemente contenenti inibitori della proteasi, dopo 3 mesi non mostra ancora variazioni significative dell’assetto lipidico, anche se si evince un trend in diminuzione» ha riportato Cattelan. «In un altro studio che abbiamo condotto in collaborazione con altri centri italiani su 132 pazienti con età superiore ai 50 anni passati a doravirina (nel 41% dei casi associata a un PI), dopo 24 settimane si osserva una riduzione significativa sia del colesterolo che dei trigliceridi».

Come gestire l’aumento del peso corporeo
Il problema del peso corporeo è molto sentito a tutte le età, dal giovane per una questione fisica prestazionale al paziente più avanti negli anni, quando un eccesso di peso si associa a un aumentato rischio cardiovascolare

I dati in letteratura hanno evidenziato come la categoria degli inibitori dell’integrasi (INSTI) sia quella associata ai maggiori incrementi di peso e fra questi dolutegravir ha il maggior impatto, seguito da raltegravir.

Negli studi che hanno valutato doravirina come terzo farmaco in confronto a efavirenz e darunavir, la variazione del peso non è stata significativamente differente fra i gruppi a 48 e 96 settimane.

Nello studio DRIVE-SHIFT, il dato a 144 settimane ha invece mostrato con doravirina una riduzione della percentuale di pazienti (dal 49 al 38%) che non hanno modificato il loro peso corporeo e un lieve incremento di quanti hanno avuto un incremento dello 0-5% e soprattutto del 5-10%. «L’aumento di peso con doravirina è complessivamente modesto dopo 144 settimane, inferiore mediamente a 1 kg a 6 e 12 mesi dopo lo switch e tra 1,2 e 1,4 kg dopo più di due anni» ha fatto presente Cattelan. «L’aspetto importante che più del 70% per cento dei pazienti ha avuto comunque un incremento di peso inferiore al 5%, Nel nostro studio di real life con doravirina in soli tre mesi abbiamo avuto un risultato significativo in termini di riduzione del BMI e della circonferenza della vita».

Razionale di doravirina in presenza di resistenze
«È fondamentale conoscere bene il profilo di resistenza a doravirina che è abbastanza unico, dal momento che la cross-resistenza con gli altri NNRTI è limitata solo ad alcune mutazioni, ma soprattutto c’è sensibilità in presenza di mutazioni chiave quali la 103n, la 138 e la 181. Questo significa che in questi casi abbiamo la possibilità di utilizzare ancora il farmaco, anche perché sappiamo che in realtà per avere una resistenza ad alto titolo spesso non è sufficiente un’unica mutazione» ha osservato Annalisa Saracino. «In genere il patten prevalente che dobbiamo imparare a riconoscere è l’associazione della mutazione v106A/I/M seguita da una mutazione in posizione 227. Nel paziente naïve la presenza di mutazioni associate a resistenza a doravirina è abbastanza bassa (1,4%)».

Un studio sulla coorte ARCA, che ha valutato la probabilità in soggetti precedentemente trattati con NN di avere una resistenza di grado intermedio o alto, quindi con mutazioni in posizione 188, 230 e 190 e l’associazione con la 106, 227 o 234, su una casistica di quasi 7.000 pazienti ha rilevato una resistenza di livello intermedio intorno al 12% e una di alto grado del 6%.

«Bisogna verificare bene la storia di pregressi fallimenti valutando con attenzione il genotipo storico, perché probabilmente molto può essere recuperato e non dobbiamo precluderci un’opzione terapeutica in presenza di mutazioni che non sono associate a resistenza a doravirina, sfruttandone il profilo un po’ particolare fra gli NNRTI» ha aggiunto.

«Quando parliamo di resistenze, va assolutamente valutato il caso paziente per paziente, però secondo me doravirina si sta posizionando come uno strumento utile che si aggiunge ai PI o agli INSTI per costruire un regime specifico per i pazienti con più resistenze» ha affermato Roberta Gagliardini.

Qual è il paziente ideale per lo switch a DOR/TDF/3TC?
Nei trial clinici è stato ben studiato lo switch da PI boosterato e da NN, in particolare efavirenz che notoriamente ha un impatto non trascurabile sui lipidi, ha continuato Gagliardini.

Lo Spallanzani sta valutando oltre 500 pazienti experienced switchati a DOR/TDF/3TC soprattutto da NN, in particolare rilpivirina, con l’obiettivo di ridurre le restrizioni legate al cibo, diminuire o prevenire le eventuali interazioni e per la barriera genetica. I dati preliminari sono riferiti ai primi 241 pazienti, con età mediana di 47 anni, soprattutto maschi, con qualche caso di co-infezione con epatite B, una storia di malattia con una mediana di più di dieci anni e con un buon recupero immunologico.

Il dati relativi al profilo viro-immunologico ed ematochimico evidenziano l’assenza di variazioni clinicamente significative della creatinina e della proteinuria. Il profilo lipidico è rimasto stazionario dopo lo switch senza variazioni significative di LDL, colesterolo totale e trigliceridi nell’analisi a 12 mesi. I CD4 hanno mostrato un lieve aumento senza particolare rilevanza clinica e si sono verificati solo 4 fallimenti virologici senza mutazioni di resistenza al fallimento.

Una coorte olandese di oltre 300 pazienti che venivano soprattutto da regimi con TAF e passati a doravirina ha rilevato il mantenimento dell’efficacia virologica, una sostanziale stabilità della creatinina e un vantaggio significativo nei valori di LDL. In aggiunta gli autori hanno dimostrato un vantaggio farmacoeconomico con un’importante riduzione dei costi.

«Unendo i risultati di queste due ultime esperienze possiamo affermare che la nostra valutazione di real life non ha mostrato cambiamenti significativi dal punto di vista del profilo renale e lipidico a seguito dello switch a DOR/TDF/3TC» ha commentato Gagliardini. «Da notare che il banco di prova era forse tra i più difficili, dato che abbiamo switchato pazienti che di fatto facevano uno dei regimi più tranquilli dal punto di vista di queste tossicità perché erano già in terapia con TDF e rilpivirina, quindi non abbiamo potuto osservare quel beneficio sul profilo lipidico che era stato dimostrato negli studi dove la popolazione proveniva da PI».

«Riassumendo abbiamo un farmaco in più nell’armamentario terapeutico, che ci permette di costruire regimi standardizzati per pazienti naïve e pazienti in prime linee terapeutiche ma anche un regime personalizzato nei pazienti più complessi, anziani o con storie di fallimento» ha concluso Cristina Gervasoni.