Intolleranza alle statine: nuove raccomandazioni della NLA


La National Lipid Association (NLA) statunitense ha aggiornato la sua dichiarazione scientifica  e le linee guida sull’intolleranza alle statine

L'uso di statine tra i pazienti con insufficienza cardiaca è associato a un rischio inferiore del 16% di sviluppare il cancro rispetto ai non utilizzatori

La National Lipid Association (NLA) statunitense ha aggiornato la sua dichiarazione scientifica sull’intolleranza alle statine con una definizione rivista del concetto e ha emanato nuove linee guida sulla gestione dei pazienti con intolleranza alle statine vera o parziale. I documenti, presentati alle NLA Scientific Sessions, sono stati pubblicati online sul “Journal of Clinical Lipidology”.

La dichiarazione scientifica definisce l’intolleranza alle statine come «uno o più effetti avversi associati alla terapia con statine che si risolvono o migliorano con la riduzione della dose o l’interruzione del trattamento e possono essere classificati come una completa incapacità di tollerare qualsiasi dose di statine o come intolleranza parziale, con incapacità di tollerare la dose necessaria per raggiungere l’obiettivo terapeutico specifico del paziente».

Il documento affronta anche l’argomento della prevalenza dell’intolleranza alle statine nella pratica clinica e le prove per l’uso di terapie non statiniche per abbassare le lipoproteine aterogeniche e ridurre gli eventi avversi cardiovascolari (CV), ha spiegato durante una presentazione Kevin C. Maki, presidente e direttore scientifico della Midwest Biomedical Research, docente all’Indiana University School of Public Health, presidente entrante della NLA e senior author della dichiarazione scientifica.

Distinzione tra forme complete e parziali
Dicendo che ‘l’intolleranza alle statine è definita come effetti avversi associati alla terapia con statine’, «non stiamo necessariamente affermando che questi effetti collaterali sono dovuti agli effetti farmacodinamici delle statine”, ha aggiunto Maki. «Per classificare un paziente come intollerante alle statine, si dovrebbero tentare un minimo di due statine, una al dosaggio giornaliero più basso approvato».

La definizione differisce da quella della dichiarazione scientifica della NLA del 2014 in quanto «c’è un continuum: si può avere un’intolleranza completa alle statine con un paziente che non può tollerare alcuna terapia con statine, o un’intolleranza parziale che impedisce al paziente e al clinico di raggiungere l’obiettivo terapeutico» che richiede una discussione clinico-paziente, ha chiarito.

L’intolleranza alle statine il più delle volte è associata a sintomi muscolari correlati alle statine, ma ci possono essere altre ragioni per tali disturbi, ha proseguito Maki, osservando che affrontare i fattori di rischio modificabili potrebbe migliorare l’intolleranza alle statine. Il comitato di scrittura peraltro non ha valutato tale letteratura e non fa espresso raccomandazioni formali.

Da limitare il tempo di esposizione alle lipoproteine aterogeniche
Il documento incoraggia i medici a trovare alternative, a partire da cambiamenti di agenti o dosi, «poiché l’intolleranza completa alle statine è rara nella pratica clinica: meno del 5% dei pazienti in studi randomizzati controllati» ha sottolineato Maki durante la presentazione. «Nella maggior parte dei casi, è possibile trovare un regime di terapia con statine. Potrebbe piuttosto non essere sufficiente per raggiungere l’obiettivo terapeutico».

Ha aggiunto che nei pazienti a rischio di malattia cardiovascolare (CVD) alto o molto alto, «i medici non hanno bisogno di impiegare vari metodi non convenzionali prima di iniziare una terapia non statinica per limitare il tempo di esposizione alle lipoproteine aterogeniche. Molto tempo può essere sprecato cercando di trovare un regime mentre i livelli elevati di lipoproteine aterogeniche stanno determinando un aumento del rischio».

Prevalenza del problema molto bassa
L’intolleranza alle statine è stata segnalata nel 5-30% dei pazienti, a seconda della popolazione studiata, ha detto Maki. «Molti pazienti sperimentano sintomi muscolari durante l’assunzione di placebo, il che indica che è molto probabile che parte di ciò che stiamo vedendo relativo ai sintomi muscolari correlati alle statine non sia legato agli effetti farmacodinamici del farmaco».

Se un paziente non può raggiungere il suo obiettivo terapeutico mediante statine e stile di vita, allora dovrebbe essere considerato per le terapie ipolipemizzanti non statiniche.Ci sono prove che ezetimibe, inibitori PCSK9, gemfibrozil, icosapent etile e colestiramina riducono tutti gli eventi CV abbassando i livelli di lipoproteine aterogeniche, ha affermato.

«In generale, le prove provenienti da studi randomizzati controllati e studi di randomizzazione mendeliana supportano la visione che il rischio di eventi avversi CV è ridotto dalla diminuzione del livello plasmatico di lipoproteine aterogeniche e che il beneficio è proporzionato sia al grado di riduzione che al periodo di tempo in cui viene mantenuto il livello più basso, per cui “lower for longer is better”» ha concluso Maki.

Bibliografia: 
Cheeley MK, Saseen JJ, Agarwala A, et al. NLA scientific statement on statin intolerance: a new definition and key considerations for ASCVD risk reduction in the statin intolerant patient. J Clin Lipidol, 2022 Jun 8. doi: doi.org/10.1016/j.jacl.2022.05.068. [Epub ahead of print] Link