Tumore al colon: ecco quando si può evitare la chemioterapia


Tumore del colon: il risultato della misurazione del DNA tumorale circolante (ctDNA) con la biopsia liquida dopo la resezione chirurgica può evitare la chemioterapia

Uno studio italiano ha confermato la validità degli organoidi per la ricerca oncologica, almeno nel caso del cancro del colon-retto

Nei pazienti con tumore del colon in stadio II, il risultato della misurazione del DNA tumorale circolante (ctDNA) con la biopsia liquida dopo la resezione chirurgica può essere efficacemente utilizzato per ridurre il ricorso alla chemioterapia adiuvante, senza ridurre i tassi di sopravvivenza libera da recidiva (RFS). Sono le conclusioni dello studio di fase 2 DYNAMICS, i cui risultati sono stati presentati al meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) e pubblicati in contemporanea sul New England Journal of Medicine.

Infatti, la percentuale di pazienti trattati con la chemioterapia adiuvante è risultata inferiore nel braccio gestito in base alla presenza di ctDNA rispetto al braccio in cui la decisione se fare o meno il trattamento adiuvante era basata sui fattori clinici standard: 15 % contro 28% (rischio relativo [RR] 1,82; IC al 95% 1,25-2,65).

Nonostante il minor numero di pazienti trattati con terapia adiuvante nella coorte in cui la decisione sulla terapia adiuvante dipendeva dal risultato della biopsia liquida, i tassi di RFS a 2 anni sono risultati simili nei due bracci: rispettivamente, 93,5% e 92,4% (IC al 95% da -4,1 a 6,2). Lo stesso dicasi per i tassi di RFS a 3 anni, risultati rispettivamente del 91,7% e 92,4% (HR 0,96; IC al 95% 0,51-1,82).

Inoltre, gli sperimentatori hanno osservato che i pazienti positivi per il ctDNA hanno avuto esiti migliori quando sono stati trattati con una doppietta a base di oxaliplatino rispetto a una monoterapia con fluoropirimidina.

«La strategia di utilizzare i risultati del ctDNA per scegliere il trattamento ha quasi dimezzato il numero di pazienti che hanno effettuato la chemioterapia dopo l’intervento: dal 28% al 15%. Nei pazienti affetti da tumore del colon in stadio II, la valutazione del ctDNA dopo l’intervento chirurgico consente di fare una previsione più accurata del rischio di recidiva e di selezionare in modo più preciso i pazienti che devono sottoporsi alla terapia post-chirurgica», ha dichiarato l’autrice principale dello studio Jeanne Tie, del Walter and Eliza Hall Institute of Medical Research e il Peter MacCallum Cancer Center di Victoria (Australia). «Nonostante la minore percentuale di pazienti che hanno fatto la chemioterapia nel gruppo in cui la decisione si basava sul ctDNA, la probabilità di essere vivi e liberi dal tumore a 3 anni è risultata la stessa della gestione standard».

Lo studio DYNAMIC
DYNAMIC è uno studio multicentrico randomizzato controllato, condotto in Australia e Nuova Zelanda tra il 2015 e il 2019, che ha arruolato pazienti con tumore del colon retto resecato di stadio II.

I partecipanti sono stati assegnati secondo un rapporto di randomizzazione 2:1 a due bracci: uno, costituito da 294 pazienti, in cui la scelta se fare o meno la chemioterapia adiuvante si basava sulla presenza o meno del ctDNA nella biopsia liquida, e il secondo, formato da 147 pazienti, che prevedeva la gestione standard della malattia. Nel primo gruppo, se la biopsia liquida era negativa, i pazienti potevano evitare la chemioterapia adiuvante, se, invece, a distanza di 4 o 7 settimane dall’intervento chirurgico la biopsia liquida rivelava la presenza di ctDNA, i pazienti venivano trattati con chemioterapia adiuvante a base di oxaliplatino o fluoropirimidina.

L’analisi del ctDNA è stata completata per il 99% dei pazienti nel braccio sperimentale (291 su 294) e due pazienti non hanno ricevuto il trattamento guidato dal ctDNA. In questo gruppo, 45 pazienti sono risultati positivi e tutti, tranne uno, sono stati sottoposti alla chemioterapia, mentre tutti i 249 risultati negativi, tranne uno, no.

Le caratteristiche dei pazienti
Le caratteristiche dei pazienti erano ben bilanciate nei due bracci. L’età mediana dei pazienti nello studio era 64 anni, con un 27% di pazienti di età superiore a 70 anni. Il performance status ECOG più frequente era 0 (80%) e i tumori erano equamente distribuiti tra il lato sinistro (46%) e destro (54%) del colon.

Lo stadio del tumore era principalmente T3 (85%), mentre il resto era T4. Altre caratteristiche includevano una scarsa differenziazione del tumore (14%), una resa linfonodale inferiore a 12 (5%), perforazione del tumore (3%), ostruzione intestinale (10%) e invasione dei vasi linfatici o ematici (27%). Il 40% dei pazienti è stato considerato ad alto rischio al basale.

Altri risultati
Il fatto di sapere che i pazienti erano ctDNA-positivi ha comportato un maggior ricorso a una doppietta chemioterapica a base di oxaliplatino. Nel braccio in cui si sceglieva se fare o meno la chemio in base alla presenza o meno del ctDNA, dei pazienti sottoposti effettivamente alla chemio, il 62% è stato trattato con la doppietta a base di oxaliplatino, contro appena il 10% nel braccio standard. In questo secondo braccio, infatti, il 90% dei pazienti è stato trattato con la fluoropirimidina, contro il 38% del braccio sperimentale.

Inoltre, il tempo mediano intercorso tra l’intervento chirurgico e l’inizio della chemioterapia adiuvante è stato più lungo nel braccio in cui il trattamento era deciso in base al ctDNA: 83 giorni, rispetto ai 53 del braccio gestito in modo standard. La durata mediana del trattamento è stata di 24 settimane in entrambi i gruppi e la causa principale di interruzione è stata il completamento del trattamento previsto.

Il minor ricorso alla chemioterapia nei pazienti del braccio gestito in base al risultato della biopsia liquida è stato riscontrato in tutti i sottogruppi di pazienti, ad eccezione di quelli una resa linfonodale inferiore a 12 e di quelli di età superiore a 70 anni, che nel braccio della terapia standard erano sottoposti meno di frequente alla chemioterapia.

La differenza maggiore tra i due bracci nell’uso della chemioterapia, nel senso di un minor numero di pazienti trattati nel braccio in cui la decisione dipendeva dal ctDNA, si è registrata per i pazienti con tumori in stadio T4 (RR 2,57; IC al 95% 1,46-4,50), quelli con caratteristiche di alto rischio (RR 2,14; IC al 95% 1,43-3,21) e quelli con tumori scarsamente differenziati (RR 5,06; IC al 95% 1,02-25,10).

RFS a 3 anni superiore nei pazienti con ctDNA negativo
Nel braccio sperimentale, i pazienti andati incontro a recidiva deceduti sono stati il 6% fra quelli con ctDNA negativo, a fronte del 18% fra quelli con ctDNA positivo. Inoltre, il tasso stimato di RFS a 3 anni è risultato del 92,5% nei pazienti con ctDNA negativo che non hanno effettuato la chemioterapia, a fronte dell’86,4% in quelli con ctDNA , trattati invece con la chemioterapia (HR 1,83; IC al 95% 0,79-4,27).

È stata riscontrata anche una differenza di RFS in base al tipo di chemioterapia utilizzata nei pazienti con ctDNA positivo, con un tasso di RFS a 3 anni del 92,6% per coloro che hanno ricevuto la doppietta a base di oxaliplatino e del 76,0% di quelli trattati con la sola fluoropirimidina.

«I pazienti con ctDNA negativo hanno mostrato un rischio molto basso di ricaduta, nonostante non abbiano ricevuto la chemioterapia, il che suggerisce che è improbabile che la terapia post-chirurgica sia di beneficio per questo gruppo », ha dichiarato la Tie. «L’approccio basato sul ctDNA può ridurre il numero di pazienti trattati con la chemioterapia, senza compromettere il rischio di ricaduta. Dato l’outcome favorevole dei pazienti con ctDNA positivo sottoposti alla chemioterapia, probabilmente questo sottogruppo ben definito di pazienti ad alto rischio trarrà, invece, un beneficio sostanziale dal trattamento».

Ulteriore analisti post-hoc
In un’analisi post-hoc dei dati, gli autori hanno poi cercato di trovare un’associazione tra le caratteristiche cliniche dei pazienti con lo stato del ctDNA, al fine di affinare ulteriormente la selezione dei pazienti da trattare.

Tra i pazienti con ctDNA negativo che non effettuato la chemioterapia, in quelli con caratteristiche cliniche a basso rischio si è registrato un tasso di RFS a 3 anni del 96,7% rispetto all’85,1% in quelli con caratteristiche ad alto rischio (HR 3,04; IC al 95% 1,26-7,34).

Inoltre, sempre fra i pazienti con ctDNA negativo, quelli con tumori in stadio T3 hanno fatto registrare un tasso di RFS a 3 anni del 94,2%, a fronte dell’81,3% in quelli con tumori in stadio T4 (HR 2,60; IC al 95% 1,01-6,71).

L’opinione dell’esperta
«Le biopsie liquide possono essere uno strumento utile per guidare le decisioni terapeutiche», ha dichiarato in un comunicato l’esperta dell’ASCO Cathy Eng, del Vanderbilt-Ingram Cancer Center, di Nashville.

«Grazie ai risultati di questo studio, potremmo ora di utilizzarle per identificare meglio quali pazienti con tumore del colon in stadio II potrebbero beneficiare di un trattamento post-chirurgico con la chemioterapia e a quali, invece, si può risparmiare il trattamento aggiuntivo, senza compromettere la sopravvivenza libera da recidiva».

Bibliografia
J. Tie, et al. Adjuvant chemotherapy guided by circulating tumor DNA analysis in stage II colon cancer: The randomized DYNAMIC Trial. J Clin Oncol. 2022;40 (suppl 17; abstr LBA100). Doi:10.1200/JCO.2022.40.17_suppl.LBA100. Link

J. Tie, et al. Circulating Tumor DNA Analysis Guiding Adjuvant Therapy in Stage II Colon Cancer. N Engl J Med. Published online June 4, 2022. doi: 10.1056/NEJMoa2200075. Link