Cannabis per il dolore cronico tra benefici ed effetti collaterali


Dolore cronico: l’utilità dei prodotti terapeutici a base di cannabis e gli effetti collaterali dipendono dal rapporto tra i cannabinoidi

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Secondo una revisione sistematica pubblicata sulla rivista Annals of Internal Medicine, miscele diverse di cannabinoidi possono essere legate a vari gradi di sollievo dal dolore nei consumatori di prodotti a base di marijuana, ma comportano effetti collaterali di cui i medici devono essere consapevoli per consigliare al meglio i loro pazienti.

Alcuni prodotti possono essere più adatti di altri per migliorare nel breve termine del dolore cronico, a seconda della loro formulazione e del rapporto tra tetraidrocannabinolo (THC) e cannabidiolo (CBD), i due principali cannabinoidi contenuti nella marijuana:

  • Prodotti sintetici con alto THC (>98%) e CBD scarso o assente: moderato miglioramento del dolore, ma aumento del rischio di sedazione e probabile aumento delle vertigini
  • Estratti a prevalenza di THC (rapporto THC/CBD compreso tra 3:1 e 47:1): nessun miglioramento significativo del dolore ma forte aumento del rischio di interruzione dello studio a causa di eventi avversi e vertigini
  • Spray sublinguali con livelli comparabili di THC e CBD: piccolo miglioramento del dolore e della funzionalità complessiva, ma un deciso aumento del rischio di vertigini e di sedazione e un moderato aumento della nausea

«L’evidenza più forte fino ad oggi riguarda i prodotti sintetici con rapporti THC/CBD elevati e gli estratti con rapporti THC/CBD comparabili, che hanno entrambi portato a miglioramenti nella gravità del dolore» hanno scritto il primo autore Marian McDonagh e colleghi della Oregon Health & Science University di Portland. «Le evidenze su altri prodotti a base di cannabis erano insufficienti o carenti».

Una possibile alternativa agli oppiacei?
Gli autori hanno fatto presente la necessità di ulteriori ricerche sulla cannabis, considerato che attualmente sono circa 100 milioni gli statunitensi che soffrono di dolore cronico (definito come dolore che dura da più di 3-6 mesi), che può essere dannoso per la salute fisica e mentale dell’individuo, nonché per la qualità generale della vita.

La crisi degli oppioidi è in continua crescita, dal momento che nel 2021 sono stati registrati 75mila decessi correlati al loro uso rispetto ai 56mila del 2020. Gli esperti hanno previsto oltre 1,2 milioni di decessi legati agli oppioidi nei prossimi 10 anni e hanno fortemente raccomandato la ricerca per individuare trattamenti alternativi per gestire il dolore cronico.

I prodotti a base di marijuana hanno il potenziale per fornire tali alternative ma, anche se la cannabis medica sta diventando sempre più accessibile, le leggi continuano a ostacolare la ricerca sui cannabinoidi. Negli Usa la marijuana medica è legale, con gradi differenti e contrastanti, in 37 stati e nel Distretto di Columbia, ma a livello federale rimane una sostanza inserita nella Tabella I (l’uso della marijuana rimane proibito in virtù del Controlled Substances Act, ancora in vigore. In base a questa norma, la Drug Enforcement Administration classifica la cannabis come una droga ad alto potenziale di abuso e non ne consente l’uso medico).

«Dato il ritmo lento dei trial clinici, riteniamo probabile che i risultati di questo studio saranno la migliore evidenza disponibile per un po’ di tempo» hanno commentato in un editoriale di accompagnamento Kevin Boehnke e Daniel Clauw della University of Michigan Medical School di Ann Arbor. «I farmaci analgesici convenzionali sono efficaci solo in un sottogruppo di persone, quindi non sorprende che molti pazienti siano attratti dai prodotti a base di cannabis ampiamente disponibili. I medici possono assistere, registrare e offrire in modo compassionevole una guida per aiutare i pazienti con dolore cronico a usare questi prodotti nel modo più corretto».

Una revisione della letteratura con molti limiti
I ricercatori hanno condotto una revisione sistematica utilizzando sette studi di coorte e 18 studi randomizzati controllati con placebo, che includevano un totale di quasi 15mila pazienti con dolore prevalentemente neuropatico. Hanno fatto presente la necessità di fare affidamento su studi con importanti limitazioni metodologiche, eterogeneità dei prodotti utilizzati e con una segnalazione insufficiente di alcuni eventi avversi chiave, come psicosi, disturbo da uso di cannabis e deficit cognitivi.

«Queste limitazioni sono ben documentate nella letteratura sui cannabinoidi e sul dolore cronico e sono in parte dovute alle politiche della ‘guerra alla droga’ che hanno favorito in modo schiacciante lo studio dei danni correlati alla cannabis rispetto agli effetti terapeutici» hanno scritto Boehnke e Clauw. «Purtroppo, questo significa che questa revisione ben condotta ha trovato una quantità limitata di evidenze generalizzabili per informare l’uso a lungo termine dei prodotti a base di cannabis disponibili per il dolore cronico, che rappresenta il motivo più comune per la licenza per la cannabis medica negli Stati Uniti».

Gli autori dello studio hanno concluso che i prodotti sintetici a base di cannabis per via orale con rapporti THC/CBD elevati e i prodotti sublinguali con rapporti THC/CBD comparabili possono essere associati a miglioramenti a breve termine del dolore cronico e all’aumento del rischio di vertigini e sedazione. Sono necessari studi sui risultati a lungo termine e un’ulteriore valutazione degli effetti della formulazione del prodotto.

Bibliografia

McDonagh MS et al. Cannabis-based products for chronic pain” Ann Intern Med 2022.

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