Parità di genere: in Italia solo il 3% le donne CEO


Parità di genere: in Italia solo il 3% le donne CEO. Il 55% dell’occupazione femminile giovanile è concentrata nelle mansioni esecutive di ufficio, nel commercio e nei servizi

donne CEO

La strada per la parità di genere in Italia è ancora lunga: tutti gli indicatori vanno nella stessa direzione, a partire dal tasso di occupazione. L’occupazione femminile si aggira intorno al 50%: in Francia è del 65% e in Germania supera il 73%. Il problema non riguarda però solo l’accesso all’occupazione, ma anche le condizioni di lavoro. Infatti, esse scontano tutta una serie di penalizzazioni nel mondo del lavoro, che persistono da lungo tempo e sono interrelate fra loro: le forme contrattuali instabili, il part time involontario, la sovraistruzione (disallineamento tra formazione e occupazione), il divario retributivo, e la segregazione professionale.

Se n’é parlato nei giorni scorsi durante il talk “Da venti a trenta” dedicato al punto 5 dell’Agenda 2030 sull’uguaglianza di genere, che si è svolto al Centro Commerciale Euroma2 di Roma. L’incontro fa parte della terza edizione di “Fai la Differenza, c’è… Il Festival della Sostenibilità”, organizzata dall’Associazione Sportiva Dilettantistica Sunrise 1, in collaborazione con tante altre associazioni in network. L’appuntamento, che ha vinto l’Avviso Pubblico “Estate Romana” per il triennio 2020 – 2022, prevede una serie di iniziative che hanno sposato la filosofia della sostenibilità, attraverso, l’intrattenimento green / educational, la cultura, l’arte, l’artigianato e l’innovazione.

LA SEGREGAZIONE OCCUPAZIONALE – Tornando alle diseguaglianze di genere, a livello verticale, secondo l’European Women on Boards del 2022, è del 35% la quota femminile nei Consigli di amministrazione di aziende, quotate e non, nel 2021. Solo il 3% invece le donne Ceo, contro il 4% nel 2020. Da un punto di vista orizzontale, secondo l’Istat (2013), per descrivere il 50% dell’occupazione maschile servono 51 professioni, mentre per descrivere il 50% di quella femminile ne bastano 18, contro le 22 nel 2002.

“Come è noto la segregazione occupazionale è sia orizzontale (ovvero la concentrazione in alcuni ambiti e settori lavorativi), sia verticale (concentrazione in alcuni livelli della scala gerarchica). Nel nostro Paese la segregazione di genere nel mercato del lavoro è accentuata – dichiara la Dott.ssa Federica Volpi, ricercatrice nell’Area Studi e Ricerche delle ACLI – a livello verticale l’accesso alle posizioni apicali resta per le donne molto complicato, malgrado la quota attuale risenta positivamente dell’effetto della cosiddetta “Legge Golfo-Mosca”, che ha introdotto circa dieci anni fa nel nostro ordinamento l’obbligo di equilibrare le rappresentanze di genere negli organi di governo e di controllo – consigli di amministrazione e collegi sindacali – delle società quotate in borsa. A livello orizzontale la concentrazione in alcuni ambiti pare addirittura accentuarsi anziché ridursi nel tempo. Ma poi esistono tutta una serie di micro-aggressioni cui le donne sono sottoposte nel mondo del lavoro, dalle forme più gravi come le molestie sessuali, fino a quelle di recente anche molto studiate, come, ad esempio, il mansplanning, il tone policing, il mobbing, l’essere ignorate nel contesto lavorativo, o svalorizzate rispetto al contributo dato, l’essere chiamate per nome, fatte oggetto di allusioni sessuali, ecc.”

LE NUOVE GENERAZIONI – “Certamente le donne appartenenti alle giovani generazioni hanno un atteggiamento diverso: sono più istruite (anzi, ormai hanno superato da tempo i coetanei come presenza fra i laureati) e le aspirazioni professionali sono inscritte stabilmente nel proprio orizzonte di vita – prosegue la Dott.ssa Volpi (Federica Volpi, Non adesso, non ancora. La difficile parità di genere tra vita e lavoro, Aracne editrice, Roma 2021) – Ma anche loro si scontrano con una serie di limitazioni ed ostacoli che spesso ne impediscono la realizzazione, in parte condivisi con i coetanei, in parte specificamente legati al genere. Di fatto, sussistono penalizzazioni e fattori di condizionamento classici che influiscono sui loro percorsi, come ad esempio, la già citata segregazione professionale. I dati di una ricerca che ho seguito personalmente negli ultimi anni, che ha coinvolto giovani italiani residenti in patria o all’estero, mostra che anche le giovani donne sono alle prese, ad esempio, con la segregazione professionale. Se nelle professioni ad elevata specializzazione le giovani donne del campione hanno quasi colmato il gap, circa il 55% dell’occupazione femminile giovanile è concentrato nelle mansioni esecutive di ufficio, nel commercio e nei servizi: quindi le occupazioni classiche per le donne”.