Psoriasi a placche: nuovi dati sull’efficacia della cura con risankizumab


Psoriasi a placche da moderata a grave con un precedente fallimento della terapia biologica: con risankizumab miglioramento significativo

Psoriasi a placche: miglioramenti nei pazienti con l'agente sperimentale tapinarof in crema ma con diversi effetti collaterali

I pazienti del mondo reale con psoriasi a placche da moderata a grave con un precedente fallimento della terapia biologica hanno ottenuto con risankizumab un miglioramento significativo, abbinato a un profilo di sicurezza adeguato. Sono i risultati di uno studio italiano pubblicato sulla rivista Dermatologic Therapy.

Grazie ai recenti progressi compiuti nella comprensione della patogenesi della psoriasi, in particolare dell’asse dell’interleuchina (IL)-23/17, sono emerse diverse nuove opzioni di trattamento. Una delle numerose terapie biologiche approvate dalla Fda che si sono dimostrate efficaci per il trattamento della psoriasi da moderata a grave è risankizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato che prende di mira specificamente la IL-23, legando la sua subunità p19.

«La disponibilità di ben 11 biologici, la necessità di un trattamento su misura, così come l’importanza delle comorbidità e dei possibili eventi correlati ai farmaci biologici, come l’artrite psoriasica paradossale o le eruzioni eczematose paradossali, può ancora rappresentare una sfida terapeutica» hanno scritto gli autori dello studio. «Questo è particolarmente vero in contesti di vita reale, che affrontano pazienti più complicati rispetto ai trial clinici, per via delle numerose comorbidità, della polifarmacia e dei frequenti precedenti fallimenti delle terapie biologiche».

Uno studio retrospettivo condotto in Italia
I ricercatori hanno condotto uno studio retrospettivo monocentrico per valutare l’efficacia e la sicurezza di risankizumab in un contesto reale. Hanno inoltre esaminato se il precedente fallimento (primario o secondario) di uno o più farmaci anti-IL17 (brodalumab, ixekizumab e/o secukinumab) avrebbe compromesso l’efficacia del farmaco.

L’analisi retrospettiva ha interessato un arco di 52 settimane e ha coinvolto un totale di 39 pazienti (età media 50,5 anni, per il 66,7% maschi) con psoriasi da moderata a grave, sottoposti al trattamento con risankizumab, che afferivano al ​​Centro di Dermatologia per la cura della psoriasi dell’Università Federico II di Napoli da maggio 2019 a gennaio 2022.

Al basale, i partecipanti hanno fornito informazioni su dati demografici (età, sesso) e caratteristiche cliniche, inclusa la durata della malattia, la durata dell’artrite psoriasica (se presente), la gravità della psoriasi attraverso l’area della superficie corporea coinvolta (BSA), lo Psoriasis Activity Severity Index (PASI), il Nail Psoriasis Severity Index (NAPSI), le comorbidità e il trattamento precedente/attuale della psoriasi.

La gravità della malattia cutanea misurata tramite gli indici PASI, BSA e NAPSI, è stata valutata a ogni visita di follow-up (settimana 4, settimana 16, settimana 28, settimana 40 e settimana 52).

«La mancanza primaria di efficacia è stata definita in presenza di una risposta clinica inferiore al PASI 75 dopo 16 settimane di trattamento, mentre la mancanza secondaria di efficacia come la valutazione di un miglioramento inadeguato inferiore al PASI 75 dopo una risposta clinica iniziale a 16 settimane» hanno spiegato gli autori. «La sicurezza è stata valutata sulla base degli eventi avversi emergenti dal trattamento, dagli esami fisici e dal monitoraggio di laboratorio».

Della coorte di studio, 15 pazienti (38,5%) erano affetti da artrite psoriasica e 9 i (23,1%) avevano un coinvolgimento delle unghie, con un PASI medio di 13,7, BSA media di 21,9 e NAPSI medio di 9,3. Tutti i soggetti avevano sperimentato un fallimento del trattamento con almeno un farmaco anti-IL17, in particolare 26 (66,7%) con ixekizumab, 24 (61,5%) con secukinumab, 7 (17,9%) sia con secukinumab che con ixekizumab e 2 (5,1%) con brodalumab.

Miglioramenti dopo il fallimento di altri biologici 
L’analisi ha evidenziato una riduzione statisticamente significativa degli indici PASI e BSA a ogni visita di follow-up nei pazienti sottoposti a risankizumab, oltre a un miglioramento significativo del coinvolgimento delle unghie dopo la settimana 16:

  • PASI medio al basale rispetto alla settimana 52: 13,7 vs 0,9, P<0,0001
  • BSA medio al basale rispetto alla settimana 52: 21,9 vs 1,9, P<0,0001
  • NAPSI medio al basale di 9,3, alla settimana 16 di 4,1 e alla settimana 52 di 1,4 (P<0,0001)

Non sono stati rilevati casi di eventi avversi gravi con l’interruzione del trattamento per inefficacia primaria e secondaria rispettivamente in 1 (2,6%) e 3 (7,7%) pazienti.

«I nostri risultati hanno confermato l’efficacia e la sicurezza di risankizumab, suggerendo che questo farmaco biologico sia un’arma preziosa nei pazienti con psoriasi da moderata a grave che non rispondono alla terapia anti-IL17. Inoltre il passaggio dal precedente trattamento non sembra influenzare l’efficacia di risankizumab, confermando quanto emerso in studi precedenti» hanno concluso i ricercatori. «Sono necessarie ulteriori ricerche per confermare questi risultati, nonché per ottenere dati a supporto del miglior algoritmo di selezione della terapia biologica basato sull’evidenza.

Bibliografia

Megna M et al. Risankizumab treatment in psoriasis patients who failed anti-IL17: A 52-week real-life study. Dermatol Ther. 2022 Apr 19;e15524. 

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