Privacy e identità digitale: una sentenza rivoluziona tutto


Privacy e identità digitale: sentenza rivoluzionaria del Tribunale di Milano che ha autorizzato una donna ad entrare in possesso dei beni digitali del defunto marito

meliti privacy

E’ di pochi giorni fa il provvedimento emesso dal Tribunale di Milano che ha autorizzato una donna ad entrare in possesso dei beni digitali del defunto marito, ossia account, I-Cloud e contenuti dei suoi profili social. Una decisione che coinvolge numerosi interessi ma che rischi di minare le esigenze di tutela della privacy. Il caso riguarda una madre che, agendo nell’interesse dei figli minori, aveva chiesto al Tribunale l’autorizzazione ad ottenere da APPLE, MICROSOFT e META PLATFORM (WhatsApp) le chiavi di accesso degli account e dell’I-Cloud del marito deceduto dopo che le tre società, per ragioni di privacy, avevano negato il benestare in assenza di una autorizzazione del Tribunale. La donna, difesa dal matrimonialista Marco Meliti ha vinto la sua battaglia.

« La decisione del Tribunale di Milano risponde certamente ad un interesse meritorio di tutela dei figli minori, ma allo stesso tempo evidenzia una falla normativa nel sistema di protezione post mortem dei dati contenuti nei nostri account- spiega Marco Meliti, presidente dell’Associazione nazionale Diritto e Psicologia della Famiglia, DPF-  Infatti, non è sufficiente sottoscrivere al momento dell’apertura di un account le clausole generali di contratto per precludere agli eredi, per ragioni familiari meritevoli di protezione, la possibilità di accedere all’archivio digitale del de cuius, in quanto occorre che tale volontà risulti in maniera specifica ed inequivoca, magari attraverso l’approvazione espressa di una apposita clausola. Naturalmente, poiché una volta ottenute le chiavi di accesso si entra in possesso in maniera indiscriminata di tutto quanto custodito nell’account, occorrerà poi utilizzare i dati del defunto per le sole finalità riconosciute meritorie dal Tribunale, dovendo in caso contrario rispondere dell’uso illegittimo fatto delle notizie apprese».