Delitto di Arce: la morte di Serena Mollicone resta un mistero


Tutti assolti per il delitto di Arce, ma Serena Mollicone e il papà Guglielmo non riposano in pace: 16 mesi e 50 udienze non sono bastate a svelare il mistero di 21 anni fa

serena mollicone

Tutti assolti “per non aver commesso il fatto”. L’ex maresciallo Franco Mottola, per il quale erano stati chiesti 30 anni di reclusione, il figlio Marco, per lui la richiesta era di 24 anni, della moglie Anna Maria, 21, non hanno ucciso Serena Mollicone e non ne hanno occultato il cadavere. Assolti anche il luogotenente Vincenzo Quatrale, per il quale erano stati chiesti 15 anni per l’accusa di concorso in omicidio volontario e istigazione al suicidio del collega brigadiere Santino Tuzi, suo grande amico, e assolto anche l’appuntato scelto Francesco Suprano, per il quale erano stati chiesti 4 anni con l’accusa di favoreggiamento. Lo ha deciso la Corte di Cassazione di Cassino, azzerando indagini e accuse.

Se Guglielmo Mollicone fosse stato ancora tra noi, spiega la Dire (www.dire.it), con tutta probabilità oggi avrebbe accolto la sentenza sì con rabbia e toni duri, ma anche con la dignità che lo ha sempre contraddistinto. Il papà di Serena Mollicone non ha mai smesso di lottare per avere giustizia per la morte della figlia. Guglielmo aveva sempre detto che il segreto della scomparsa e poi della morte di Serena erano da ricercarsi all’interno della Caserma di Arce, l’udienza di oggi al Tribunale di Cassino, che ha assolto tutti gli imputati non ha messo la parola fine sulla vicenda iniziata 21 anni fa. Non sono bastati 16 mesi e oltre 50 udienze per fare luce su chi e come abbia messo fine alla vita di questa giovane ragazza. Suo padre, Guglielmo, è venuto a mancare il 21 maggio del 2020, a fine novembre del 2019 era stato colpito da arresto cardiaco: finito in coma, non si era più ripreso. Ora è sepolto nel cimitero di Roccadarce, vicino alla figlia Serena e alla moglie Bernarda. Ma la ricerca della verità non si è mai fermata, portata avanti dal fratello Antonio, dall’altra figlia Consuelo e da Maria Tuzi, la figlia del brigadiere Santino, l’altra vittima di questa storia.

ANCORA NESSUNA RISPOSTA AL DELITTO MOLLICONE

Ora questa sentenza, letta quasi sottovoce dal giudice, ma accolta da urla e pianti di gioia mista a dolore in tribunale, non mette un punto sulla vicenda. Anzi, apre una voragine nella vicenda della ragazza. Serena aveva 18 anni quando sparì nel nulla. La giovane di Arce, provincia di Frosinone, quella mattina dell’1 giugno del 2001 era uscita per andare dal dentista a Sora, ad una ventina di chilometri da casa. Quello che avvenne nelle ore successive da allora è avvolto nel buio. Si rincorsero voci, spuntarono testimoni che dissero di averla vista tornare in pullman, se non hai una auto privata quello è l’unico mezzo che ti consente di coprire quel tratto, altri affermarono con certezze che fosse in compagnia di un ragazzo biondo al bar Chioppetelle a Fontana Liri. Quest’ultimo è un particolare non di poco conto, visto che proprio la persona che sarebbe stata vista con Serena, secondo alcuni testimoni, era proprio Marco Mottola, riconosciuto, sempre secondo qualcuno, anche per la macchina parcheggiata di fronte al bar, stesso modello della sua. Riconosciuto ma poi no e di nuovo si, in un susseguirsi di affermazioni, smentite e poi di nuovo altre conferme. Serena fu ritrovata dopo due giorni di intense ricerche, il suo corpo era nascosto in un boschetto a circa 10 chilometri da Arce. La ragazza era legata, mani e piedi, la testa avvolta in un sacchetto di plastica. “Quando arrivai in zona, vidi tanta gente in quel punto e capii che avevano ritrovato Serena morta”, ricordava papà Guglielmo in una delle tante interviste. Il ritrovamento di Serena non fu però l’unico dolore per Guglielmo Mollicone. Proprio il giorno dei funerali della figlia, fu prelevato dai Carabinieri durante la veglia al corpo della figlia: fu trattenuto per ore in caserma, ma solo per firmare dei documenti.

FATTI

Per un periodo seppur breve, proprio questo fatto accese su di lui i riflettori, si pensò fosse responsabile della morte della figlia. Dopo papà Guglielmo, toccò a Carmine Belli, carrozziere di Arce, finire nel mirino. Fu accusato, ingiustamente, della morte di Serena, finì anche in carcere per oltre un anno prima di essere scarcerato e assolto. Guglielmo Mollicone era stato sempre chiaro e diretto: il segreto della scomparsa di Serena era nella caserma di Arce. Perché lì, secondo l’accusa, era andata la ragazza, si disse per andare a denunciare lo spaccio di droga nel piccolo paese del frusinate, invece pare fosse andata a recuperare i libri di scuola rimasti nella macchina di Marco Mottola. Questo perché proprio il figlio dell’ex maresciallo di Arce, l’avrebbe effettivamente accompagnata verso casa, presumibilmente dal bar Chioppetelle. Questo sosteneva l’accusa. Entrata in caserma, ancora la ricostruzione dei fatti, salita nell’appartamento abitato dalla famiglia Mottola, non ne sarebbe più uscita. Avrebbe avuto un litigio con Marco, che l’avrebbe colpita facendola sbattere contro una porta, poi spostata in un’altra stanza ma che sarebbe compatibile con il volto della ragazza. Secondo l’accusa, il suo corpo, sembra ancora in vita, fu poi portato nel boschetto dell’Anitrella. Della sua presenza nella Caserma dei Carabinieri di Arce, notizia che costituì la svolta per l’intera vicenda, ne parlò il carabiniere Santino Tuzi, 7 anni dopo la morte di Serena, ufficialmente morto suicida l’11 aprile 2008 con la sua pistola d’ordinanza. La morte di Tuzi, anche, suscitò dubbi: pochi giorni prima aveva parlato con gli inquirenti, confermando la presenza di Serena in Caserma.

L’INTERVENTO DEI RIS

Tanti anni di indagini, poi quella che sembrava essere la svolta grazie anche al lavoro dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo e del Ris dei Carabinieri di Roma, che hanno consentito al corpo di Serena di ‘parlare’: dopo aver riesumato il corpo della giovane, grazie al lavoro dell’anatomopatologa, è emerso che la giovane sarebbe stata uccisa perché appunto colpita e dopo essere finita con la testa contro una delle porte della caserma. Questo, sembrava fosse lo scenario che avrebbe poi portato alla morte di Serena. Ma ora la sentenza che assolve tutti, i Mottola “per non aver commesso il fatto”, gli altri due imputati “perché il fatto non sussiste” non risponde a quello che papà Guglielmo ed una intera comunità, quella di Arce e Roccadarce, chiedevano e urlano ancora oggi a gran voce: “Verità e giustizia per Serena”.