Innovazione: Italia bocciata nel white paper di Cefriel


L’Italia al quintultimo posto nell’ecosistema dell’innovazione. Cefriel indica la strada: “Il cambiamento deve partire dai vertici aziendali”

I giovani startupper e gli imprenditori il 16 e 17 dicembre 2021 incontreranno manager ed esperti di innovazione all’interno dell’ottava edizione di SMAU Napoli

Secondo il Rapporto 2022 “Super Smart Society: verso un futuro più sostenibile, resiliente e umano centrico”, realizzato dalla Innotech Community di The European House – Ambrosetti, l’Italia è al quintultimo posto per quanto riguarda la performance complessiva dell’innovazione, a grande distanza da Francia e Germania. Dal rapporto emerge che il nostro Paese è frenato per quanto riguarda la capacità di costruire un solido ecosistema dell’innovazione.

Le ragioni di questa mancata crescita sono da ricercarsi sia nelle politiche pubbliche che negli atteggiamenti delle imprese stesse. Tra questi, secondo Cefriel, centro di innovazione digitale che opera da oltre trent’anni, è possibile identificare una lista di veri e propri “nemici dell’innovazione”. 

In primis, si legge nel white paper “L’impresa innovativa” scritto da Nadia Fabrizio, Alfonso Fuggetta, Sonia Montegiove e Laura Sfardini, c’è una sbagliata sovrapposizione tra l’ambito della ricerca e quello dell’innovazione, per cui spesso si tende a confonderle. In realtà, la ricerca è la creazione di conoscenza, mentre l’innovazione deve avere impatto, non necessariamente o unicamente dal punto di vista economico, sul mercato e sulla società. L’una è necessaria all’altra, ma si tratta di due cose molto diverse, che coinvolgono persone, strumenti finanziari e modelli organizzativi differenti. “Uno degli snodi centrali da affrontare nel nostro Paese – dice Alfonso Fuggetta, amministratore delegato e direttore scientifico di Cefriel – è sicuramente quello di passare dall’intento all’impatto, ovvero dal desiderio, dalle dichiarazioni di principio e di indirizzo politico a favore dell’innovazione, ad azioni concrete da realizzare insieme a imprese e PA”.

Un altro ostacolo all’innovazione è la concezione stessa che si ha di questo concetto, per cui spesso si pensa che fare innovazione sia acquistare tecnologia digitale. Ma innovare non è solo “comprare qualche tecnologia o strumento”. Innovare richiede una coerente evoluzione dell’impresa che coinvolga tutte le sue dimensioni: organizzazione, modelli di lavoro, competenze, ruoli, ma anche struttura dell’offerta e modello di presenza sul mercato.

Tra i problemi anche quello che vede un’impresa, anche la più innovativa, tentare di svilupparsi in un mercato immaturo. Da questo punto di vista, le imprese devono essere le prime a richiedere che nel Paese ci sia un coerente quadro di norme che tutelino competizione e concorrenza, utilizzino il procurement pubblico come strumento di promozione del mercato, senza tuttavia in alcun modo stemperare o violare le norme e le buone pratiche a tutela dei lavoratori, della legalità e dell’ambiente. 

Sono frenanti anche le considerazioni per cui un’azienda piccola sia sinonimo di agilità e dinamismo, quando invece l’essere piccolo deve essere un fenomeno transitorio in un processo di crescita che preservi dinamismo e agilità e garantisca capacità d’investimento e di sviluppo di competenze e know-how. Sono limiti anche il vivere dei successi del passato, senza evolvere o ricercare la protezione dalle novità, incuranti dei cambiamenti e delle sfide che la competizione globale propone e impone. “Il fattore tempo – spiega Fuggetta – diventa fondamentale: non è solo necessario reperire le risorse, ma è indispensabile disporre di tecnologie, competenze e modelli operativi che permettano di scaricare a terra in tempi rapidi tutte le potenzialità che derivano proprio dalla disponibilità di risorse nuove a disposizione delle imprese. Non è mai troppo presto per fare innovazione”.

Proprio per questa ragione, Cefriel ha messo a punto una serie di macro direzioni di intervento per far acquisire strumenti, processi e metodi alle imprese che vogliono diventare innovative. 

In primo luogo è necessario che vi sia un cambiamento culturale volto all’innovazione che parta dai vertici aziendali. Come conseguenza di una visione matura e innovativa dell’impresa, essa deve avere una struttura sempre più piatta, con pochi livelli gerarchici, aperta, agile, con responsabilità e criteri di successo chiari e condivisi. In particolare, è necessario promuovere e premiare responsabilità, autonomia, valutazione e riconoscimento del lavoro dei singoli. 

Inoltre, se è vero che tutte le dimensioni dell’impresa devono essere ripensate per promuovere l’innovazione, esistono almeno tre ambiti che devono essere chiaramente previsti e sviluppati: scouting e open innovation, come processo di apertura dell’azienda verso l’esterno, finalizzato a raccogliere idee per creare un dialogo costante; foresight, cioè una modalità di orizzonte che non sia trimestrale o semestrale, ma che guardi ai trend sociali e tecnologici, così da poter essere consapevole dei cambiamenti e delle trasformazioni che il futuro potrebbe portare; project management, ovvero la promozione di una cultura diffusa di progetto sia dal punto di vista metodologico e di competenze, che da quello organizzativo e operativo. 

Tra le direzioni fondamentali che rendono un’impresa innovativa c’è poi quella secondo cui essa debba essere gestita in “real time”, ovvero debba essere capace di raccogliere e analizzare i dati senza inutili latenze e ritardi, garantendo una visione unitaria e coerente delle dinamiche d’impresa a tutte le sue persone. Perché tutto ciò sia possibile, l’impresa si deve dotare di infrastrutture e strumenti che sostengano e aiutino tutte le persone e le strutture organizzative a operare in modo coordinato e sinergico.

Al di là dei macro processi, ma anche delle specificità di ogni azienda che devono essere considerate, è importante tenere presente una cosa: la volontà di innovare e provare cose nuove può causare errori. Ma l’errore non deve essere fonte di stigma: “Usiamo per questo l’espressione “Impresa 0–100” che delinea la sfida dell’impresa” – sottolinea una delle autrici del white paper Nadia Fabrizio. “Lo “0” rappresenta l’eliminazione (“azzeramento”) dei rischi e delle fatiche che l’impresa vive, mentre il “100” indica la tensione verso la massimizzazione delle ambizioni e degli obiettivi che l’impresa vive e vuole raggiungere. Con questa attitudine, le diverse dimensioni e attività discusse in precedenza possono divenire leve per far crescere l’impresa e renderla realmente innovativa, capace di affrontare in modo consapevole le sfide che si trova a fronteggiare, focalizzata sulla valorizzazione del contributo e delle intelligenze dei singoli. È una sfida non facile, ma per nulla impossibile”.