Linfoma a cellule mantellari: benefici con rituximab e bendamustina


Nei pazienti giovani con linfoma a cellule mantellari eleggibili al trapianto, la combinazione di bendamustina e rituximab è efficace

linfoma a cellule mantellari

Nei pazienti giovani con linfoma a cellule mantellari eleggibili al trapianto, la combinazione di bendamustina e rituximab seguita dal trapianto autologo di cellule staminali e rituximab come terapia di mantenimento ha dimostrato di essere un trattamento di prima linea efficace, con risultati paragonabili a quelli ottenuti nei pazienti trattati con i regimi R-CHOP/R-DHAP seguiti dal trapianto autologo e l’osservazione. Il dato proviene dai risultati di uno studio osservazionale pubblicato di recente sulla rivista Blood Advances.

Nello studio, il trattamento con la combinazione bendamustina-rituximab si è tradotto in un tasso di risposta obiettiva (ORR) del 90%. Inoltre, nel 54% dei pazienti è stata ottenuta una risposta completa; di questi, nel 77% è stato eseguito il trapianto autologo e il 78% ha effettuato il mantenimento con rituximab.

Nella coorte dei pazienti trattati con R-CHOP/R-DHAP l’ORR è risultato del 94%. Il 54% dei pazienti ha ottenuto una risposta completa e, di questi, il 78% ha effettuato il trapianto e il 2% il mantenimento con rituximab.

Inoltre, con un follow-up mediano di 4,3 anni (range: 0,2-7,6) nella coorte assegnata alla combinazione e 7,1 anni (range: 0,1-14,8) nella coorte trattata con i regimi R-CHOP o R-DHAP, l’ hazard ratio (HR) non aggiustato per la sopravvivenza libera da progressione (PFS) è risultato pari a 0,87 (P = 0,56), a favore della combinazione sperimentale, mentre l’HR aggiustato pari a 0,79 (P = 0,40), dimostrando che non vi è alcuna differenza tra i confronti non aggiustati e quelli aggiustati.

I presupposti dello studio
La combinazione di rituximab e la chemioterapia citotossica, seguita dalla chemioterapia ad alte dosi, il trapianto autologo e il mantenimento con rituximab rappresenta l’attuale standard di cura di prima linea per pazienti con linfoma a cellule mantellari giovani e in buona salute.

I risultati dello studio di fase 3 MCL Younger (NCT00209222) hanno dimostrato che un trattamento con sei cicli di R-CHOP e R-DHAP alternati, seguiti da un condizionamento con citarabina ad alto dosaggio e dal trapianto da ASCT possono allontanare il fallimento della terapia (HR 0,60; IC al 95% 0,47-0,76) e portare a una sopravvivenza globale (OS) più lunga (Mantle Cell Lymphoma International Prognostic Index [MIPI]-adjusted HR 0,74) rispetto a sei cicli del solo regime R-CHOP, seguiti dalla radiochemioterapia mieloablativa e dal trapianto.

Inoltre, lo studio di fase 3 LYMA (NCT00921414) ha documentato che quattro cicli di R-DHAP più il trapianto e 3 anni di mantenimento con rituximab possono migliorare la PFS e l’OS rispetto alla sola osservazione.

Secondo gli autori, questi risultati, unitamente a quelli di altri studi precedenti, evidenziano i potenziali benefici della combinazione bendamustina-rituximab nei pazienti con linfoma a cellule mantellari idonei al trapianto e hanno fornito il razionale per il loro studio.

Studio retrospettivo
In questo studio, di tipo retrospettivo, sono stati valutati i tassi di ORR e inoltre sono stati confrontati gli HR dei tassi di PFS tra due coorti di pazienti idonei al trapianto di età compresa tra i 18 e i 65 anni con linfoma mantellare in stadio II-IV secondo il sistema di stadiazione di Ann Arbor.

Ogni coorte è stata individuata in modo indipendente e retrospettivo aggregando i pazienti trattati in precedenza, in base a caratteristiche al basale dei pazienti simili.

I pazienti sono stati arruolati in entrambe le coorti utilizzando i criteri dello studio MCL Younger applicati retrospettivamente, che includevano un’età compresa tra i 18 e i 65 anni, assenza di trattamenti precedenti, diagnosi con conferma istologica di linfoma a cellule mantellari di stadio da II a IV, malattia misurabile e un performance status secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità inferiore a 2.

In entrambi i gruppi, lo stadio secondo Ann Arbor, il rapporto tra il valore e il limite superiore di normalità della lattato deidrogenasi, i gruppi di rischio secondo un pannello di geni denominato MCL35 e la morfologia blastoide/pleomorfa erano simili.

Sono stati esclusi dallo studio i pazienti con performance status ECOG 3-4, in gravidanza o allattamento, o con una funzionalità polmonare, cardiaca, renale o epatica gravemente compromesse non a causa del linfoma.

Le caratteristiche delle due coorti
La coorte real-world trattata con la combinazione bendamustina-rituximab ha arruolato 97 pazienti con linfoma mantellare che erano stati trattati con la combinazione in prima linea tra il giugno 2013 e il gennaio 2020. Questi pazienti sono stati identificati retrospettivamente utilizzando i database clinici e patologici del British Columbia Cancer Centre for Lymphoid Cancer. Rispetto alla coorte trattata con i regimi R-CHOP/R-DHAP, i pazienti di questa coorte erano più anziani, avevano un performance status leggermente peggiore, in percentuale maggiore avevano livelli di Ki67 uguali o superiori al 30% e avevano tendenzialmente un rischio secondo MIPI più elevato.

Questa coorte è stata trattata con sei cicli di bendamustina più rituximab in prima linea, seguiti dal trapianto autologo e dal mantenimento rituximab.

La coorte trattata con i regimi R-CHOP/R-DHAP era composta da 232 pazienti del braccio R-CHOP/R-DHAP dello studio MCL Younger che erano stati inclusi nell’analisi primaria tra il luglio 2004 e il marzo 2010. Questi pazienti sono stati trattati con tre cicli di R-CHOP alternati a tre cicli di R-DHAP per un totale di sei cicli, seguiti da una chemioterapia con citarabina ad alte dosi, un condizionamento con irradiazione total-body e, a seguire, il trapianto autologo. Ai pazienti dello studio MCL Younger non era stato raccomandato il mantenimento con rituximab dopo il trapianto, poiché ai tempi dello studio non rappresentava ancora lo standard di cura.

L’endpoint primario era il confronto tra gli HR aggiustati delle PFS nei due gruppi. La PFS è stata definita come l’intervallo tra l’inizio della terapia di prima linea e la data della prima progressione o ricaduta. Gli endpoint secondari comprendevano, invece, la sopravvivenza libera da eventi (EFS), i tassi di risposta, la percentuale di pazienti sottoposti al trapianto, il tempo al trattamento successivo (TTNT) e l’OS. L’EFS è stata definita come il tempo trascorso dall’inizio della terapia di prima linea alla data della prima progressione o ricaduta, alla successiva terapia del linfoma o alla morte per qualsiasi causa, mentre il TTNT come il tempo trascorso dall’inizio della terapia di prima linea all’inizio della successiva linea di trattamento; infine, l’OS è stata definita come il tempo trascorso dall’inizio della terapia di prima linea e il decesso per qualsiasi causa.

Altri risultati
I risultati dello studio hanno mostrato un tasso di PFS a 5 anni del 76% nella coorte trattata con la combinazione bendamustina più rituximab e 68% nella coorte trattata con i regimi R-CHOP/R-DHAP.

Inoltre, nelle due coorti gli HR degli endpoint secondari sono risultati simili nelle analisi aggiustate e in quelle non aggiustate.

I tassi di EFS a 5 anni sono risultati del 70% nella coorte bendamustina-rituximab contro 65% nella coorte R-CHOP/R-DHAP, con un HR non aggiustato pari a 0,88 e un HR aggiustato di 0,75, a favore della combinazione bendamustina-rituximab, mentre i tassi di OS a 5 anni sono risultati rispettivamente del 79% e 77%, con un HR non aggiustato di 0,81 e un HR aggiustato di 0,65.

I risultati di sicurezza
Nella coorte trattata con bendamustina più rituximab non si sono registrati decessi correlati al trattamento, ma si sono verificati in totale 16 decessi, di cui 12 legati alla progressione di malattia, tre a una neoplasia secondaria e uno ad altre cause.

Nella coorte trattata con R-CHOP/R-DHAP si sono registrati in totale 93 decessi, di cui per 38 dovuti alla progressione del linfoma, 15 correlati al trattamento di salvataggio, 9 al trapianto autologo, due a problemi cardiaci, 11 a una neoplasia secondaria, 11 a cause non chiare e sette a cause non correlate.

Nel complesso, concludono gli autori, questi risultati dimostrano che i due trattamenti sono paragonabili in termini di efficacia e fattibilità per i pazienti giovani con linfoma mantellare idonei al trapianto.

Gli studi futuri
In futuro, altri studi randomizzati, come lo studio di fase 3 TRIANGLE (NCT02858258) e lo studio di fase 2 ECOG/ACRIN 4181 (NCT04115631) valuteranno l’aggiunta di nuovi agenti, quali gli inibitori di BTK, alla chemioimmunoterapia di prima linea nei pazienti con linfoma mantellare.

Bibliografia
D. Villa, et al. Bendamustine or high-dose cytarabine-based induction with rituximab in transplant-eligible mantle cell lymphoma. Blood Adv. 2022 Apr 19:bloodadvances.2022007371. Link