Uso prolungato di PPI legato a diagnosi di diabete


Il rischio di diabete è passato dal 19% al 56% con l’aumento della durata del trattamento con inibitori della pompa protonica (PPI) da 8 settimane a oltre 2 anni

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L’uso a lungo termine di un inibitore della pompa protonica è stato associato a un aumento del rischio di una diagnosi di diabete di tipo 2 in un ampio studio caso-controllo italiano basato sulla popolazione pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism.

Il rischio di diabete è passato dal 19% al 56% con l’aumento della durata del trattamento con inibitori della pompa protonica (PPI) da 8 settimane a oltre 2 anni e l’assunzione prolungata è stata associata a un rischio ancora più elevato nei pazienti più giovani (età 40-65) e in quelli con più comorbidità.

I risultati suggeriscono che «i medici dovrebbero quindi evitare la prescrizione non necessaria di questa classe di farmaci, in particolare per l’uso a lungo termine» hanno scritto il primo autore Stefano Ciardullo e colleghi dell’Università di Milano-Bicocca, Italia. «Tuttavia le evidenze epidemiologiche sull’argomento rimangono contrastanti e sono necessarie ulteriori ricerche per convalidare questi risultati».

«Se saranno confermati potrebbero avere importanti implicazioni sia per la salute pubblica che per la pratica clinica, dato l’alto numero di pazienti trattati con questi farmaci e l’influenza del diabete sulla morbidità e mortalità correlate alle sue possibili complicanze micro e macrovascolari» hanno fatto presente.

Terapia di prima scelta per i disturbi legati all’acidità gastrica
Gli inibitori della pompa protonica sono da tempo la terapia di prima scelta per i pazienti con disturbi legati all’eccesso di acido gastrico, come la malattia da reflusso gastroesofageo, l’esofago di Barrett e l’ulcera peptica, come anche per prevenire il sanguinamento gastrointestinale durante l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), hanno spiegato gli autori.

Tuttavia, con l’uso prolungato di PPI, diversi studi hanno identificato potenziali fratture, ipomagnesiemia, carcinoidi gastrici, malattie renali croniche, demenza e diarrea da Clostridium difficile. Inoltre questi agenti possono causare cambiamenti nel microbioma intestinale che possono svolgere un ruolo nel diabete e altre patologie.

Analisi sui pazienti in Lombardia
Per valutare una potenziale associazione tra PPI e diabete di tipo 2, i ricercatori hanno analizzato i dati di quasi 780mila pazienti di almeno 40 anni d’età trattati con questi farmaci in Lombardia tra il 2010 e il 2015. A poco più di 50mila soggetti è stato diagnosticato il diabete di tipo 2 durante il follow-up fino al 2020 (follow-up medio di 6,2 anni con incidenza di diabete di 10,6 casi per 1000 anni persona).

I pazienti con diagnosi di diabete sono stati confrontati durante il follow-up con altrettanti soggetti di controllo di pari età, sesso e stato clinico. Avevano un’età media di 66 anni e la metà erano uomini. I PPI più prescritti erano pantoprazolo e omeprazolo e i pazienti con diagnosi di diabete avevano maggiori probabilità di utilizzare antipertensivi e farmaci ipolipemizzanti.

Rischio di diabete correlato alla durata della terapia con PPI
Rispetto a quanti hanno assunto PPI per meno di 8 settimane, quelli in terapia per un periodo compreso tra 8 settimane e 6 mesi avevano un rischio del 19% più elevato di ricevere una diagnosi di diabete durante il follow-up (odds ratio, OR, 1,19), dopo gli aggiustamenti per età, profilo clinico, comorbidità, terapia medica e tipo di PPI.

Nei pazienti che hanno fatto uso di PPI per un periodo compreso tra 6 mesi e 2 anni il rischio di diabete era più alto del 43% (OR, 1,43), mentre in quelli che li hanno assunti per oltre 2 anni era del 56% superiore (OR, 1,56).

Tra i limiti dello studio riconosciuti dagli autori il fatto di non aver condotto un trial controllato e randomizzato e la mancanza di informazioni sui farmaci da banco e sui fattori di confondimento non misurati, come l’indice di massa corporea (BMI) o la storia familiare di diabete, che potrebbero aver influenzato i risultati.

Non abbastanza per un cambiamento nella pratica clinica
Quanto emerso dallo studio è in linea con una recente analisi di tre trial di coorte prospettici che hanno coinvolto operatori sanitari statunitensi e che hanno mostrato un rischio progressivamente più elevato di diabete con un trattamento più lungo con PPI, ha commentato David Leiman, assistente professore di medicina, Divisione di Gastroenterologia, Duke University Medical Center, Durham, Carolina del Nord, non coinvolto nello studi.

«Ma la dimensione dell’effetto rimane relativamente piccola e può essere spiegata da un confondimento residuo o non misurato» ha ammonito. «In definitiva questo studio da solo non sembra fornire dati sufficienti per supportare un cambiamento nella pratica clinic, quindi i medici dovrebbero continuare a informare i pazienti riguardo alle migliori evidenze disponibili sui rischi e benefici dei PPI».

«I recenti consigli sulle migliori pratiche dell’American Gastroenterological Association non raccomandano lo screening per la resistenza all’insulina tra gli utilizzatori di PPI, e raccomandano che la decisione di interrompere la terapia dovrebbe essere basata esclusivamente sulla mancanza di un’indicazione per il loro impiego e non sulla preoccupazione per gli eventi avversi ad essi associati» ha osservato. «I medici dovrebbero essere preparati a discutere i rischi ma dovrebbero anche sentirsi confidenti nel sostenere il loro profilo di sicurezza e la sostanziale efficacia nella gestione dei sintomi e nella prevenzione delle complicanze quando prescritti per l’indicazione appropriata».

Ai limiti dello studio già citati, Leiman ha aggiunto che i pazienti potrebbero aver avuto prediabete o diabete non diagnosticato, come anche sintomi come bruciore di stomaco o dispepsia derivanti da complicanze dell’insulino-resistenza, per controllare i quali potrebbero avere ricevuto una prescrizione di inibitori di pompa.

Bibliografia

Ciardullo S et al. Prolonged use of proton pump inhibitors and risk of type 2 diabetes: results from a large population-based nested case-control study. J Clin Endocrinol Metab. 2022 Apr 16;dgac231. 

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